“Solo nei nostri sogni siamo liberi. Per il resto del tempo abbiamo bisogno di uno stipendio”, disse una volta l’autore di fantasy inglese Sir Terry Pratchett (1948-2015), senza alcun accenno di ironia. Sembra che queste parole di saggezza non siano meno vere riguardo ai bambini sovietici e ai loro sogni d’infanzia.
“Essendo stata piccola nell’Unione Sovietica degli anni Ottanta, ero perennemente in ansia per la prospettiva di una guerra nucleare con gli Stati Uniti, gli acerrimi nemici del nostro Paese”, racconta Natasha, 45 anni. “Addormentandomi, ogni notte, mi mettevo a fantasticare su qualcosa che avrebbe sradicato la minaccia e mi avrebbe permesso di smetterla di preoccuparmene, per quanto strano possa sembrare. Da bambina, percepivo la Guerra Fredda come una minaccia esistenziale profondamente personale”.
Un gruppo di ragazzi con un cartello che recita "Non c'è niente di più importante della pace"
E.Chechkina/SputnikLa Crisi dei missili di Cuba dell’ottobre 1962 è stato un importante scontro diplomatico che ha portato gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sull’orlo della guerra nucleare. Mosca voleva stanziare missili nucleari sovietici a Cuba in risposta al dispiegamento di simili missili statunitensi in Turchia, che furono poi smantellati.
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Questa crisi non fu l’unica volta in cui il confronto tra Mosca e Washington raggiunse il punto di ebollizione. Nel 1983, il Cremlino era preoccupato per una serie di esercitazioni belliche della Nato su larga scala (noti come “Able Archer 83”), che videro il dispiegamento di decine di migliaia di unità statunitensi in Europa. In uno scambio tit-for-tat, le forze nucleari sovietiche furono immediatamente messe in massima allerta per poter rispondere alla minaccia presentata dalla Nato. Fortunatamente, era davvero solo un’esercitazione.
Campo estivo "Artek", Crimea
Konstantin Dudchenko/TASSPiù o meno come i boy scout negli Stati Uniti o in Europa, i bambini sovietici vivevano una vita attiva e vivace nell’organizzazione comunista dei “pionieri”. “L’infanzia sovietica è inseparabile dal campeggio estivo: risvegli al suono della tromba, escursioni, gare, fuochi d’artificio, scherzi discutibili come spalmare di dentifricio i bambini addormentati di notte e altre scappatelle”, ricorda Tatiana, 47 anni. “Se i tuoi genitori non ti mandavano al campo estivo, dovevi restare alla dacia di famiglia, dove potevi al massimo fare case sugli alberi o ghirlande di fiori. L’inverno era sempre dedicato al pattinaggio, allo sci, allo slittino, alle battaglie di palle di neve, alla creazione dei pupazzi di neve. La mia infanzia sovietica era piena di sport, musei, teatri, letture, visione di film rari. Passavo poco tempo a guardare la tv”.
Il campo estivo era un ottimo modo per trascorrere le vacanze dalla scuola, fare nuove amicizie, perfezionare le capacità di comunicazione e goderti un po’ di libertà. I bambini sovietici sognavano di trascorrere le vacanze al campo di Artek. Negli anni Settanta e Ottanta, questo famoso campo giovanile, situato in Crimea lungo la costa del Mar Nero, forgiava i valori comunisti fondamentali. Al giorno d’oggi, rimane ancora una popolare località turistica.
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I bambini sovietici passavano molto tempo a leggere, visto che in ogni casa c’erano di solito librerie molto fornite. E anche se ad Aleksandra non fu permesso di andare ad Artek, le fu dato libero accesso a tutti i volumi presenti in casa. Un giorno scelse “Karlsson sul tetto” di Astrid Lindgren. Come molti dei suoi coetanei, rideva istericamente leggendo il bestseller svedese su un ometto paffuto che ama fare scherzi alle persone e dice di essere il migliore del mondo in tutto.
Il libro ha fatto sì che decine di ragazzi sovietici guardassero sui loro tetti per controllare se per caso non ci fosse Karlsson. Il suo momento preferito del libro era quello in cui il protagonista, Fratellino, un bambino di sette anni, riceve finalmente un animale domestico come regalo di compleanno, e Karlsson dice: “Ma io sono meglio di un cane!” Come Fratellino, Aleksandra sognava un cane più di ogni altra cosa al mondo. Avere un animale domestico era una grande responsabilità per la quale troppi bambini non erano preparati. Ma se avevi un cane, potevi portarlo a passeggio cinque volte al giorno, mostrando il tuo tesoro agli altri bambini del vicinato.
