“Sono una patriota russa con una testa tedesca”, afferma la Caterina la Grande interpretata da Helen Mirren nel terzo episodio della miniserie televisiva “Caterina la Grande”, in Italia in onda su Sky Atlantic dal 1º novembre. Queste parole potrebbero davvero essere uscite dalla bocca di Ekaterina Alekseevna, o meglio Sofia Federica Augusta di Anhalt-Zerbst; vero nome della futura imperatrice russa, nata a Stettino.
A differenza di “The Last Czars”/“Gli Ultimi zar” di Netflix, dove, oltre ai tanti errori clamorosi - che vi abbiamo mostrato qui - i personaggi avevano la stessa profondità psicologica di sagome di cartone, i protagonisti di questa ennesima serie tv ispirata alla storia russa sembrano trasmettere sentimenti umani. I tre ruoli principali, Caterina la Grande, Grigorij Potemkin e Pavel Petrovich (Paolo I di Russia) sono stati ben tratteggiati dagli sceneggiatori e interpretati con vera passione dagli attori.
La Premio Oscar Helen Mirren (Miglior attrice protagonista nel 2007 per “The Queen - La regina”) non richiede certo presentazioni. Anche il fatto che non assomigli praticamente per niente a Caterina non inficia la sua interpretazione. Certo, per trasformare l’attrice 74 enne in una imperatrice quarantenne, i truccatori e i costumisti hanno avuto il loro bel da fare. Ma, effettivamente, solo un’attrice del calibro di Helen Mirren avrebbe potuto rendere giustizia al ruolo di un’imperatrice russa così potente. Quando dice “Sai cosa tengo in mano? Il Potere assoluto!”, non puoi non crederle. La vera Caterina fu però crudele, persino spietata in molte occasioni, un’immagine qui sacrificata a favore di una rappresentazione spesso sentimentale e umanizzante. Tuttavia, le sue battute caustiche e non di rado volgari, la sua passionalità e impulsività la sua sete sfrenata di potere e dominio, sono tutte componenti magistralmente trasmesse agli spettatori dalla Mirren.
Seguendo la miniserie tutti vedranno, finalmente, come essere un sovrano russo sia una responsabilità non invidiabile. Ogni episodio vede Caterina al lavoro dietro la sua scrivania, spesso di notte, o impegnata a presiedere il Consiglio dell’Alta Corte, ad avere la parola finale in un intrigo di palazzo, a organizzare i matrimoni di suo figlio e a occuparsi di una gran serie di altre cose.
In effetti, è difficile mostrare tutti i diversi impegni e compiti dell’imperatrice all’interno di una serie di quattro episodi, ma gli sceneggiatori sono riusciti a tratteggiarne la gran parte, a differenza di quanto avveniva con il Nicola II di Netflix. E le relazioni erotico-sentimentali con numerosi favoriti che riempiono l’intero film non sono affatto un’esagerazione fantastica come potrebbe sembrare. Caterina ebbe davvero una vita personale burrascosa, strettamente intrecciata con la sua vita politica. E uno dei ruoli principali fu quello del principe Grigorij Potemkin, che la monarca nominò principe di Tauride.
Il cinquantenne attore australiano Jason Clarke, che interpreta Potemkin, ha alle spalle oltre vent’anni di esperienza sul set (aveva recitato anche in “Child 44 - Il bambino n. 44”, film su uno dei principali serial killer russi) ed è molto convincente sia come giovane principe, sia in seguito, come comandante generale dell’Impero e conquistatore della Crimea.
Grigorij Potemkin fu un uomo nobile e coraggioso, nonostante la vita sontuosa presso la Corte lo avesse un po’ corrotto. Lui davvero “sceglieva” e controllava gli altri amanti di Caterina, tra cui Aleksandr Dmitriev-Mamonov.
