Come avviene il rientro sulla Terra dei cosmonauti russi

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È uno dei momenti più delicati dell’intera missione spaziale, la cui preparazione inizia almeno un mese prima, anche se poi l’operazione in sé dura circa tre ore e mezzo

Formazione e preparativi finali

Il poligono di atterraggio della Sojuz si trova in Kazakistan. Un mese prima del rientro, un team di specialisti prepara tutto il necessario per un atterraggio della navicella spaziale senza problemi: scelgono la zona più adatta sul terreno e la esaminano per assicurarsi che la superficie sia piana e libera da ostacoli. Successivamente, gli specialisti calcolano la traiettoria ottimale per il ritorno dall’orbita e inviano i dati all’equipaggio che si trova sulla Stazione Spaziale Internazionale.

Cinque-sette giorni prima del giorno dell’atterraggio, l’equipaggio conduce l’addestramento finale insieme all’istruttore, che si trova sulla Terra. La formazione dura 3-4 ore, i cosmonauti, insieme agli istruttori, rinfrescano la memoria su tutto ciò che hanno imparato durante la formazione ed elaborano vari piani di atterraggio, anche in caso in cui si dovessero verificare situazioni di emergenza.

Successivamente, l’equipaggio esegue i test sul veicolo spaziale e inizia a stivare i carichi che devono essere riportati sulla Terra.

Il giorno del ritorno, l’equipaggio che sta per rientrare saluta i colleghi che restano nello Spazio e chiude il portello che separa il compartimento delle navicella dalla stazione. Il portello viene accuratamente controllato in modo da evitare depressurizzazioni. I membri dell’equipaggio indossano le tute spaziali e scendono in uno speciale compartimento di bordo, dove rimarranno fino al loro ritorno sulla Terra.

Lo sgancio dalla Stazione spaziale e il rientro nell’atmosfera

Quando il veicolo spaziale è pronto in tutto e per tutto, il direttore di volo dalla Terra dà il permesso di sganciarsi. Il comandante dell’equipaggio ordina di aprire i ganci meccanici della Sojuz che collegano l’astronave alla Stazione Spaziale internazionale. L’operazione di apertura richiede 3-4 minuti.

Dopo lo sganciamento, il Centro di controllo volo inserisce nel computer di bordo i dati necessari per il lancio autonomo. L’equipaggio comunica con la Terra e verifica questi dati. Quando la navicella è arrivata a una distanza sufficiente dalla stazione, vengono accesi i motori frenanti.

Il sito web di Roscosmos specifica che dipende da questo momento se i cosmonauti ritorneranno sulla Terra o no. Infatti è grazie a questo che la traiettoria della nave cambia, la velocità diminuisce e il mezzo entra nell’atmosfera. L’atmosfera, a sua volta, funge da “freno naturale” e riduce la velocità della navicella fino all’apertura dei paracadute, che garantisce un atterraggio morbido. Dall’accensione dei motori all’ingresso nell’atmosfera, i cosmonauti controllano il processo e, se necessario, effettuano correzioni.

A circa 30 minuti dell’atterraggio, prima di entrare negli strati atmosferici della Terra, la navicella si divide in tre parti: il Modulo orbitale, il Modulo di rientro e il Modulo di servizio. Il Modulo di rientro torna in sicurezza sulla Terra, il resto brucia nell’atmosfera.

Per alcuni astronauti, entrare nell’atmosfera è una delle tappe più difficili.

“Ti senti come se fosse Capodanno: ovunque colpi e petardi. Sono le esplosioni che separano il modulo orbitale e il modulo di servizio. Il sovraccarico cresce poi rapidamente, diventa difficile respirare e parlare. E nel modulo di rientro la temperatura sale per l’attrito”, racconta il cosmonauta Aleksandr Samokutjaev, che ha effettuato 2 voli spaziali, nel 2011 e nel 2014.

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L’atterraggio con il paracadute

Dopo l’ingresso nell’atmosfera, due paracadute vengono automaticamente dispiegati sopra il dispositivo: prima quello ad apertura ritardata, poi quello principale. Riducono la velocità della navicella a 20 km/h, per un atterraggio dolce. A un’altitudine di circa 5,5 km dal suolo, la navicella si libera dal suo scudo termico, che in precedenza le aveva permesso di non bruciare nell’atmosfera. Inoltre, carburante e ossigeno vengono scaricati dai serbatoi delle capsule per ridurre il rischio di esplosione al momento dell’impatto sul terreno.

In questo momento, gli elicotteri seguono il volo della capsula fino a quando non atterra. A un’altezza di 70 cm dal suolo si attivano i motori di atterraggio morbido, che riducono la velocità a 5-6 km all’ora.

A partire da un’altezza di 450 metri dal suolo, gli astronauti non dovrebbero parlare, in modo da non mordersi la lingua e rompersi la mascella durante l’atterraggio. Dopo l’atterraggio, il comandante dell’equipaggio disconnette il paracadute, cosicché la navicella non venga trascinata sul terreno in caso di forti venti.

Dopo l’atterraggio, gli elicotteri atterrano vicino alla navicella e i soccorritori aiutano l’equipaggio a uscire. Gli astronauti vengono immediatamente esaminati dai medici, che misurano loro le pulsazioni e la pressione sanguigna.

Aleksandr Lazutkin, che nel 1997 trascorse 184 giorni nel complesso orbitale Mir, ebbe l’esperienza più spiacevole nel colpire il terreno durante l’atterraggio.

“Gli elementi di atterraggio morbidi non funzionarono, quindi colpimmo molto duramente la superficie terrestre. Dopo l’atterraggio, ho sviluppato disordini vestibolari: quando scuoti la testa e ti viene la nausea. Poi passa rapidamente: un giorno, due, e tutto torna al posto”, ricorda Lazutkin.

Ma a quanto racconta, è meglio che i cosmonauti non facciano movimenti improvvisi al loro ritorno sulla Terra.

“Non puoi annodarti i lacci delle scarpe, o cadrai sul posto. Nello spazio, le ossa si impoveriscono di calcio, e diventano deboli, fragili. Abbiamo avuto un caso in cui un membro dell’equipaggio si è rotto un dito, colpendo semplicemente il tavolo”, dice Lazutkin.

Il primo sonno sulla terra

Nei primi giorni dopo l’atterraggio, i cosmonauti superano vari test medici, i cui risultati sono presi in considerazione per eventuali prossimi voli, quindi in nessun caso devi mangiare cibo spazzatura o bere alcolici, spiega Sergej Krikalev, che è stato inviato sulla Stazione spaziale internazionale ben sei volte, e ha trascorso 803 giorni nello spazio.

Secondo lui, le abitudini spaziali, ad esempio, lanciarsi gli oggetti invece di passarseli di mano in mano, vengono rapidamente dimenticate, ma addormentarsi la prima notte è ancora difficile.

“La prima notte, anche le prime due, ti senti strano perché devi spostare braccia, gambe… A gravità zero, non senti i peso del tuo corpo. Ma ti addormenti lo stesso più velocemente che nello spazio”, ricorda Krikalev.

Krikalev afferma inoltre che, dopo lunghi giorni di permanenza sulla Stazione spaziale internazionale in una cerchia ristretta, al ritorno a casa i cosmonauti non smettono di comunicare tra loro e l’amicizia dura per molti anni.


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