I bambini sovietici indossavano abiti semplici, dall’aspetto noioso, e piuttosto scomodi, per lo più realizzati in Urss. Acquistare qualcosa di diverso era un vero problema. I vestiti importati erano disponibili nei negozi, ma i clienti ordinari non sapevano mai quando e dove sarebbero stati sugli scaffali. “Mia madre era disposta a trascorrere ore in fila per comprarmi un paio di scarpe in pelle rossa fabbricate in Giappone”, ricorda Vera, 39 anni. “Ho indossato queste scarpe glamour solo due volte prima che mi venissero rubate nello spogliatoio della scuola. Ho quasi pianto.”
Giocando sull'altalena, 1970
Valerij Schekoldin/МАММ/МDFSono passati anni ma Dima, 52 anni, ricorda ancora il suo lungo cappotto invernale sovietico.
“Era un incubo; pesante come un mattone. Mi sentivo senza forze quando lo indossavo”, ha confidato. “Ero al settimo cielo quando mio padre mi portò un cappotto marrone dalla Svezia. Aveva eccentriche maniche gialle ed era leggero come una piuma.
“Ricordo anche quanto sognavo dei vestiti alla moda”, dice Elena, 40 anni. “Qualcosa che sembrasse sofisticato.”
“Sono stata una ragazza sovietica non per troppo tempo, ma comunque piuttosto fortunata. Essendo nata nella Germania dell’Est e avendo vissuto lì per alcuni anni, ho avuto tutti i bei vestiti e giocattoli che si potevano comprare in quel momento. Non molti. Ma i migliori”, ricorda Diana.
Ad alcuni genitori era permesso viaggiare all’estero. Tornavano con un’enorme varietà di regali, da gomme da masticare e gomme da cancellare fino a zaini e bamboline Barbie.
“Il sogno era avere una vera Barbie! Io ebbi una Sindy. Non male, comunque. E del succo di frutta straniero dal colore insolito (provai il kiwi verde brillante e fu fantastico, ricordo ancora la confezione), e poi patatine, e bibite frizzanti”
Ma chi non aveva qualcuno autorizzato ad andare all’estero poteva solo sognare quella Dolce Vita.
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Mentre alcune ragazze sovietiche sognavano bambole Barbie e vestiti alla moda, i ragazzi preferivano trenini giocattolo elettrici tedeschi, e poi, crescendo il motorino. Vadim, 51 anni, non ha fatto eccezione. Dice che quasi tutti i ragazzi della sua infanzia sovietica avevano una bicicletta. “Ma un ‘moped’, un motorino, era una cosa seria, l’ultima mania; il sogno definitivo.”
Ragazzini su una moto
Archivio di Olga KukharDopotutto, sognare è una forma di pianificazione, quindi alcuni adolescenti dal senso pratico più sviluppato, raccoglievano bottiglie di vetro e le portavano nei punti di raccolta e riciclaggio. In quel modo mettevano da parte di volta in volta un po’ di denaro. “Alla lunga, i ragazzi che si davano molto da fare riuscivano persino a comprarsi un motorino.”
Una scena tratta dal film "Il tempo delle mele" con Sophie Marceau
Claude Pinoteau/Gaumont, Marcel Dassault 1980Viktorija, 41 anni, voleva un ciclomotore per un motivo diverso. Era una grande appassionata di cinema. Da dodicenne trascorse le vacanze estive nella Lettonia sovietica e le capitò di vedere il film francese “Il tempo delle mele”, con Sophie Marceau. La pellicola segue le vicende di una ragazzina di 13 anni di nome Vic che si innamora, si disinnamora e continua a vivere appieno la sua vita, e divenne immediatamente un cult per gli adolescenti sovietici. Nonostante la differenza di culture, era facile immedesimarsi con i personaggi principali del film. “Avevo poco meno dell’età della protagonista e ricordo ancora due cose: come Vic aveva una cotta per Mathieu, che guidava un motorino, e la fantastica canzone di Richard Sanderson “Reality”. Aveva le parole ‘I sogni sono la mia realtà. L’unico tipo di fantasia reale…’”.
Cosa facevano i bambini sovietici al doposcuola?
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