1 / Ha dato la definizione perfetta della Russia
Умом — Россию не понять,
Аршином общим не измерить.
У ней особенная стать —
В Россию можно только верить.
La Russia non si intende con il senno,
Né la misura col comune metro:
la Russia è fatta a modo suo,
in essa si può credere soltanto.
Questa breve poesia, che in italiano riportiamo nella storica traduzione di Tommaso Landolfi (1908-1979), è stata scritta nel 1866 da Fjódor Tjùtchev (1803-1873), ed è conosciuta a memoria da tutti i russi. È difficile immaginare una definizione più completa e chiara dell’essenza della Russia e della chiave della misteriosa anima russa. C’è infatti una convinzione diffusa che la Russia abbia un percorso tutto suo, e che culturalmente non appartenga pienamente né all’Europa né all’Asia.
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2 / Ha vissuto in Germania per oltre vent’anni e ha tradotto poeti tedeschi
Fjodor Tjutchev proveniva da un’antica famiglia nobile, era nato nella tenuta di famiglia di Ovstug, 440 chilometri a sud-ovest di Mosca, nella regione di Brjansk. Ricevette un’eccellente istruzione a casa: conosceva il greco antico, il latino e molte altre lingue europee. Da giovinetto tradusse in russo le odi di Orazio.
Dopo l’università, Tjutchev entrò nel servizio diplomatico e fu inviato a Monaco di Baviera. Lì divenne amico di Heinrich Heine e fu il primo a tradurre Heine in russo. Ha anche tradotto Goethe e Schiller dal tedesco, ma non si limitò ai tedeschi: fece conoscere ai lettori russi anche Byron e Hugo. Molte delle traduzioni di Tjutchev sono ancora riconosciute dai filologi russi come canoniche.
In Germania, il poeta era conosciuto come un damerino e sposò una donna tedesca: Emilia Eleonore Sophie Louise Christine Gräfin von Bothmer (in prime nozze Peterson), che gli diede tre figlie, che in seguito divennero tutte damigelle d’onore della famiglia imperiale. A proposito, alcune delle poesie più famose di Tjutchev, come “Bufera primaverile” (“Amo all’entrar di maggio la bufera/quando il primaverile, primo tuono/ come per gioco e folleggiando/ brontola su nel cielo azzurro”) o “Inverno invano garre” (“Inverno invano garre/ è passato il suo tempo:/ la Primavera batte/alle porte e lo scaccia”), che molti russi amano citare guardando fuori dalla finestra, sono state scritte in Germania e sono in effetti ispirate dalla natura tedesca e non da quella russa.
3 / Attraverso il romanticismo giunse alla poesia politica
Le prime poesie di Tjutchev ricordano la complessa poesia arcaica del XVIII secolo. Nella forma, sono simili alle odi: si rivolge all’interlocutore, fa appello a qualcosa. Negli anni Venti dell’Ottocento, Tjutchev formò il suo atteggiamento nei confronti dei fini della poesia. Nella sua risposta all’ode “La Libertà” (“Вольность”) di Aleksandr Pushkin (1799-1837), per la quale quest’ultimo fu mandato in esilio, Tjutchev sostiene che l’obiettivo di un poeta non è criticare lo zar o denunciare i vizi della società e che il poeta deve rassenerenare gli spiriti:
Своей волшебною струною
Смягчай, а не тревожь сердца!
“Con la tua corda magica
Alleggerisci, non turbare i cuori!”
Dagli anni Trenta del XIX secolo, la poesia di Tjutchev è già più simile al romanticismo, ed è chiaramente influenzata dai poeti tedeschi. Le sue poesie sono spesso brevi e precise, in ognuna si occupa di un argomento specifico.
Uno dei suoi temi preferiti è il dialogo tra l’uomo e l’universo. Gli eroi lirici sono lasciati soli con il cielo, le stelle, e realizzano la loro insignificanza rispetto all’eternità, come in questa composizione del 1859.
Есть много мелких, безымянных
Созвездий в горней вышине,
Для наших слабых глаз, туманных,
Недосягаемы оне…
“Ci sono molte piccole costellazioni
senza nome nell’alto dei cieli,
Per i nostri occhi deboli e annebbiati
Sono irraggiungibili…”
Tuttavia, la sua retorica cambia completamente nella maturità. Dopo quasi dieci anni di pausa dalla poesia, Tjutchev iniziò a scrivere di nuovo e dagli anni Cinquanta produsse principalmente poesia politica. Si preoccupò del destino della Russia, rispondendo agli attacchi dell’Occidente, glorificando la solitaria opposizione della sua patria al mondo. La poesia “La Russia non si intende con il senno” appartiene pienamente a questa sua nuova tendenza.
4 / Era un censore professionista
Tjutchev tornò in Russia nel 1844 e continuò a prestare servizio per il Ministero degli Affari Esteri, occupandosi della censura. Durante questo periodo, scrisse molti articoli giornalistici, anche in lingue straniere. Parlava soprattutto della Russia e dell’Occidente ed esprimeva anche l’idea che i popoli slavi dovrebbero unirsi sotto la guida della Russia.
Tjutchev scrisse una nota “Sulla censura in Russia” al ministro degli Affari esteri, il principe Aleksandr Gorchakov (che era un compagno di liceo di Pushkin). Preoccupato per i disordini in Europa, Tjutchev riteneva che con la stampa si dovesse andare molto cauti, e che utilizzandola bene si potesse rafforzare la posizione dello Stato. Tuttavia, non chiese mai restrizioni particolarmente liberticide, e insisté soprattutto sulla sua visione di “Stato genitore” che deve istruire le menti immature dei “cittadini adolescenti”.
“La censura da sola, indipendentemente da come agisce, è ben lungi dal soddisfare i requisiti dell’attuale stato di cose. La censura serve come limitazione, non come guida. E nella nostra letteratura, come in ogni altra cosa, dovremmo occuparci non tanto della repressione, quanto di dare una direzione”.
L’imperatore Nicola I approvò personalmente il fatto che Tjutchev apparisse sulla stampa occidentale e che sostenesse l’immagine positiva della Russia in Occidente.
5 / Credeva che una rivoluzione fosse impossibile in Russia
Sconvolto dai moti del 1848-49 in Europa, la cosiddetta “Primavera dei popoli”, Tjutchev scrisse il trattato “La Russia e la rivoluzione” (contenuto in “La Russia e l’Occidente”). Là descrive in quale deplorevole, a suo avviso, stato siano fossero Francia, Germania e Austria dopo i disordini. Riflette anche sulla natura del popolo russo e scrive che la rivoluzione gli è estranea.
“Prima di tutto, la Russia è uno stato cristiano, e il popolo russo è cristiano non solo a causa dell’ortodossia della sua fede, ma anche per qualcosa di più profondo e sincero”. Il poeta scrive che i russi hanno nel sangue la capacità di sacrificarsi, e che, essendo la rivoluzione contraria al cristianesimo e alle norme morali, non minaccia i russi.”
Tjutchev considerava l’autocrazia la via tracciata da Dio. Il poeta morì nel 1873 e non ebbe il tempo di vedere né le rivoluzioni russe del XX secolo, né le prime ondate di rivolta, né come nel 1881 i rivoluzionari uccisero l’imperatore Alessandro II.
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