Quando i bolscevichi salirono al potere, la questione della libertà di espressione divenne uno dei punti cruciali della politica di quel periodo. Tra le prime misure introdotte ci fu la limitazione della libertà di espressione, soffocata in breve tempo attraverso un massiccio uso della censura. All’inizio di novembre del 1917 il governo sovietico firmò il Decreto sulla stampa che di fatto vietava la pubblicazione di qualsiasi articolo “borghese” che criticasse le autorità sovietiche.
Fonte: RIA Novosti
Con il passare degli anni la censura si fece sempre più forte, raggiungendo l’apice durante l’epoca di Stalin. Con la morte del leader sovietico questa morsa pian piano si allentò, ma subì una profonda virata solo alla fine degli anni Ottanta, quando Mikhail Gorbachev annunciò la “glasnost” (apertura).
I politici caduti in disgrazia
Così come spiega la Grande enciclopedia sovietica, la censura dello Stato socialista era “di natura diversa rispetto a quella esistente negli stati borghesi e il suo unico obiettivo consisteva nel difendere gli interessi della classe operaia”. Si tratta ovviamente di un’affermazione azzardata, visto che l’élite sovietica utilizzava la censura unicamente per trarne benefici che venivano poi pagati con il sangue, soprattutto durante l’epoca delle grandi purghe staliniane.
Fonte: Nadezhda Konstantinovna Krupskaya
“L’eliminazione fisica degli oppositori politici di Stalin fu seguita dalla distruzione delle loro immagini”, scrive lo storico britannico David King. In quell’epoca iniziò infatti una corsa all’eliminazione di qualsiasi fotografia e immagine che ritraesse i leader caduti in disgrazia. Nikolaj Ezhov, per esempio, capo dell’Nkvd, colui che organizzò la repressione politica di massa degli anni 1936-1938, finì nelle mani della polizia segreta nel 1940 dopo un’accesa discussione con Stalin. E venne eliminato. Successivamente Ezhov sparì da ogni fotografia nella quale era stato ritratto insieme a Stalin.
La stessa cosa accadde anche con altri capi dell’Nkvd, come Lavrenti Beria: uomo di fiducia di Stalin, cadde in disgrazia dopo la morte del leader nel 1953 e venne anche lui eliminato. Successivamente venne dato l’ordine di modificare la Grande enciclopedia sovietica con una nuova versione che non facesse alcun riferimento a Beria.
I libri proibiti
Nel 1921 il giovane governo sovietico creò la Direzione generale per gli affari letterari e artistici (Glavlit), il principale organo predisposto al controllo delle pubblicazioni in quegli anni. Erano proprio i censori di Glavlit infatti a decidere le sorti dei libri in Urss.
Ai cittadini sovietici non venne permesso leggere una gran quantità di libri oggi considerati grandi classici della letteratura, come il Maestro e Margherita di Bulgakov o Il dottor Zhivago di Pasternak. Ovviamente la circolazione di libri scritti da autori russi emigrati all’estero era severamente vietata in Unione Sovietica. Il pubblico non aveva accesso alle opere di Ivan Bunin o di Vladimir Nabokov, solo per citarne alcuni.
Ma con il passare degli anni gli sforzi del governo sovietico non furono capaci di fermare i cosiddetti “samizdat”, copie di libri censurati trascritti a mano e fatti circolare illegalmente.
L’arte moderna
Nikita Khrushchev, leader dell’Urss del 1953 al 1964, si rivelò più aperto di Stalin e condannò le politiche repressive all’interno di un discorso pronunciato nel 1956. Secondo lo storico Leonid Katsva, Khrushchev sarebbe addirittura arrivato al punto di ipotizzare l’eliminazione della censura per quanto riguarda il mondo dell’arte, senza però concretizzare questa sua idea.
A fargli cambiare idea ci pensò l’arte moderna: dopo aver visitato la mostra “Nuova realtà” realizzata da giovani artisti, Khrushchev, scandalizzato, commentò: “Il popolo sovietico non ha bisogno di queste cose! Vi dichiariamo guerra!”.
Fonte: Archivio di Avdei Ter-Oganjan
Durante il mandato di Leonid Brezhnev (1964-1982) lo Stato continuò a reprimere gli artisti che non si attenessero ai canoni del realismo socialista. Nel 1974 il governo ordinò la distruzione di un’esposizione non ufficiale di arte moderna nella periferia di Mosca con bulldozer e pompe d’acqua.
Le radio occidentali
Durante la Guerra fredda sia l’Urss sia l’Occidente cercarono di “influenzare” le opinioni della popolazione che stava dall’altra parte della cortina attraverso “punti di vista alternativi”. Nel 1946 la BBC iniziò a realizzare trasmissioni per i cittadini sovietici. Qualche anno dopo le fecero seguito canali come Voice of America, Radio Liberty o Deutsche Welle.
Una situazione che ovviamente al Cremlino non piaceva e fu per questo che si decise di bloccare le frequenze radio delle emittenti straniere. Secondo il giornalista lituano Rimantas Pleikis, l’Urss vantava il maggior sistema di anti-radio del mondo.
Ma anche questo sistema aveva le sue falle: chi voleva continuare ad ascolare le emittenti straniere, o la musica jazz e rock, trovava il modo di farlo. E fu solo nel 1988 che Mikhail Gorbachev pose fine al blocco delle radio straniere.
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