Disegno di Tatiana Perelygina
Come dimostra l'esperienza storica, i leader russi raramente si sono sentiti a proprio agio alle sessioni dell'Assemblea Generale. A conquistare la simpatia internazionale è riuscito, probabilmente, solo Gorbaciov, nel 1988. Per Putin, al giorno d'oggi, sarà un compito assai più arduo di dieci anni fa, quando per l'ultima volta intervenne dalla tribuna principale. Secondo gli esperti, la 70esima sessione dell'Assemblea Generale ONU a New York, che si è aperta il 15 settembre, potrebbe diventare arena dei più brillanti scontri retorici. Al dibattito annuale dell’Assemblea, che si terrà il 28 settembre, si preparano a prendere parte i capi di stato dei paesi leader: sulla tribuna centrale potrebbero quindi alternarsi Barack Obama, Xi Jinping, Vladimir Putin e Hassan Ruhani.
Nei nostri tempi turbolenti, probabilmente solo l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite può consentire a simili oratori di riunirsi sotto un tetto comune ed ascoltare le reciproche polemiche.
Certamente il carattere di protocollo e la magnificenza dell'evento lasceranno la propria impronta sul contenuto dei discorsi, dunque non occorre aspettarsi che i Presidenti delle grandi potenze prendano a parlare dei punti dolenti. Più che altro, agli spettatori attenti occorrerà leggere fra le righe e riflettere sul senso delle varie frasi ed allusioni.
Nondimeno, in occasione di una simile assemblea si attende sempre la comparsa di un oratore capace di rompere gli schemi e di immettere un vivo flusso di energia nel protocollo abitudinario. Negli anni scorsi, ad assumersi questo ruolo sono stati i Presidenti dell'Iran e del Venezuela; alla 70esima sessione dell'Assemblea Generale, le più grandi speranze sono riposte nell'intervento di Vladimir Putin.
Occhi puntati su Putin
È proprio da Putin che si conta di udire un po' di nuovi, sferzanti rimproveri all'indirizzo degli Stati Uniti e dei loro alleati, nonché proposte insolite in grado di ribaltare le visioni su come si debbano risolvere i pressanti problemi internazionali. I giornalisti poi, naturalmente, sono in attesa di catturare quel paio di battute “al limite del consentito”, che hanno da sempre caratterizzato gli interventi del Presidente russo e che potrebbero quindi ravvivare i reportage da New York, assicurando larga audience.
Bisogna però essere pronti al fatto che tutte queste grandi aspettative riguardo Putin possano rivelarsi vane. Non è da escludere che all'ultimo momento Putin deleghi il diritto di intervenire dalla tribuna dell'Assemblea Generale ad uno dei suoi subordinati.
Ciò sta nel fatto che, data la piega che hanno preso i correnti rapporti internazionali, in particolare, all'interno dell'ONU, la situazione non è molto favorevole per l'esternazione, da parte del Presidente russo, di eventuali pretese di leadership o superiorità morale sugli opponenti. E Putin, senza l'assoluta certezza nel successo, non interverrà, o si limiterà ad un saluto di routine.
Mosca nella storia dell'ONU
Nel corso dei settant'anni della storia dell'ONU, la posizione dell'URSS e della Federazione Russa nei confronti di questa organizzazione sono mutati più volte in maniera persino cardinale. Per buona parte del primo decennio di esistenza dell'ONU, Mosca guardava alle Nazioni Unite come ad una roccaforte nemica, strumento di pressione sull'Unione Sovietica da parte dei paesi occidentali aventi la maggioranza netta presso l'Assemblea.
La delegazione sovietica in quel periodo (come, del resto, anche nei successivi) è ricorsa attivamente al diritto di veto, principalmente per bloccare l'ammissione, da parte dell'organizzazione, di nuovi membri “filo americani”.
Dopo la morte di Stalin e l'avvento di Nikita Krusciov, la tattica dell'URSS all'interno dell'Assemblea mutò a 180 gradi, l'ammissione di qualsiasi altro membro veniva allora salutata con favore e il potere sovietico cominciò a ritenere l'Assemblea Generale piattaforma ideale per estendere la propria influenza ai paesi del “Terzo mondo”.
Nell'autunno del 1960, la visita di Krusciov a New York, in occasione della quindicesima sessione dell'Assemblea Generale durò tre settimane; il leader sovietico prese attivamente parte nei dibattiti, riuscendo ad attirare l'attenzione di tutti. Fu proprio allora che si verificò il famoso episodio dello stivale, quando Krusciov se lo sfilò di fronte agli occhi della platea e, secondo alcune testimonianze, battè persino il tacco sul tavolo in segno di protesta contro le “sonanti” critiche antisovietiche.
