Giovanissimo, ironico e creativo. Paolo Griffa, piemontese, classe 1991, è considerato uno degli chef più promettenti della nuova generazione. Nel curriculum vanta esperienze internazionali di altissimo livello e dirige gli storici ristoranti del Grand Hotel Royal e Golf di Courmayeur, la più antica e prestigiosa struttura ricettiva della Valle d’Aosta. Enfant prodige, finalista italiano di S. Pellegrino Young Chef, è arrivato a Mosca come ambasciatore della Settimana della cucina italiana.
È una cucina molto particolare: ci sono dei gusti facilmente riconoscibili, altri invece del tutto nuovi. Adoro le barbabietole, infatti sono un grande fan del borsch.
Sì, per le mie creazioni mi affido spesso allo storione e al caviale, prodotti però in Italia. Inoltre, lavorando in montanga, propongo anche conserve, verdure fermentate e sottaceto, che suggeriscono un certo parallelismo con la tradizione russa.
Nasco come pasticciere, quindi preparerò un dolce a base di cioccolato, nocciola e caffè, con una schiuma al latte e vaniglia simile a quella del cappuccino. Sarà presentato in un modo esteticamente molto particolare.
Tantissimi! L’indole degli italiani è molto legata al viaggio: ci piace conoscere, scoprire cose nuove. E quello che apprendiamo fuori dai confini nazionali lo riportiamo a casa per applicarlo a modo nostro.
Esistono diverse tipologie di clienti, ma non si tratta di una questione di nazionalità: ci sono delle persone che si siedono a tavola e vogliono farsi stupire. Sono curiose, abituate a viaggiare e pronte a sperimentare. Altre, invece, che conoscono e vogliono solo determinati piatti, senza andare oltre. Le prime desiderano fare un’esperienza nuova, le altre preferiscono andare sul sicuro.
I clienti non smettono mai di stupirci e noi, quando possibile, cerchiamo di accontentarli. Capita che ordinino delle bevande calde insieme a un primo piatto: lo fanno soprattutto gli asiatici e, anche se a noi risulta assurdo, nella loro cultura si fa così. In queste situazioni suggeriamo un abbinamento che si accosti meglio al piatto scelto.
Sarei curioso di vedere come analizzerebbe me e la mia cucina! Tolstoj appartiene a un’epoca storica molto diversa dalla nostra e di sicuro aveva delle conoscenze culinarie piuttosto limitate: nell’Ottocento non si viaggiava all’estero così come si fa oggi e il cibo non era ancora sinonimo di “esperienza”! Con il passare del tempo, poi, i gusti e i sapori si sono evoluti e probabilmente lui non ha mai assaggiato certi piatti. Quindi, se Tolstoj si sedesse a tavola da me, gli proporrei dei classici: quei piatti che per noi hanno il sapore di casa, come la lasagna dal gusto croccante o il prosciutto dal profumo intenso. Gli farei conoscere il prodotto puro, semplice, non la cucina “estrema”.
Cercherei di stupirlo e gli servirei qualcosa che non ha mai provato. Una persona come lui, che ha viaggiato tanto e ha assaggiato molte cose, deve per forza essere stupito. In questo caso bisogna infrangere le regole, fargli capire che in realtà non sa nulla, che non ha ancora assaggiato tutto. Ci vuole improvvisazione e io, per fortuna, sono una persona creativa. Infatti sono solito cambiare il menu ogni stagione: da un lato è uno stimolo per noi che stiamo in cucina, dall’altro suscita curiosità da parte dei clienti.
Quando si torna da un viaggio si porta sempre con sé qualcosa di nuovo: una tecnica, un gusto, un odore, un colore, una ceramica, un modo di servire le portate... Potrebbero essere tante cose, non escludo nulla. In questi giorni a Mosca vorrei andare a vedere un mercato, scoprire la vita reale delle persone, osservare cosa acquistano al supermercato. Quando sono all’estero mi capita spesso di osservare cosa la gente mette nel carrello e chiedermi: “Come la mangerà quella cosa lì?”.
Nella storia della cucina ci sono sempre state tante evoluzioni. Il Gianduiotto, ad esempio, è nato a seguito di motivazioni storico-politiche ben precise: all'epoca di Napoleone la quantità di cacao che arrivava in Europa si era ridotta così drasticamente che decisero di sostituirlo con un prodotto molto presente nel territorio locale, ovvero la nocciola. Tornando all’attualità, ho una visione piuttosto ottimista: anche in Russia si possono fare dei buoni prodotti, che non saranno mai uguali a quelli italiani perché le condizioni climatiche e il know how non sono gli stessi. Il vero punto forte degli italiani è “il saper fare”, la creatività, la voglia di sperimentare, che esportiamo in tutto il mondo. E poi ci copiano.
La moca per il caffè!
Suggerirei loro di staccarsi dall’idea di una cucina italiana legata ai piatti simbolo: la cucina è in continua evoluzione! Consiglierei di non fissarsi su cose che già conoscono, ma di lasciarsi trasportare senza pregiudizi. E ovviamente, gli direi di venire in Italia, perché è solo lì che si può vivere l’esperienza della vera cucina italiana.
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