Quando Lev Tolstoj fuggì dalla sua tenuta di Jasnaja Poljana, pochi giorni prima di morire, solo la figlia minore Aleksandra era a conoscenza dei suoi piani: era la persona di cui il padre si fidava di più negli ultimi anni della sua vita. E pensare che, da piccola, era stata la figlia meno amata della famiglia Tolstoj…
“Non voglio partorire”
Quando Sofja Tolstaja seppe di essere incinta del suo dodicesimo figlio, urlò: “Lev, non voglio partorire!”. Disperata a causa della costante infedeltà del marito, la contessa cercò di stimolare l’aborto, fece bagni caldi fumanti e saltò persino giù da un alto mobile più volte, ma Aleksandra nacque comunque, il 18 luglio del 1884. La madre fin dalla tenera età non volle saperne di crescerla, affidando la sua educazione a una balia e alla sorella maggiore Tatjana.
Aleksandra venne scolarizzata in modo intensivo. “Mi hanno insegnato l’inglese, il tedesco, il francese, la musica e il disegno dall’età di dieci anni”, ha scritto nel suo libro “La vita con mio padre”. “Studiavo ogni giorno dalle 9 alle 12, poi c’era una pausa per il pranzo e una passeggiata, e poi ancora sotto con lo studio dalle due alle sei. La sera, dopo cena, facevo i compiti. Non riuscivo ad assorbire tante nozioni e studiavo male... I miei interessi più grandi erano i cavalli, i giochi e lo sport”, scrive Aleksandra. Insomma, i suoi interessi erano proprio gli stessi di suo padre!
Da adolescente, detestava le cose femminili come i profumi e gli accessori di moda, e amava giocare con coltelli, trapani e lime. C’era molto di “maschile” in lei, e faceva perfettamente molte cose “da uomo”: in questo video la si vede guidare una carrozza come una professionista, consegnando regali ai bambini del villaggio.
La Rivoluzione bolscevica
Quando lei compì 16 anni, il padre divenne improvvisamente affettuoso nei suoi confronti. La portava a fare lunghe passeggiate e lei scriveva il diario di lui su dettatura. Quando Tolstoj decise di lasciare Jasnaja Poljana, Aleksandra fu l’unica a sapere del suo piano. Nel conflitto familiare, lei era completamente dalla parte del padre. Lo accompagnò quando lasciò segretamente la tenuta di notte e due giorni dopo si recò al monastero del villaggio di Shamordino, dove Tolstoj fece visita alla sorella Marija. Aleksandra rimase con il padre fino agli ultimi minuti della sua vita. In base al testamento di Tolstoj, dopo la sua morte Aleksandra ricevette i diritti sulla sua eredità letteraria.
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Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Aleksandra si offrì volontaria per diventare infermiera. In un’intervista del 1965 racconta di aver comandato una squadra di soccorso “composta da 6 medici, infermieri e una squadra di soldati” che trasportava i feriti negli ospedali. “All’inizio avevo paura di assistere agli interventi chirurgici, ma ora mi sto abituando”, scriveva alla sorella negli anni del conflitto. Al fronte, non erano le esplosioni, i proiettili e le scene cruente a colpirla di più, ma… la mancanza di acqua pulita. Cresciuta in una delle migliori case del Paese, era ossessionata dall’igiene. Eppure una donna del genere fu colpita da tifo e setticemia!
Per Aleksandra, una donna di famiglia nobile, era pericoloso stare tra i militari. Sempre più alimentati dalla propaganda bolscevica, i soldati contadini detestavano la nobiltà, così alla fine Aleksandra, che ricevette due medaglie di San Giorgio per il suo coraggio e il suo duro lavoro, dovette lasciare l’esercito. I soldati, racconta Aleksandra nella già citata intervista del 1965, “sapevano pochissimo di Lev Tolstoj. Pochissime persone avevano sentito questo nome. Tra coloro che lo conoscevano, naturalmente, l’atteggiamento era molto rispettoso. Ma, sa, io mi sono salvata non perché sono una persona speciale, ma proprio perché mio padre mi ha insegnato ad amare la gente comune, a capire la loro psicologia. E loro hanno sentito questo amore. Solo così mi sono salvata”.