Nell'epoca di Brezhnev (1964-1982), l'URSS tendeva principalmente a servirsi dell'Assemblea generale ONU, come di una tribuna per promuovere le proprie idee nella sfera del disarmo e della sicurezza internazionale. Queste idee parevano essere molto più realistiche, rispetto ai progetti di Krusciov di “disarmo generale in 4 anni” e diedero modo all'URSS di apparire come “baluardo del mondo”, in particolare in confronto con gli USA, che si erano sporcati le mani con la guerra nel Vietnam.
Tutta questa costruzione però cominciò a collassare alla fine degli anni Settanta, quando gli invecchiati leader sovietici presero a buttarsi in maniera del tutto avventuristica in imprese sbagliate in politica estera, incassando quindi la sconfitta in Afghanistan.
Come conseguenza, l'Assemblea Generale ONU si trasformò da sostegno alla politica estera russa ad aperta sua critica. L'intervento forzoso negli affari dei piccoli e medi stati incapaci di difendersi da soli generò un rigetto, nei confronti dell'URSS, da parte di tutti i partecipanti all'Assemblea.
L'arrivo di Gorbaciov
La reputazione dell'URSS presso l'ONU venne restaurata grazie alle iniziative di Mikhail Gorbaciov e al suo “nuovo corso” in politica estera. L'intervento di Gorbaciov alla sessione generale dell'Assemblea Generale ONU dell'8 dicembre 1988 divenne uno degli episodi più memorabili della storia di questa organizzazione e, come parve essere, aprì un'epoca nuova della cooperazione internazionale.
Dopo il crollo dell'URSS, le autorità della Russia cercarono per un po' di tempo di conservare e valorizzare il capitale politico di Gorbaciov, intervenendo sempre a favore dell'ingrandimento del ruolo dell'ONU negli affari internazionali. Tale posizione suscitò grande simpatia, in particolare sullo sfondo dell'opinione apertamente avversa degli USA nei riguardi dell'organizzazione.
Nel secondo decennio del XXI secolo però, la Russia si lasciò alle spalle definitivamente l'eredità di Gorbaciov in politica estera. Se oggi Vladimir Putin dovesse scegliere di dedicare il suo intervento per il settantesimo dell'Assemblea Generale ONU alla necessità di un'incondizionata osservazione del diritto internazionale e ad un ingrandimento del ruolo dell'ONU, i partecipanti dell'assemblea non farebbero che fischiarlo.
Dopo la Crimea, il Donbass e la storia dell'MH17 abbattuto, la Russia non può più ambire ai ruoli di “difensore più onesto e coerente del diritto internazionale” e di “sostenitore dei mezzi pacifici di risoluzione dei conflitti fra stati”. Nel corso di lunghi anni , Mosca ha sottoposto gli Stati Uniti a giuste critiche, ora però, col suo proprio esempio ha dimostrato che le autorità russe non vedono altri modi di proteggere gli interessi nazionali se non con la forza e la pressione, in spregio a tutte le istituzioni internazionali.
Compiendo un simile “coming out”, la Russia ha cancellato tutti gli sforzi di molti anni volti alla restaurazione della sua reputazione presso l'ONU in linea con quella presentata da Brezhnev alla fine degli anni Settanta. Non ha più senso ora che il Presidente russo faccia appello, dalla tribuna dell'ONU, ai sentimenti anti americani nutriti da parte delle delegazioni. La Russia contemporanea, agli occhi di molti, non è migliore degli USA, rappresenta anzi lo stesso rapace preoccupato solo di proteggere gli interessi propri.
In una simile situazione, il meglio che possa fare Vladimir Putin intervenendo dalla tribuna dell'ONU è rinunciare a frasi sonanti ed ipocrite sul rispetto del diritto internazionale e alle accuse dirette agli USA. In ogni caso non gli riuscirà di superare in questo campo Fidel Castro, Ugo Chavez o Mahmoud Achmadinejad.
Da Putin, in quanto leader di una super potenza, si richiede una stima realistica delle minacce esistenti, provenienti innanzitutto dallo Stato Islamico, nonché la dimostrazione di ambire alla costituzione di un meccanismo internazionale di cooperazione capace di opporsi a questi pericoli, preferibilmente sotto l'egida dell'ONU. Di questi tempi però, alla Russia e all'Occidente non resta che sognare di una collaborazione così.
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