L’indiano Sammy Kotwani arrivò a Mosca nel 1990 con trecento dollari in tasca, e senza conoscere la lingua russa. Tuttavia, è riuscito a creare un business redditizio: ha fondato la casa sartoriale “The Imperial Tailoring Co.”/“Imperatorskij Portnoj” e ora veste l’élite politica e culturale della Russia. Inoltre, è entrato con successo nel mercato internazionale e cuce abiti per i capi di Stato delle ex repubbliche sovietiche.
All’inizio della pandemia di Covid-19, quando i casi erano ancora circoscritti in Cina, l’istinto imprenditoriale, e non solo, di Kotwani gli disse che la situazione sarebbe diventata presto seria: “Lavoro con la Cina, ho il mio ufficio ad Hong Kong. Già a gennaio, abbiamo capito di che gravità sarebbe stato il coronavirus.” Ha fatto rientrare i figli, che studiano in Inghilterra, e ha trasferito il laboratorio principale a casa sua.
Negli ultimi due mesi, l’atelier non ha preso ordini, si è completamente concentrato sull’organizzazione del lavoro nelle nuove condizioni e solo all’interno della Russia. Inoltre, Kotwani ha introdotto un nuovo servizio per i clienti: la manutenzione continua degli abiti. Secondo il sarto, lui è l’unico al mondo a offrire un tale servizio. Kotwani una volta ogni sei mesi pulisce, stira, inserisce nuove cerniere o orla le fodere e regola anche i pantaloni in base alle dimensioni del proprietario nel caso in cui abbia perso o preso peso (dopo la quarantena, questo si è rivelato importante). E il servizio è assolutamente gratuito, tuttavia, l’alto costo iniziale di un abito personalizzato copre i costi.
La produzione e il lavoro si svolgono ora a casa. Ma dove trovare i tessuti? Prima della quarantena, ce n’erano più di 100 mila diversi nell’arsenale del sarto di origini indiane, compresi i più costosi. Sorprendentemente, la pandemia non ha influenzato l’assortimento. I trasporti aerei delle merci sono ancora attivi, quindi può tranquillamente ordinare tessuti in Inghilterra o in Italia tramite corriere.
Durante la pandemia, lo Stato ha dato a qualsiasi imprenditore la possibilità di prendere un prestito senza interessi di 12.000 rubli (circa 150 euro) per ogni dipendente, e Kotwani ha deciso di usufruirne. Inoltre, il proprietario dell’immobile dove ha sede ha accettato di ridurre l’affitto del 50% per i mesi di lockdown.
Sammy non lascerà il Paese dopo 30 anni di lavoro. “La mia attività aumenterà grazie alla quarantena”, si dice ottimista sul futuro del suo atelier. “Già le persone sono stanche di indossare le mascherine. Quanto possono essere portate? Penso che andrà tutto bene!”
Il signor Kopiski chiede di essere chiamato alla maniera russa, con nome e patronimico, cioè John Janovich. Ricorda più Ded Moroz, il Babbo Natale russo, che un rigido inglese, e i suoi valori sono molto vicini a quelli di un russo: al primo posto viene la famiglia, e poi la ricchezza spirituale, che vede in contrasto con quella del materiale.
Venticinque anni fa John acquistò un ex kolkhoz nella città di Petushkì, nella regione di Vladimir (conosciuta per il libro “Mosca-Petushki” di Venedikt Erofeev). Qualche anno fa, ha deciso di dedicarsi all’agriturismo, un’attività completamente nuova per la Russia: ha organizzato una stalla, un caseificio, un hotel con 20-30 camere e un ristorante. I residenti locali sulle prime hanno preso tutto questo per la tenuta di un oligarca.
L’hotel e il ristorante hanno dovuto chiudere i battenti durante il lockdown, ma il lavoro non è diminuito: c’è molto da fare, con gli animali da mungere e il formaggio. All’inizio della pandemia, John aveva 4 mila mucche, che chiama “ragazze”. Secondo lui, le mucche devono essere protette dallo stress e ben curate, creando condizioni confortevoli in modo che diano più latte di migliore qualità.
“Le vendite di prodotti alimentari sono diminuite del 30% a causa della chiusura di numerosi negozi a Mosca, soprattutto nei grandi centri commerciali”. Quelle online sono leggermente aumentate, ma principalmente a Mosca, e non è redditizio consegnare fin là dalla regione di Vladimir (da Petushki alla capitale ci sono 125 chilometri).
John ammette di avere una propria visione del virus: “Ogni anno arriva l’influenza. Quest’anno è un po’ peggio del solito. Certo, abbiamo ascoltato i consigli dello Stato e del presidente, ma crediamo che si tratti più di politica che di pandemia.”
John fa affidamento sulla sua fede in Dio e crede che la situazione con il coronavirus non sia così grave in Russia, sebbene questa sia una lezione molto difficile. E anche se, secondo lui, “il capitalismo è in bancarotta”, è sereno perché alla sua famiglia non mancheranno mai le cose più importanti: latte, pane e carne.
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