In Urss, le restrizioni della censura non lasciavano indenne nemmeno il genere fantascientifico. In particolare, si riteneva che non dovesse trasformarsi in una cupa distopia, ma piuttosto mostrare il progresso e il futuro sotto una luce positiva. In ogni caso, gli scrittori potevano far correre maggiormente la fantasia, e così l’Unione Sovietica fu inondata di libri di fantascienza.
Riviste come “Nauka i Zhizn” (“Scienza e Vita”), “Vokrug Sveta” (“Intorno al mondo”), “Tekhnika–molodjozhi” (“Tecnica-giovani”), “Znanie – sila” (“La conoscenza è potere”) pubblicarono molte opere di questo genere, e appositamente per esse i migliori artisti crearono illustrazioni che divennero anch’esse di culto. Negli anni Sessanta arrivarono i fratelli Strugatskij, Kir Bulychev e altri scrittori, che misero al centro delle loro opere le conquiste scientifiche e tecnologiche del futuro, l’era spaziale e il progresso. Questi autori avevano un intero esercito di fan in Unione Sovietica, perché creavano nuovi mondi, davano spazio all’“emigrazione interiore”, alla fantasia e alla fuga, seppur breve, dalla realtà sovietica. Uno dei pionieri del genere negli anni Venti era stato Aleksandr Beljaev (1884-1942).
Beljaev era appassionato di romanzi d’avventura fin dall’infanzia e cercava di rendere la sua vita un’avventura: costruì un aliante e un paracadute nella speranza di volare, condusse esperimenti e realizzò molti macchinari strani. Era nato a Smolensk nel 1884, ai tempi dell’Impero Russo. Seguendo il consiglio del padre sacerdote, entrò in seminario, ma invece proseguire la sua strada nella Chiesa, presto si dichiarò in seguito ateo e, sfidando i genitori, decise di studiare per diventare avvocato. Inoltre, Beljaev, che amava la recitazione fin dall’infanzia, si interessò molto alla musica e al teatro: divenne attore al Teatro nazionale della natia Smolensk, disegnò scenografie, imparò a suonare il violino e fece parte dell’orchestra di un circo. Mosse allora i primi passi nella scrittura: i giornali locali pubblicarono alcuni suoi articoli; in particolare recensioni e reportage.
Aleksandr Beljaev, con il taccuino, ai tempi in cui faceva il corrispondente dello “Smolenskij Vestnik” (ossia: “Il Messaggero di Smolensk”), 1914
Dominio pubblicoBeljaev accolse con entusiasmo la prima Rivoluzione russa del 1905, recandosi persino a Mosca per partecipare a uno sciopero e finendo sotto le attenzioni della gendarmeria zarista. Grazie ai suoi studi, lavorò come avvocato, guadagnando bene. Ma la sua vera passione erano il teatro e il giornalismo.
È difficile immaginare se Beljaev sarebbe diventato un grande scrittore, muovendosi tra teatro, giornali e tribunali. Nel 1915, tuttavia, si ammalò gravemente: le sue gambe rimasero paralizzate a causa della Malattia di Pott (tubercolosi spinale). Sebbene costretto a letto per oltre tre anni (e abbandonato dalla giovane moglie), non si disperò e anzi iniziò a studiare le lingue straniere, a leggere voracemente tutto quello che trovava sulle nuove tendenze scientifiche e tecnologiche, e a immergersi nel mondo dei romanzi di Jules Verne e H. G. Wells. Era anche affascinato dalle idee progressiste del “Da Vinci russo”, Konstantin Tsiolkovskij. Di conseguenza, Beljaev prese in mano la penna, non più come giornalista, e iniziò a scrivere racconti e persino poesie, e le sue prime opere furono pubblicate su diverse riviste.
Sopravvisse alla Rivoluzione e alla Guerra civile, durante la quale la madre morì di fame. Ma nel 1922 Beljaev, quasi per miracolo, iniziò a sentire di nuovo le gambe. Imparando a camminare di nuovo con l’aiuto di un innovativo corsetto di celluloide, si risposò e si trasferì a Mosca, esercitando la professione di avvocato. Anche se i gravi problemi di salute si riaffacciarono più volte.
Aleksandr Belyaev, circa 1915
Dominio pubblicoBeljaev rimane affascinato dalla fotografia, dalle comunicazioni radio e da altre nuove tecnologie dell’epoca. La fantasia lo portò in mondi immaginari e dalla metà degli anni Venti iniziò, uno dopo l’altro, a comporre romanzi che diventeranno poi dei cult.
In “Golová proféssora Douelja” (“Голова профессора Доуэля”; ossia: “La testa del professor Dowell”; non tradotto in italiano), uscito nel 1925, lo scienziato riporta in vita le teste di persone morte (contro la loro volontà). “L’uomo anfibio” (1928; “Человек-амфибия”; “Chelovék-amfibija”; pubblicato in italiano nel 2018 da Alcatraz nella traduzione del Kollektiv Ulyanov) racconta di un giovane che vive sott’acqua. Negli anni Sessanta, da libro è stato tratto un il film, campione di incassi del 1962. “Zvezdá Kets” (“Звезда КЭЦ”; ossia “La Stella KETs”;1936) racconta di scienziati che esplorano con successo la Luna e vivono per lunghi periodi sul satellite della Terra.
