Se vogliamo andare alla sostanza delle cose, le varie incomprensioni tra gli anziani della generazione del baby boom (i nati in Nordamerica e in Europa tra il 1945 ed il 1965) e i giovani nati poco prima o subito dopo il 2000, con tutto il loro portato di meme (il più diffuso: “Ok, boomer!”), non sono altro che l’ennesima edizione del contrasto intergenerazionale. Nel XIX secolo non si parlava certo di “boomer” e di “zoomer”, ma alcune dinamiche erano simili, come ci dimostrano dei pregevoli esempi tratti dalla letteratura russa. Ne “Il duello” di Chekhov, racconto del 1891, Samojlenko e Von Koren hanno all’incirca la stessa età, ma uno di loro rappresenta la visione del mondo più antica e conservatrice, e l’altro quella più moderna e liberale. In Turgenev (“Padri e figli”, romanzo del 1862) tra Bazarov e Kirsanov, il più anziano, insolitamente, sostiene il liberalismo, mentre il più giovane è critico nei confronti di tutto in generale; un nichilista.
E poi c’è la geniale commedia in versi di Aleksandr Griboedov, “Che disgrazia l’ingegno!” (1825), dove il giovane, acuto e brillante Aleksandr Chatskij, torna a Mosca dopo un viaggio di tre anni e si scontra con il padre dell’amata Sofija, il padre vedovo Famusov, dalle stantie vedute.
Perché stiamo scrivendo di questo? Per dimostrare che nella discussione tra le generazioni più anziane e quelle più giovani, non è cambiato molto: gli argomenti e i rimproveri reciproci sono sempre gli stessi: laboriosità contro pigrizia, gente del posto contro stranieri, vecchio contro nuovo…
Samojlenko è un medico militare di età sconosciuta. È rozzo e semplice, ma è rispettato e amato dalla gente. Il suo amico è un giovane zoologo di nome Von Koren. Stanno discutendo del loro conoscente Laevskij, un uomo di 28 anni dalla vita piena di guai. Samojlenko difende Laevskij, dicendo che sta attraversando solo un periodo difficile. Ma Von Koren, afferma che Laevskij non merita alcuna pietà.
Samojlenko: “Ho visto oggi Vanja Laevskij. Non ha una vita facile, poveretto. Il lato materiale è poco consolante, ma la cosa principale è che la psicologia ha preso il sopravvento. Mi fa pena.” “Ecco qualcuno che non mi fa proprio pena!”, disse Von Koren. “Se quel caro uomo stesse affogando, lo spingerei pure con un bastone: affoga, fratellino, affoga…” “Non è vero. Non lo faresti.” […] “Laevskij senza dubbio è dannoso e pericoloso per la società quanto il microbo del colera”, continuò Von Koren, “affogarlo, è un merito.” […] “Ho capito Laevskij fin dal primo mese della nostra conoscenza”, continuò. […] “Fin dai primi tempi mi aveva colpito per la sua straordinaria capacità di mentire, che mi faceva semplicemente nausea. In qualità di amico lo sgridavo perché beveva molto, perché spendeva più di quanto potesse permettersi e faceva debiti, perché non faceva niente e non leggeva, perché era così poco colto e sapeva così poco, e in risposta a tutte le mie domande egli sorrideva amaramente e diceva: ‘Sono un uomo sfortunato, un uomo superfluo’ oppure ‘che cosa pretendete, batenka, da noi, avanzi della servitù della gleba?’ oppure ‘noi degeneriamo…’ Oppure cominciava a spropositare a lungo su Onegin, su Pechorin, sul Caino di Byron, su Bazarov, dei quali diceva ‘questi sono i nostri padri nella carne e nello spirito’. Come dire: capite, dunque, che lui non è colpevole del fatto che i plichi dello Stato restino non dissigillati per delle settimane, che si ubriachi e che faccia ubriacare gli altri, ma colpevole di questo sono Onegin, Pechorin e Turgenev, che hanno inventato l’uomo sfortunato e l’uomo superfluo.” (Garzanti editore)
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Pavel Petrovich Kirsanov, ai tempi nostri sarebbe il boomer: è un ufficiale in pensione e un aristocratico che sostiene il liberalismo. Evgenij Bazarov è uno studente e un nichilista, che disprezza il liberalismo e il conservatorismo. Stanno discutendo di scienza e Kirsanov sta cercando disperatamente di capire la logica ribelle di Bazarov, ma è sempre più amareggiato, ascoltandolo.
