Aleksandr Borisov, il primo artista che ha dipinto l’Estremo Nord (FOTO)

I suoi straordinari paesaggi polari hanno conquistato la fama in tutto il mondo: sue mostre personali si sono tenute a Parigi, Londra e in altre capitali europee. Organizzava spedizioni estremamente rischiose tra i ghiacci, e portò cavalletto, colori e pennelli dove non erano mai arrivati

“L’Estremo Nord, con la sua natura cupa, ma potente e misteriosa, con i suoi ghiacci eterni e la sua notte quasi infinita, mi ha sempre attratto”, ha scritto Aleksandr Borisov (1866-1934) nel suo libro del 1909 “Nel Paese del freddo e della morte” (“В стране холода и смерти”). Fin dall’infanzia sognava di viaggiare e non avrebbe mai immaginato che il suo fascino per il Nord lo avrebbe reso famoso come pittore.

Un artista che non aveva mai sentito parlare di pittura

Borisov nacque nel Nord della Russia, vicino a Vologda, in una povera famiglia di contadini. Nel suo villaggio natale non c’era nemmeno una scuola e imparò a leggere grazie al salterio di un vicino. A quel tempo il ragazzo non ne sapeva nulla della pittura: di dipinto aveva visto solo le icone. Soltanto quando dei pittori vennero dalla città a dipingere la chiesa locale, Borisov vide per la prima volta un dipinto a colori. Lo sconvolse e si innamorò subito della pittura. Prese un libro per bambini e iniziò a disegnare. 

“A Murman. Vicino al porto”, 1896

Quando l’artista compì 18 anni, andò con la madre in pellegrinaggio al Monastero Solovetskij e si rifiutò di lasciarlo. Borisov aveva pianificato tutto in anticipo e fin dall’inizio non intendeva tornare: voleva entrare nella scuola di pittura di icone del monastero. Fu accettato e così iniziò il viaggio artistico di Borisov. Grazie al suo straordinario successo, dopo soli sei mesi partì per San Pietroburgo e nel 1895 entrò all’Accademia delle Arti, la scuola d’arte più prestigiosa dell’Impero russo. Qui studiò sotto la guida dei famosi artisti russi Ivan Shishkin e Arkhip Kuindzhi

La vita nella capitale e l’opportunità di studiare pittura, tuttavia, non cambiarono l’amore di Borisov per il Nord. Cresciuto nelle aspre terre settentrionali, che però gli sembravano già molto antropizzate (i pomory già da diversi secoli vivevano sulle coste del Mar Bianco e del Mar di Barents), Borisov era attratto non tanto dal Nord russo, dove gli uomini avevano dimostrato fa tempo di saper vivere e lavorare, ma dall’Estremo Nord, dove l’uomo non aveva ancora messo piede.

“Ghiaccio polare nello Stretto di Matochkin (Novaja Zemlja, estate)”, 1896

Nel 1896 Borisov si recò per la prima volta nell’Estremo Nord, visitando l’arcipelago di Nóvaja Zemljá. Le opere riportate da questo viaggio attirarono l’attenzione del famoso collezionista Pavel Tretjakov. Il fondatore della celebre galleria di Mosca acquistò tutte le opere realizzate nel corso della spedizione.

Una spedizione quasi fatale

L’artista iniziò a viaggiare spesso verso il Nord e nel 1897 organizzò una propria spedizione a Novaja Zemlja. A questo scopo prese in affitto la nave “Mechtá” (“Sogno”) ad Arkhangelsk, noleggiò diverse altre imbarcazioni per trasportare tutte le provviste necessarie e portò con sé uno zoologo, un chimico e degli operai. Borisov stesso scrisse in seguito che voleva realizzare il maggior numero possibile di opere durante questo viaggio per “far conoscere alla società i posti lontani del nostro mondo, per dare un’immagine reale del mondo misterioso, dove l’artista non ha ancora messo piede”.

“Bambino nenets, Stretto di Matochkin, Novaja Zemlja”, 1896

L’equipaggio costruì una casa su Novaja Zemlja e partì verso l’Estremo Nord. L’equipaggio voleva esplorare le isole del Mare di Kara e “spingersi il più a nord possibile”. Ma le cose non andarono come erano previste.