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Beljaev ha scritto un totale di 17 romanzi e molti altri racconti, nei quali ha descritto la trasmissione di pensieri a distanza e l’energia senza fili, una fabbrica che produce aria liquefatta da vendere e l’isola delle navi perdute nell’oceano. Molte delle fantasie di Beljaev sono state premonitrici di sviluppi scientifici reali: la vita (e la fotografia) sottomarina, l’esplorazione dello Spazio con equipaggio umano, i trapianti e persino i droni.
Un anno prima della sua morte, avvenuta nel 1942, Beljaev pubblicò il suo ultimo romanzo, “Ariel” (“Ариэль”), su un giovane in grado di volare. Come l’autore stesso avrebbe voluto fare da bambino…
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1 / “Golová proféssora Douelja” (“La testa del professor Dowell”) – 1925
Fotogramma del film sovietico “Il testamento del professor Dowell”, regia di Leonid Menaker, 1984
Leonid Menaker/Lenfilm, 1984Un chirurgo esegue un’operazione di successo (e incredibile): riporta in vita la testa del defunto professor Dowell. Il chirurgo inizia ad approfittare della grande intelligenza del professore ed esegue sempre più operazioni di questo tipo in completa segretezza. L’assistente del chirurgo incontra il figlio di Dowell e insieme vogliono smascherare il chirurgo “cattivo”, che conduce esperimenti sulle persone contro la loro volontà. Vittima della paralisi, Beljaev in questo romanzo ha voluto trasmettere “ciò che una testa può sperimentare senza un corpo”. Come detto, l’opera non è stata tradotta in italiano.
2 / “Vlastelin mira” (“Il sovrano del mondo”) – 1926
Per guadagnarsi da vivere, un giovane scienziato tedesco è costretto a lavorare part-time come segretario per un banchiere. Nel tempo libero fa esperimenti e crea persino un apparecchio che, come le onde radio, permette di trasmettere i pensieri a distanza (una questione che interessava molto Beljaev). Per volere del destino, sposa l’ereditiera della gigantesca fortuna del suo banchiere. Inizia furbescamente ad agire a nome di lei. E poi, per evitare di essere incriminato, conduce sessioni di massa di trasmissione del pensiero, e così ispira, in interi quartieri di Berlino, talora il panico, talaltra l’euforia… “Vlastelin mira” (“Властелин мира”) non è tradotto in italiano.
3 / “L’uomo anfibio” – 1928
Fotogramma del film sovietico “L’uomo anfibio”, regia di Vladimir Chebotarjov e Gennadij Kazanskij, 1961
Vladimir Chebotarev, Gennadij Kazanskij/Lenfilm, 1961Un giovane di nome Ikhthjandr da bambino aveva i polmoni molto deboli e, per sopravvivere, un chirurgo gli trapiantò le branchie di uno squalo. Da allora, Ikhthjandr è in grado di vivere sott’acqua. Tuttavia, non poteva vivere in pace: i marinai che lo avevano avvistato decisero di catturare il “diavolo marino” e di usarlo per i loro scopi maligni. Nel frattempo, l’anfibio si innamora di una ragazza che ha salvato mentre stava annegando in mare. A proposito, Beljaev ha in un certo senso predetto il futuro: il suo Ikhthjandr nuota con una tuta sottile e avvolgente, con pinne, guanti e occhiali con lenti spesse. Ma le mute moderne, realizzate in neoprene e simili a una seconda pelle, hanno iniziato a comparire solo negli anni Cinquanta negli Stati Uniti. Come detto, in Italia è stato ritradotto dal Kollektiv Ulyanov ed è uscito nel 2018 per i tipi di Alcatraz. Era già uscito nel 1948 come “Il diavolo del mare“ (edizione Genio, nella traduzione di Erme Cadei) e nel 1980 nella traduzione di Paolo Serbandini (in “Rassegna Sovietica 3-6”).
4 / “Zvezdá KETs” (“La Stella KEts”) – 1936
Uno dei primi romanzi sovietici sullo Spazio è dedicato allo scienziato cosmista Konstantin Tsiolkovskij, che Beljaev ammirava (e le sue iniziali, con tanto di patronimico – Konstantin Eduardovich TSjolkovskij – sono codificate nel KETs del titolo). Per caso, il giovane scienziato di Leningrado Artemjev scopre che nelle lontane montagne del Pamir esiste un luogo da cui si può volare nello Spazio con dei razzi. Si scopre anche che la Terra ha dei satelliti artificiali, dove vivono e lavorano alcuni scienziati. Lo stesso Artemjev riesce a volare sulla Luna, dove trova segni di vita. Il libro non è tradotto in italiano.
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