Aiuto da Stalin, silenzio da Lenin
Aleksandra, figlia di un uomo che era stato ufficiale dell’esercito russo e nobile, era in pericolo dopo la Rivoluzione bolscevica. Solo Anatolij Lunacharskij, primo commissario del popolo per l’Istruzione, salvò Aleksandra nominandola commissario di Jasnaja Poljana.
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Nei tre anni successivi, Aleksandra aprì una casa-museo del padre e un museo della sua opera letteraria; aprì anche una scuola per bambini contadini, per la quale chiese aiuto a Stalin. “Trovammo una vecchia stalla per le mucche che ristrutturammo per ospitare le classi. Poi cominciammo a costruire la scuola, da soli… Una volta incontrai Stalin in persona, per chiedergli dei soldi per costruire una scuola… Non ho visto nulla di umano in lui, tranne quella gentilezza georgiana…”, ha confessato Aleksandra nell’intervista già citata. “Quando mi incontrò, mi raggiunse dall’estremità opposta di una stanza enorme, mi accompagnò fino in fondo quando me ne andai, mi sistemò la sedia, fu incredibilmente cortese e soddisfece tutte le mie richieste. Non posso dire altro su di lui”.
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Nel 1920, Aleksandra fu arrestata perché un anno prima aveva lasciato che una comunità antibolscevica si riunisse nel suo appartamento. Fu condannata a tre anni in un campo di lavoro. Arrivata lì, fu disgustata dalle condizioni terribili e scrisse persino una lettera a Lenin, pregandolo di giustiziarla piuttosto che tenerla in un posto puzzolente come quello. Lenin non rispose; tuttavia, dopo sei mesi Aleksandra fu liberata, probabilmente grazie alla scuola che aveva aperto per i contadini di Jasnaja Poljana. Le autorità pensavano che potesse essere più utile come insegnante e custode del museo del padre che come prigioniera.
La “Tolstoy Foundation” negli Usa
In epoca sovietica, l’istruzione era basata sulla propaganda antireligiosa. Aleksandra, profondamente religiosa, non poteva sopportarlo e cercò persino di promuovere l’istruzione religiosa a Jasnaja Poljana. Era chiaro che le cose potevano peggiorare, così si trasferì in Giappone e poi negli Stati Uniti. In seguito, in Urss le sue immagini e il suo nome vennero eliminati da libri e film: sembrava che Aleksandra Tolstaja non esistesse più.
Ma negli Stati Uniti Aleksandra non smise di fare ciò che amava: aiutare le persone. Comprò una fattoria abbandonata, imparò a guidare il camion e il trattore. Da vera Tolstoj, era indipendente: quando aveva bisogno di soldi prendeva prestiti e li restituiva sempre, senza mai chiedere aiuto ai “ricchi americani”. È interessante notare che in dieci anni, entro il 1939, aveva già organizzato la Fondazione Tolstoj (“Tolstoy Foundation”), finalizzata ad aiutare i rifugiati russi provenienti dall’Europa e dall’Unione Sovietica. Divenne cittadina statunitense nel 1941, abbandonando il titolo russo di contessa Tolstaja.
Solo nel 1978, Aleksandra, all’età di 94 anni, ricevette un invito a recarsi in Urss: erano passati 150 anni dalla nascita di suo padre. Già molto debole e costretta a letto, Aleksandra inviò una lettera in cui diceva di non poter andare per motivi di salute. “È difficile per me non essere con la mia gente sul suolo russo… Nel mio cuore non ho mai lasciato la Russia”. Morì a Valley Cottage, New York, il 26 settembre 1979, all’età di 95 anni.
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