La spedizione per poco non si concluse con la morte dell’intero equipaggio. La “Sogno” rimase bloccata nel ghiaccio e dovette essere abbandonata. Gli esploratori dovettero camminare sul ghiaccio per molti giorni. All’inizio, i cani trascinarono le loro cose e il cibo sulla slitta, ma quando il ghiaccio divenne sottile, morirono cadendo nel buco formatosi nel ghiaccio insieme a tutto il carico. In seguito, il pezzo di ghiaccio su cui si trovava l’equipaggio si spaccò e separò i viaggiatori. Li portò lontano alla deriva gli uni dagli altri, ma per miracolo dopo il tempo si ritrovarono di nuovo insieme. A questo punto, tutti avevano perso le speranze di sopravvivenza, così Borisov decise di salvare i membri dell’equipaggio che avevano famiglia. Disse loro di prendere l’unica barca e di navigare da soli verso Novaja Zemlja. La nave non era abbastanza grande per tutti. Ma i suoi compagni si rifiutarono e l’equipaggio proseguì. “Si deve camminare, ma come si può andare se si riesce a malapena a muovere le gambe? Si siede lì nella neve e non c’è voglia di parlare o guardarsi negli occhi. Tutti pensano alla morte. Quando ci si addormenta la sera, non si spera di rivedere l’alba”, scrive Borisov in quel momento terribile. La sua situazione era la più deprimente di tutte, perché era il capo della spedizione e si considerava colpevole, ma alla fine fu proprio il senso di responsabilità a dargli forza. 

“L’imbarcazione nel ghiaccio. La nave ‘Mechtá’”, 1899

La salvezza arrivò da dove non se l’aspettava. Ben presto Borisov notò delle yurte della popolazione Nenets. L’equipaggio era salvo.

“Un chum [la tipica tenda dei nenets] a Malye Karmakuly, Novaja Zemlja”, 1896

Uno di casa tra i Nenets

Le spedizioni successive di Borisov furono più tranquille, grazie anche alla sua amicizia con i Nenets (detti anche Nenezi o Nenci). Il capo della comunità rilasciò all’artista un documento che gli consentiva di viaggiare liberamente tra le case dei nenets senza temere per la propria vita. Ma la carta non gli servì: in breve tempo divenne un personaggio ben noto tra la gente del posto e si adattò ai loro usi. Come loro, dormiva in un buco nella neve, beveva sangue di renna, mangiava carne cruda e andava a caccia. Borisov ha descritto le sue impressioni sulla vita tra i Nenets nel suo libro “Dai Samoiedi. Da Pinega al Mar di Kara” (“У самоедов. От Пинеги до Карского моря”). L’artista si assimilò a tal punto che i Nenets lo fecero persino entrare nei loro luoghi sacri: fu il primo viaggiatore a visitare gli idoli Nenets sull’isola di Vajgach.

“Cimitero sull’Isola Vajgach”, 1898
“Tra i ghiacci”, 1896

All’inizio del XX secolo, Borisov viaggiò in Europa, dove organizzò diverse mostre personali. Oltre ai dipinti, portò con sé le fotografie scattate durante le sue spedizioni. Furono organizzate mostre in Germania, Austria, Repubblica Ceca e nel 1906 fu inaugurata una mostra a Parigi. In seguito furono organizzate mostre in Inghilterra e negli Stati Uniti con grande successo: negli Stati Uniti l’artista incontrò persino il presidente Theodore Roosevelt.

“Notte polare in primavera”, 1897

Dopo la Rivoluzione, Borisov perse il suo studio. Presumibilmente a causa dei rapporti poco felici con Igor Grabar, artista influente in Unione Sovietica, anche la sala di Borisov alla Galleria Tretjakov fu chiusa.

“Aspettando una bestia marina (Dalla vita dei samoeiedi di Novaja Zemlja)”, 1896

Solo negli anni Novanta è iniziato il recupero della memoria di questo artista. Oggi le sue opere si possono vedere alla Galleria Tretjakov, e la tenuta di Borisov a Krasnoborsk (regione di Arkhangelsk) è diventata un museo nel 2001.

“Il Paese della morte. Notte d’agosto nel Mar Glaciale Artico”, 1913


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