Le dieci opere del grande artista Erik Bulatov da conoscere (FOTO)

Bulatov, uno dei fondatori del concettualismo moscovita e della Sots-Art, tiene con lo spettatore un dialogo continuo, facendolo letteralmente entrare nei suoi quadri. Questo è il suo modo di allargare i confini tra la pittura e la vita, rompendo la quarta parete. Anche perché, come ha detto lui stesso, il dipinto è l’unica realtà in cui crede

1 / “Taglio”, 1965-1966

Erik Bulatov è nato il 5 settembre del 1933 a Sverdlovsk (oggi: Ekaterinburg) e iniziò a disegnare ancora da bambino: all’età di sei anni si mise a creare delle sue illustrazioni per “Ruslan e Ljudmila” di Pushkin. Dopo aver visto i disegni, suo padre capì che Erik sarebbe diventato un artista. Diciamo che non ci furono mai dubbi su quale mestiere avrebbe fatto. Bulatov studiò presso i laboratori di Vladimir Favorskij e Robert Falk, che influenzarono in larga misura il suo stile. Una delle prime opere dell’artista, “Taglio”, a prima vista sembra un’illusione ottica, ma non appena si guarda da vicino si nota la profondità del quadro e la luce proveniente dal suo interno.

2 / “Orizzonte”, 1971-1972

È la vita stessa a suggerirgli delle trame. Una volta, in Crimea si ammalò e fu costretto a frequentare un poliambulatorio per sottoporsi alla termoterapia. Durante le procedure, l’artista cercava di vedere il mare, ma glielo impediva una trave rossa. Per quanto si sforzasse, non riusciva a cambiare l’angolazione. Così gli venne l’idea di creare un dipinto in cui sarebbe stato utilizzato un ostacolo naturale che copre le cose più preziose. Ed è così che nacque "Orizzonte": l’allegro paesaggio marino è rovinato da una passatoia rossa che copre l’orizzonte.

3 / “Il meraviglioso viaggio di Nils Holgersson”, 1978

Insieme ad altri artisti famosi – Ilja Kabakov e Oleg Vasiliev – Bulatov illustrava libri. In particolare lui creò illustrazioni per le fiabe di Charles Perrault e per le storie di Boris Zakhoder, Sergej Mikhalkov, Genrikh Sapgir, Selma Lagerlöf e i fratelli Grimm. Questo modo di guadagnare denaro – sei mesi lavorava per la casa editrice, sei mesi per se stesso – gli permetteva di trovare tempo per le sue ricerche creative. 

4 / “Gloria al Pcus”, 1975 

Negli anni Settanta l’artista iniziò a combinare paesaggi con iscrizioni da manifesto. Uno degli esempi eclatanti di questo fu il dipinto “Gloria al Pcus”: Bulatov stesso lo considera una delle opere principali del periodo sovietico. Le enormi lettere rosse letteralmente “combattono” con il paesaggio idilliaco, nascondendo il mondo della libertà. Nel 2008 quest’opera fu venduta per 1,08 milioni di sterline alla casa d’aste Phillips. Nel 2003 l’artista ne dipinse una replica, che oggi si trova nella collezione del Centro Georges Pompidou a Parigi.

5 / “Via Krasikova”, 1977

Nell’Urss era difficile esporre l’arte non ufficiale: ad esempio, la mostra di Bulatov all’Istituto Kurchatov durò appena un’ora, dopodiché fu vietata. Ma all’estero il lavoro dell’artista suscitava l’interesse e le sue opere venivano richieste per varie mostre. Il Ministero della Cultura “bollò” l’arte incomprensibile di Bulatov come priva di valore artistico e i dipinti venivano mandati a mostre in gallerie straniere. Nel frattempo, l’artista  continuava a sperimentare: nei suoi paesaggi iperrealistici apparvero “impedimenti” che ostacolavano il movimento e la veduta. Così, in “Via Krasikova” in mezzo alla strada c’è un enorme poster con l’immagine di Lenin: non è chiaro se dietro di lui ci sia o meno una strada.

6 / “Brezhnev. Lo spazio cosmico sovietico”, 1977

La visione ironica dell’artista veniva spesso presa letteralmente. Questo, ad esempio,  succedette con il dipinto “Lo spazio cosmico sovietico”. Tuttavia, il ritratto del Segretario generale Breznev, circondato con le bandiere delle repubbliche sovietiche come se fossero un’aureola, fu bandito. Bulatov stesso raccontava che in questo dipinto stesse cercando di attirare l’attenzione sull’anormalità della vita, che la maggioranza di persone accetta come normalità.

7 / “Le nuvole si dissolvono”, 1982-1987

Le opere di Bulatov spesso contengono riferimenti ad altri autori. Ad esempio, “La porta è aperta” è un omaggio a Velázquez. Mentre “Le nuvole si dissolvono” ci ricorda la fotografia di Aleksandr Rodchenko scattata a Pushkino sulla quale dallo stesso angolo di ripresa si vedono pini. Questo paesaggio forestale di Bulatov non è accompagnato da iscrizioni, ma ciò non rende l’opera meno inquietante. Piuttosto, le cime dei pini che vanno verso l’alto evocano la sensazione di un pericolo imminente. Eppure il dipinto fa pensare all’idea nazionale russa contemporanea.

8 / “Louvre. Gioconda”, 1997-1998

L’artista ottenne il riconoscimento all’estero alla fine degli anni Ottanta. Sue mostre personali si tennero al Centro Pompidou e alla Kunsthalle di Zurigo. Nel 1989, insieme alla moglie Natalija, Bulatov partì per New York, per poi trasferirsi a Parigi, dove vive oggi ancora oggi. Lui ribadisce che non è emigrato, ma ha semplicemente cambiato il posto di lavoro. I suoi pensieri sull’interazione con l’arte sono stati incarnati nel dipinto “Louvre. Gioconda”, solo che qui tra il pubblico e il capolavoro di Leonardo c’è un confine tangibile.

9 / “Il dipinto e gli spettatori”, 2011-2013

L’artista ritiene che il più importante pittore russo sia il classico del XIX secolo Aleksandr Ivanov. Il suo capolavoro “L’apparizione di Cristo al popolo”, esposto alla Galleria Tretjakov, secondo Bulatov è progettato in modo tale che ci sia sempre qualcuno davanti al dipinto, e la tela stessa è creata in modo tale che “ingoi” tutti dentro di sé. Nel 2011, l’artista decise di ripensare il dipinto di Ivanov e creò l’opera “Il dipinto e gli spettatori”: in essa, i visitatori della galleria si mescolano con la folla che osserva l’avvicinarsi del Salvatore e guarda Giovanni Battista. Il confine tra l’arte e la realtà scompare.

10 / “Tutto non è così spaventoso”, 2016

Il laboratorio di Eric Bulatov è stato uno dei primi ad apparire nel centro d’arte “The Foundry”, nel sud della Francia. Qui ha lasciato alcune delle sue opere: non si tratta più di dipinti, ma di installazioni tridimensionali. Tra questi ci sono “Exit” e “Tutto non è così spaventoso”. Le lettere alte due metri salgono per quattro piani, riempiendo lo spazio, e sono illuminate dalla luce che entra dai finestrini sul tetto. L’opera provoca ansia, ma allo stesso tempo la speranza che tutto migliorerà.

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