Dieci cose da sapere sulla prima stazione orbitale al mondo, la sovietica “Saljut-1”

Russia Beyond (Foto: A. Shcherbakov/Sputnik; SCIEPRO/Getty Images)
Cinquant’anni fa, nel 1971, l’uomo ebbe la sua prima “casa nello Spazio” per lunghe permanenze. Non mancarono problemi e una tragedia, ma senza quell’esperienza non sarebbe stata possibile né la Mir né l’attuale Stazione Spaziale Internazionale

1 / Fu realizzata riutilizzando una tecnologia da guerre spaziali

La stazione “Almaz” (“Diamante”)

Inizialmente era un’altra stazione a dover andare nello Spazio per prima. E non si trattava di una stazione orbitante scientifica, ma militare! Si chiamava “Almaz” (“Diamante”), ed era progetta per essere la risposta sovietica alla stazione orbitale Manned Orbiting Laboratory (MOL) della Nasa, il cui scopo principale era lo spionaggio: la stazione era infatti dotata di attrezzature per la fotografia, la ricognizione elettronica e altre operazioni simili.

La sovietica “Almaz” sarebbe dovuta andare oltre, e in aggiunta alla gigantesca telecamera telescopica da 2,5 metri “Agat-1” (a quel tempo il più potente dispositivo di questo tipo al mondo per fotografare la Terra) era previsto che fosse armata. Uno speciale cannone avrebbe dovuto poter sparare a satelliti stranieri e persino alla Terra dallo Spazio. Ma il progetto MOL terminò nel 1969, quando quello della “Almaz” sollevava ancora molti interrogativi di tipo tecnico. Così venne proposta una soluzione più praticabile: partendo dal lavoro svolto per la“Almaz”, realizzare un’altra stazione orbitante con compiti puramente scientifici, ed essere i primi al mondo ad avere in orbita una stazione abitabile da esseri umani per lunghi periodi: la Saljùt.

2 / È stata la prima stazione orbitante abitabile al mondo

Questa stazione venne creata appositamente per la lunga permanenza delle persone in orbita. Era composta da un solo modulo con tre scomparti, uno dei quali era tecnico, con motori e pannelli solari; l’altro residenziale (e operativo), dove i tre cosmonauti potevano mangiare, bere, dormire e condurre esperimenti; e il terzo, il più piccolo, era il compartimento di transizione, per l’attracco con la navicella vettore. L’intera struttura pesava quasi 18,5 tonnellate.

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3 / La prima spedizione non riuscì a entrare

Il 23 aprile 1971, un equipaggio di tre persone (Vladimir Shatalov, Aleksej Eliseev e Nikolaj Rukavishnikov) partì per la stazione, che era stata spedita in orbita quattro giorni prima. L’attracco del Sojuz 10 ebbe successo, ma non fu possibile creare un passaggio ermetico tra la navicella e la Saljut. Inoltre, il perno della nave si era saldamente fissato nel cono della stazione e deformato, quindi era anche impossibile sganciarsi. La stazione teneva prigioniera la navicella.

Questa situazione andò avanti per circa cinque ore, ed era ormai critica. L’equipaggio riuscì a salvarsi grazie a lunghe consultazioni con il centro di controllo a terra: dalla base proposero ai cosmonauti di mettere dei jumper nell’unità elettronica per cortocircuitare i contatti, e la cosa funzionò. La navicella fu “rilasciata” dalla stazione e tutti e tre i cosmonauti tornarono indietro sani e salvi. Fu deciso di non rendere pubblico l’incidente, e fu annunciato che il primo volo era sperimentale e non era previsto l’imbarco sulla Saljut.

4 / Nessuno era mai stato in orbita così a lungo prima

Il centro di controllo della missione

La successiva spedizione, la Sojuz 11 decollò il 6 giugno 1971. Stavolta fu possibile accedere alla stazione orbitante, e i tre cosmonauti stabilirono il primo significativo record di permanenza delle persone nello Spazio: l’equipaggio vi trascorse 23 giorni. In precedenza, il volo più lungo era considerato quello della missione lunare americana Apollo 12, che era durato 10 giorni.

