Siria, dalla guerra mediatica agli interessi privati

Disegno di Dormidont Viskarev

Disegno di Dormidont Viskarev

La Russia è al centro delle critiche perché accusata di colpire gli “obiettivi sbagliati”, indirizzando gli attacchi non solo contro l’Isis. Ma la reazione dell’Occidente è risultata molto più attenuata rispetto al clamore suscitato dalle azioni di Mosca in Ucraina. Cosa si nasconde dietro la questione siriana?

È trascorsa una settimana da quando sono cominciati gli attacchi aerei delle forze dell’aviazione russa contro le postazioni dei terroristi islamici in Siria, ma poche decine di attacchi hanno scatenato reazioni di gran lunga superiori a quelle delle migliaia di incursioni effettuate dalla coalizione capeggiata dagli Usa nel corso di parecchi mesi. La risposta dell’Occidente è risultata molto più attenuata rispetto al clamore suscitato dalle azioni di Mosca in Ucraina.

La Francia, per bocca del suo Presidente, ammette in determinate circostanze la necessità di azioni congiunte con la Russia per colpire l’Isis. La cancelliera tedesca Angela Merkel sottolinea che la Russia deve rivestire un ruolo importante nella regolamentazione della crisi siriana e che anche Bashar Assad deve avere un ruolo in questo processo. Al contrario, la Gran Bretagna ha definito “un grave errore” l’intervento della Russia. Sempre più dure anche le critiche da parte americana e già si ventilano nuove sanzioni nei confronti di Mosca. 

La Russia è al centro delle critiche perché colpirebbe gli “obiettivi sbagliati”, indirizzando gli attacchi non solo contro l’Isis, ma anche contro la cosiddetta “opposizione moderata siriana”. Dopo i primi bombardamenti è stato diramato da sette potenze (Repubblica Federale Tedesca, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia e Qatar) un comunicato in cui si esprime “preoccupazione” per la supposta morte di civili durante i bombardamenti. È emblematico che non siano state rilasciate analoghe dichiarazioni sul bombardamento aereo effettuato negli stessi giorni dalle forze americane che ha colpito per sbaglio l’ospedale di Medici senza frontiere a Kunduz, in Afghanistan.

L’ “allarme” di una serie di Paesi per l’intervento militare di Mosca a sostegno del governo di Bashar Assad nel conflitto siriano rischia di trasformarsi in una guerra mediatica totale e in prospettiva in un conflitto strisciante in Siria contro le forze aeree russe da parte di terzi. In tali mani estranee possono finire le armi fornite da chi ora critica Mosca. Dietro tali critiche si celano interessi privati che non hanno a che vedere solo con la lotta contro l’Isis. Proprio sotto questo profilo vanno viste le dure critiche mosse contro le azioni di Mosca da Riyad e Doha che non solo hanno alimentato idealmente fin dal principio gli interventi militari per rovesciare Assad, ma che apertamente o indirettamente appoggiano alcuni gruppi combattenti contro Assad.  

Aseguire con invidia le azioni militari della Russia è anche la Turchia che ha già espresso la sua protesta contro le intrusioni dei caccia russi nel suo spazio aereo. Dall’inizio dell’anno promuove l’idea di introdurre una no-fly zone almeno nel Nord della Siria e di creare un cordone sanitario lungo i suoi confini. L’intervento della Russia ha fatto saltare questi piani. Intanto la parte settentrionale del paese non è controllata dall’Isis, bensì dai curdi. I turchi non vogliono che si uniscano ai curdi iraniani, né tantomeno ai propri per dar vita a un Kurdistan indipendente. Fino a poco tempo fa, secondo alcune fonti, i servizi segreti della Turchia simpatizzavano per l’Isis i cui militanti ricevevano aiuti e trovavano rifugio in territorio turco. Dopo aver aderito alla coalizione anti-Isis, i turchi hanno indirizzato i loro attacchi anche contro le postazioni curde.

Anche gli Usa criticano la Russia, accusandola di colpire gli “obiettivi sbagliati”, ossia l’“opposizione moderata”. Tuttavia, a Washington evitano di indicare per nome questa opposizione “moderata”. Gli speaker del Pentagono e della Casa Bianca non amano rispondere a certe domande, come per esempio se davvero le forze della coalizione capeggiata dagli Usa indirizzino i loro attacchi contro alcune formazioni come Jabhat al-Nusra, in certe occasioni alleata dell’Isis, o Ahrar al-Sham, un altro gruppo terroristico che fa parte della coalizione del Fronte islamico. O dell’Esercito islamico che si è “gloriato” del massacro in stile Isis compiuto nella località di Adra nei pressi di Damasco. Perché loro non effettuano questi attacchi.

Intanto, il Fronte islamico e l’Esercito islamico tessono i loro piani per costruire in Siria uno Stato islamico sotto la legge della sharia e si servono dell’aiuto dei sauditi. “Moderati” è solo un modo convenzionale di definirli. Vicina al Fronte islamico è anche un’altra organizzazione che pretendeva fino a poco tempo fa di essere “moderata”, il Fronte dei rivoluzionari siriani. Tuttavia, non si è fatto in tempo ad ascriverli nel gruppo dei “moderati” poiché hanno stipulato un accordo con l’Isis.

Sempre più spesso in Occidente si sente definire “moderato” l’Esercito siriano libero (Esl), sorto all’inizio del conflitto per iniziativa di un gruppo di ufficiali disertori dell’esercito governativo. Tuttavia, nell’Esl, dove sono confluiti una miriade di piccoli gruppi, anche islamisti,  inizialmente predominavano i Fratelli Musulmani che avevano l’appoggio non dichiarato del governo turco di Erdogan. Proprio gli stessi Fratelli Musulmani che avevano guidato per breve tempo sotto gli occhi del mondo il governo in Egitto, salvato dalla totale islamizzazione solo grazie a un putsch militare. Dalla primavera di quest’anno l’Esl come struttura  militare si è di fatto dissolta. Tuttavia, sotto il suo “ombrello” agisce una congerie di minuscole formazioni e gruppi di combattenti locali indipendenti che aderiscono ad alleanze strategiche anche con islamisti dell’Isis. Chi rifornisce di armi questi gruppi deve tenere conto dei loro spostamenti da una struttura all’altra e capire che queste armi possono finire nelle mani dell’Isis.

Le pressioni sulla Russia naturalmente aumenteranno. Si vuole convincere il Cremlino a rinunciare ad azioni militari che potrebbero rafforzare le posizioni delle truppe di Assad. Quanto la Russia riuscirà resistere  a simili pressioni è una questione che riguarda la diplomazia, e così  pure la sorte dello stesso Assad e del suo ruolo nel processo negoziale nella fase di transizione. Riguardo agli obiettivi strettamente strategici e militari, valutate le perdite territoriali subite quest’anno dalle truppe governative, per recuperare le posizioni perdute con l’aiuto del sostegno aereo gli occorreranno almeno due, tre mesi. Si dovrà resistere fino all’inverno quando in questa regione cominceranno a scatenarsi le tempeste di sabbia.

L’autore dell’articolo è un politologo, membro del Consiglio della politica estera e della difesa

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