Nell’Estremo Nord russo vivono più di 40 etnie. Gli abitanti di questi territori parlano decine di lingue, che sono tutte diverse una dall’altra. Tuttavia, fino a cento anni fa, quasi nessuno di questi popoli aveva un proprio sistema di scrittura!
Lotta all’analfabetismo
P.Novitskij
La Russia, da sempre, è un paese multietnico, ma il sistema che garantisse l’accesso universale all’istruzione fu creato soltanto dopo la Rivoluzione del 1917. All’inizio del XX secolo appena il 20-30% della popolazione sapeva leggere e scrivere, in Siberia e nell’Estremo Oriente questa percentuale era molto più bassa.
Dominio pubblico
Nel 1919, fu approvato un decreto sull’alfabetizzazione dei cittadini, in conformità al quale tutti gli abitanti del Paese avevano l’obbligo di studiare. Si poteva studiare sia la lingua russa, sia la propria madrelingua. Secondo molti storici, la politica che favoriva le popolazioni indigene e le lingue locali era intesa ad assicurare allo Stato ampi consensi non solo tra i russi, ma anche da parte delle altre etnie. In quel periodo furono pubblicati testi scolastici (e anche manuali per adulti) in 40 lingue diverse, tra cui, in particolare, il ciuvascio, il tataro e l’uzbeko.
Nikolaj Adamovich/TASS
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Sulla scia di questa campagna, furono avviati degli studi sulle lingue dei piccoli popoli della Russia, molti dei quali non avevano un proprio alfabeto. Sebbene già nel XIX secolo si fosse già cercato di creare dei nuovi sistemi di scrittura, ciò diventò possibile soltanto dopo la Rivoluzione, grazie all’approccio sistemico dei linguisti sovietici.
Alfabeto universale per gli indigeni del Nord
Secondo il sistema di classificazione usato negli anni Venti del Novecento, in quel periodo nel Paese c’erano 26 piccoli popoli del Nord. Complessivamente, si trattava di poco più di 135 mila persone, pastori di renne e cacciatori, che appartenevano a diverse famiglie linguistiche, all’interno delle quali esistevano numerosi dialetti e sottodialetti.
Dominio pubblico
Per risolvere questo inusuale problema linguistico, nel 1926, presso l’Istituto di studi orientali di Leningrado (dal 1930, Istituto dei Popoli del Nord), fu aperta la facoltà del Nord. Nel 1929 i ricercatori dell’Istituto crearono l’Alfabeto nordico unificato. Inizialmente, questo sistema era basato sull’alfabeto latino, con l’aggiunta di alcune lettere e segni diacritici, ed era destinato a 16 popolazioni indigene (sami, nenets, selcupi, mansi, ostiaci, evenki, eveni, nanai, udege, itelmeni, ciukci, coriachi, eschimesi, aleutini, ket e nivchi). Ogni popolo usava un numero differente di lettere e segni, per lingua “classica” si intendeva uno dei dialetti più diffusi, e l’alfabeto unificato semplificò di molto la produzione del materiale didattico.
Aleksandr Lyskin/Sputnik
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Tuttavia, già alla metà degli anni Trenta la politica linguistica subì un cambiamento radicale. Tutti gli alfabeti, che già erano disponibili, furono sostituiti con il cirillico (in precedenza si riteneva che anche il russo dovesse passare all’alfabeto latino), mentre nelle scuole si cominciò a insegnare soprattutto la lingua ufficiale del Paese, il russo.
Sputnik
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Alla fine, però, molte lingue degli indigeni non furono mai adattate all’alfabeto cirillico e più tardi furono addirittura eliminate dai programmi scolastici. Cessò anche la pubblicazione dei libri e dei periodici in queste lingue. Per giunta, negli anni Sessanta, quando nel Nord cominciò lo sfruttamento dei grandi giacimenti petroliferi, e specialisti e operai arrivarono qui da tutte le repubbliche dell’Urss, le persone iniziarono a comunicare quasi esclusivamente in russo. Nel frattempo, però, alcune parole degli abitanti del Nord (come, per esempio “parka”) erano già diventate di uso universale.
L’interesse per le lingue nordiche rinasce soltanto negli anni 1970-1980, quando viene organizzata una serie di spedizioni linguistiche.
Yurij Belinskij/TASS
Nel 1988 è stato ufficialmente introdotto l’alfabeto tofalaro, negli anni Novanta quello aleutino, e nel 2003 l’alfabeto chulym, quello della lingua in cui canta il popolarissimo gruppo OTYKEN.
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Come si studiano oggi le lingue dei popoli del Nord
Oggi si usa distinguere circa 40 piccoli popoli della Siberia e dell’Estremo Oriente, ma non tutte queste persone parlano la loro lingua madre. Per esempio, tra i nenets (50 mila persone), soltanto la metà parla la lingua. I ket sono 1.100 persone, di cui soltanto 150 conoscono la lingua; dei 300 indigeni che si identificano come orok (o ulta), parlano la loro lingua meno di 50 persone, mentre la lingua tofalara è parlata liberamente soltanto da 3 individui! Queste persone stanno diventando sempre più vecchie. E certe lingue rischiano di scomparire. Al contempo, però, tra gli indigeni del Nord è piuttosto diffuso il fenomeno del bilinguismo.
Sergej Guneev/Sputnik
A partire dalla fine degli anni Ottanta del Novecento, le lingue dei popoli del Nord sono state nuovamente incluse nei programmi scolastici, ma vengono insegnate soltanto nella scuola primaria o come lingua facoltativa. In alcune regioni sono stati organizzati dei corsi per adulti, sia in presenza che online.
Attualmente, soltanto gli enci, o enets (gruppo etnico di 300 persone, di cui soltanto 40 parlano la madrelingua, nella penisola del Tajmyr), rimangono senza un proprio alfabeto. Ci stanno però lavorando su i linguisti dell’Università federale di Krasnojarsk (il lavoro è stato cominciato nel 2018).
Vladimir Smirnov/TASS
Le lingue dei popoli del Nord vengono insegnate a Tomsk, in Siberia, e all’Università Statale di Mosca. Quanto alla formazione dei docenti è invece affidata all’Istituto dei Popoli del Nord () di San Pietroburgo. È l’unico ateneo russo, dove si può imparare la lingua degli itelmeni, dei dolgani, degli orok e di altri popoli che vivono nelle località più lontane della Russia.
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