Pure l’annessione senza spargimento di sangue della Crimea è fedelmente riprodotta nella serie. E anche se gli sceneggiatori hanno deciso di non mostrare la fine sanguinosa della campagna turca, almeno ci viene risparmiata la leggenda metropolitana dei “villaggi Potemkin”, finti villaggi di cartapesta che secondo una voce infamante lui avrebbe fatto costruire per impressionare l’imperatrice. Proprio come nel caso del personaggio di Caterina, anche Potemkin è umanizzato. È una persona reale che suscita interesse e simpatia e voglia di saperne di più.
Forse la figura più controversa dell’intera serie è Paolo I di Russia (il figlio di Caterina, poi imperatore dal 1796 al 1801), interpretato da Joseph Quinn. L’artista è molto più giovane degli altri attori protagonisti, ma questo non gli impedisce di offrire una prestazione convincente nei panni dell’impulsivo futuro sovrano, che include una tragica vita personale e una totale dipendenza da sua madre (che lo odiava; tanto che oggi potremmo definirlo vittima di “gaslighting”).
Tuttavia, Paolo (Pavel Petrovich), forse deliberatamente è tratteggiato come una personalità meno brillante di quanto non fosse nella vita reale: non c’è traccia qui della sua grande istruzione e dell’enorme talento da statista. Ed è addirittura offensivo che il suo regno venga bollato come “senza successo” dagli sceneggiatori in una didascalia a fine serie. Ma bisogna anche ricordare che non è il protagonista principale dello spettacolo; è Caterina qui a dover essere al centro della scena. Per questo, ancora più impattante il momento, verso la fine, in cui Paolo ordina che il suo defunto padre (che fu scalzato dal regno da sua madre e probabilmente ucciso per ordine di lei) venga commemorato in un modo adatto alla sua grandezza.
Anche le location e le scenografie delle scene cruciali sono molto importanti. Seppure non sempre siano fedeli alla verità storica, i palazzi corrispondono in modo molto preciso a quello che era lo stile dell’epoca. Ciò che renderà davvero felici gli appassionati di storia è che molte scene sono state girate in luoghi autentici: Gatchina, Tsarskoe Selò e il vero Peterhof sono tutti presenti nella serie (altre scene sono state girate invece in Lettonia e in Lituania). È un peccato che non sia stato possibile organizzare le riprese all’interno del Palazzo d’Inverno e del Gran Palazzo di Peterhof, ma quello che vediamo è sufficiente per immergerci nell’atmosfera di quel periodo in modo molto efficace, e per familiarizzare lo spettatore con la vita della Corte reale russa della seconda metà del XVIII secolo, anche se i cerimoniali di Corte sono un po’ semplificati.
Ma quindi, quali sono le cose meno azzeccate in questa “Caterina la Grande”? Sicuramente la portata di certi eventi. Allo spettatore non è del tutto chiaro, ad esempio, a quale livello di panico fossero arrivati l’imperatrice e i suoi stretti collaboratori a seguito della rivolta di Emeljan Pugachev. E la lotta contro di lui e il suo esercito fu molto più lunga e sanguinosa di quanto non ci venga mostrato nella serie anglo-americana del regista Philip Martin, sceneggiata da Nigel Williams.
E non viene detto assolutamente nulla delle riforme di Caterina, ed è un peccato che manchino la passione dell’imperatrice per le arti e il suo amore per la scienza, che avrebbero potuto tratteggiare ancor più positivamente la sua immagine. Anche le feste a Corte sono mostrate con modestia: in occasione della fine della campagna militare del 1768-1774, o in occasione della Presa di Ochakov, dopo l’assedio della città; ma questa è probabilmente una questione legata al budget della serie.
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Il compito di un prodotto cinematografico di massa non è riprodurre con estrema fedeltà gli eventi storici, ma trasmettere allo spettatore l’immagine di un’epoca, le sue impressioni. E “Caterina la Grande” svolge egregiamente questo compito. Recitazione di altissimo livello e luoghi storici reali sono sicuramente dei punti a favore nel giudizio complessivo alla serie. E se, dopo la visione, gli spettatori vorranno saperne di più sull’epoca del regno di questa donna eccezionale, allora la serie, oltre al piacere estetico, si sarà rivelata anche utile.
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