“Si occupa di fisica, esattamente?”, domandò a sua volta Pavel Petrovich. “Di fisica, sì, e, in generale, di scienze naturali”. “Dicono che i germanici abbiano fatto grandi progressi in questo campo negli ultimi tempi”. “Sì, i tedeschi sono i nostri maestri”, rispose con noncuranza Bazarov. Pavel Petrovich aveva usato la parola germanici, invece di tedeschi, con ironia, ma nessuno se n’era accorto. “Ha un’opinione così alta dei tedeschi?”, domandò ancora con studiata gentilezza. Cominciava a provare una segreta irritazione. La sua natura aristocratica era turbata dalla perfetta disinvoltura di Bazarov. Il figlio del medico non solo non arrossiva, ma rispondeva a scatti e svogliatamente, e nel tono della sua voce c’era qualcosa di rozzo, quasi di insolente. “I loro scienziati sono bravi”. “Sì, sì. E degli scienziati russi, probabilmente, lei non ha un’opinione così lusinghiera?”. “Credo di no”. “Lodevolissimo esempio di abnegazione”, commentò Pavel Petrovich, con il busto eretto e buttando indietro la testa. “Ma perché Arkadij Nikolaich ci ha appena detto che lei non riconosce nessuna autorità? Non crede nel valore dell’autorità?”. “Ma perché dovrei riconoscere un’autorità? E in quale valore dovrei credere? Se mi parlano di fatti concreti io mi trovo d’accordo. Ecco tutto”. “E i tedeschi parlano solo di cose concrete?”, domandò Pavel Petrovich e il suo viso assunse un’espressione così indifferente e distaccata come se si fosse innalzato al di sopra dei presenti e si trovasse ora oltre le nuvole. “Non tutti”, rispose Bazarov con un breve sbadiglio. Era chiaro che non aveva voglia di continuare a discutere. (Traduzione di Margherita Crepax, Garzanti editore).
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Aleksander Chatskij, il protagonista della celebre commedia in versi di Griboedov, chiede la mano di Sofija Pavlovna, la figlia di Fàmusov. Famusov, tuttavia, non si fida di Chatskij a causa delle sue idee “moderne”. Ecco un brillante ritratto del conflitto generazionale, nella traduzione di Marco Caratozzolo, che ha ricevuto il Premio Lorenzo Claris Appiani per la Migliore traduzione dalla letteratura russa nel 2017 all’Elba Book Festival. Questa nuova versione italiana dell’opera di Griboedov (con testo originale russo a fronte) è edita da Marchese.
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Famusov: Oddio, è diventato un carbonaro! [Le vicende della carboneria italiana erano in Russia molto note, tanto più che i decabristi russi solidarizzavano con i carbonari, con cui vantavano anche alcuni legami; ndt]
Chatskij: No, il mondo è già cambiato.
Famusov: È un uomo pericoloso!
Chatskij: Ora tutti respirano più libertà, e non si affrettano a far parte della schiera dei buffoni.
Famusov: Che sta dicendo! Parla come un libro stampato!
Chatskij: Stanno tutti dai protettori a sbadigliare guardando al soffitto; vanno a far visita e nemmeno parlano; battono i tacchi, si siedono a tavola, accostano la sedia, sistemano il tovagliolo.
Famusov: Predica la libertà!
Chatskij: C’è chi viaggia e c’è chi vive in campagna…
Famusov: Non riconosce il potere!
Chatskij: C’è chi è al servizio di una causa, e c’è chi è al servizio delle persone…
Famusov: A quelli così vieterei col fucile di avvicinarsi alle capitali.
Chatskij: Va bene, vi do tregua.
Famusov: Che pazienza, non ne posso davvero più!
Chatskij: Ho aspramente criticato il vostro tempo. Ve lo concedo, date pure alla nostra generazione la sua parte di responsabilità: non piangerò per questo.
Famusov: Ma io non voglio riconoscervi: non sopporto la dissolutezza
Chatskij: Quel che dovevo dire, l’ho detto.
Famusov: E io ho fatto bene a tapparmi le orecchie.
Chatskij: E perché mai? Io non ho offeso nessuno?
Famusov: (parlando velocemente) Vanno in giro per il mondo, non combinano niente, poi tornano e da loro dovremmo aspettarci un po’ di ordine.
Chatskij: Ho finito…
Famusov: Ti prego, risparmiami il seguito.
Chatskij: Non desidero continuare con questa discussione.
Famusov: Lascia almeno che la mia anima si penta!
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