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5 / La seconda spedizione si concluse con una terribile tragedia

Georgij Dobrovolskij, Vladislav Volkov e Viktor Patsajev

Dopo 23 giorni trascorsi in orbita, l’equipaggio, composto dal tenente colonnello Georgij Dobrovolskij, dall’ingegnere di volo Vladislav Volkov, dall’ingegnere ricercatore Viktor Patsaev preparò la stazione per la successiva spedizione, salì a bordo della capsula di rientro, che si sganciò normalmente, e si diresse verso la Terra. Quando era ormai a un’altitudine di circa 150 chilometri dalla Terra, nella fase di discesa, la capsula si depressurizzò. In pochi secondi, le condizioni divennero impossibili per la vita umana.

La capsula atterrò normalmente, ma i soccorritori trovarono all’interno i cosmonauti morti. Furono sepolti nella necropoli delle mura del Cremlino.

6 / Quello che morì era l’equipaggio di riserva. I titolari si salvarono per… un’allergia

Valerij Kubasov

Tradizionalmente, due equipaggi si preparavano per il volo: il principale e quello di riserva. Dobrovolskij, Volkov e Patsaev erano i sostituti. Il fatto è che il volo dell’equipaggio principale venne cancellato tre giorni prima dello start: in uno dei cosmonauti, Valerij Kubasov, i medici riscontrarono un problema ai polmoni, che sembrava lo stadio iniziale della tubercolosi. Dopo lunghe discussioni, la commissione statale decise per sicurezza di sostituire l’intero equipaggio.

Successivamente si scoprì che i medici avevano scambiato una reazione allergica alle piante da fiore per tubercolosi. Kubasov sarebbe poi volato nello Spazio in altre due occasioni.

7 / I cosmonauti volavano senza tute spaziali

Probabilmente, la tragedia del volo di ritorno non sarebbe accaduta se i cosmonauti avessero indossato tute spaziali di emergenza, che permettono il supporto vitale per almeno un po’ di tempo. Ma l’equipaggio indossava tute gommate, perché l’allora serie di veicoli spaziali Sojuz prevedeva solo quelle. Dopo la tragedia, iniziò lo sviluppo urgente di tute spaziali sicure.

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8 / La Saljut-1 rimase 175 giorni nello Spazio

Dopo la tragedia, anche i lavori sulla Saljut vennero interrotti: un ulteriore volo verso la stazione avvenne in modalità senza pilota. Si decise di affinare le tecniche della cosmonautica con equipaggio, prima di organizzare nuove missioni, e di togliere la stazione dall’orbita. L’11 ottobre 1971, i suoi detriti incombusti negli strati densi dell’atmosfera affondarono nel “cimitero delle astronavi”, in una zona dell’Oceano Pacifico lontana dalle rotte navigabili.

9 / La Saljut-1 era un progetto così segreto che non ci sono fotografie

A causa della segretezza dell’intero programma spaziale dell’Urss, non sono disponibili foto reali della stazione. Chi fu a bordo la conosceva persino un nome diverso, “Zarjà” (“Aurora”), nome che era riportato anche nella scritta al suo esterno, che non fu cambiata, visto che tanto nessuno l’avrebbe vista. Ma poiché i sovietici si ricordarono che richiamava troppo il nome del primo satellite cinese, la stazione orbitale venne ribattezzata per la stampa “Saljut”, e con quel nome uscirono le notizie dell’agenzia sovietica Tass che la riguardavano.

10 / Senza di lei, non ci sarebbero state la “Mir” e la Stazione Spaziale Internazionale

Il complesso orbitale Mir

Dopo la “Saljut-1” ci fu una pausa di due anni nel programma spaziale, dopodiché di stazioni orbitanti ne furono lanciate altre 10 (!), opportunamente modificate. La Saljut divenne il prototipo del complesso orbitale Mir e del segmento russo della Stazione Spaziale Internazionale.


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