Questa settimana desidero parlarvi della mannaya kasha, affettuosamente detta manka: una crema di semolino che i cittadini sovietici consumavano letteralmente tutti i giorni per colazione e che oggi non vi consiglio di proporre ai vostri ospiti. A meno che non vogliate farvi dei nemici. Non perché sia universalmente detestata, ma perché se non è cotta a puntino e servita alla giusta temperatura, questa pappa a base di latte si trasforma rapidamente in una… pappa appiccicosa a base di latte dall’aspetto poco appetibile.
Un incubo tutto sovietico
Considerato da sempre una colazione ideale per i bambini, la manka viene servita ovunque: a casa, negli asili, nelle scuole e nelle mense aziendali. Nel famoso racconto “Tutti i nodi vengono al pettine” un giovane, a cui viene imposto di mangiare l’odiato manka se vuole visitare il Cremlino, decide di gettare la pietanza dalla finestra, “colpendo” senza volerlo un passante. Ancora ricordo l’illustrazione del libro in cui si vedeva questa pappa che fuoriusciva dal cappello, dal naso e dal cappotto del malcapitato. Molti pensano che sia proprio questa la fine che la manka merita.
Quanto a me, amo la manka. Mia nonna ogni tanto me la preparava, e ancora oggi la mangio con piacere. Di recente l’ho persino ordinata al ristorante! Ed è stato divertente osservare le reazioni di coloro che mi circondavano. Per poco non mi hanno ricoverata in un centro di igiene mentale.
Alla manka mi lega anche un certo senso di riconoscenza, perché ha contribuito alla sopravvivenza dei miei genitori. Entrambi sono nati nel 1963, un anno in cui, secondo mia nonna, “tutti i generi alimentari all’improvviso sparirono dai negozi”.
“Non si trovavano più cereali”, ricorda la nonna. “Una volta, quando tua madre era piccola, in un negozio riuscii a trovare una confezione di manka. Arrivata a casa mi accorsi che era piena di larve e insetti. Faceva parte delle “riserve strategiche”, ma era andata a male”.
La nonna paterna racconta che quando aspettava mio padre viveva a Kursk, dove di cibo se ne vedeva ancora meno che a Mosca. Fortunatamente però c’era un centro che aiutava le donne incinte o con bambini piccoli dove le davano da mangiare la manka, e non solo. Per lei fu un grande aiuto.
Ho l’impressione che tutti coloro che hanno conosciuto quell’epoca continuano a provare affetto per questo cibo, che contribuì a sfamarli.
“Insieme alla manka, i reparti di gastronomia dei ristoranti e dei bar vendevano carote, cavolo e crocchette di barbabietola, ed erano molto frequentati”, ricorda mia nonna.
L’onnipresenza della manka nella dieta sovietica è confermata anche da una sua amica. “A un certo punto”, racconta, “si diffuse la moda del ptichye moloko (un dolce il cui nome significa “latte d’uccello”). Lo vendevano al ristorante Praga, ed era talmente popolare occorreva ordinarlo con anticipo e aspettare che arrivasse il proprio turno. Chi non voleva aspettare se lo faceva a casa, sostituendo il soufflé con la manka. Quella ricetta fece il giro del Paese”.
Io rimango comunque fedele a questa pietanza, che per anni al mattino ha sfamato me, i miei genitori e i miei nonni. Mi riferisco alla manka, non al ptichye moloko - che per me sarebbe un incubo tutto sovietico.
Ingredienti
¾ di tazza di latte
3 cucchiaini di semolino
½ cucchiaino di zucchero
1 cucchiaino di burro
Diluite il latte con ¼ di tazza di acqua e portate ad ebollizione. Aggiungete un po’ alla volta il semolino, mescolando continuamente. Aggiungete lo zucchero e un pizzico si sale e lasciate cuocere a fiamma bassa per dieci-quindici minuti. Al momento di servire condite con il burro.
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