In sala operatoria.
Alexey Kudenko / RIA NovostiL’Istituto di ricerca scientifica e primo soccorso N.V. Sklifosovsky, uno dei centri ospedalieri più antichi di Mosca, è considerato da molti un’area di speranza e salvezza. Ogni anno il centro viene visitato da almeno 150mila persone. Oltre 20mila le operazioni condotte ogni anno, con oltre 52mila pazienti che ricevono qui cure e assistenza.
Mogeli Khubutia, direttore dell'ospedale, ritiene che un chirurgo debba accettare di condurre un’operazione solo qualora sia certo del suo esito positivo. Anche al primario, tuttavia, è capitato, nel corso dei vari anni di servizio, di dover infrangere questa sua regola. "Qualche anno fa venne trasportato d’urgenza nella nostra clinica il direttore di una grande banca. Le sue condizioni erano piuttosto gravi: entrambi i reni avevano smesso di funzionare. Considerata l’età non più così giovane del paziente, poteva andare male”, racconta Khubutia. “Il banchiere si era già fatto visitare in Germania, dove, però, si erano rifiutati di realizzare un trapianto, ed era quindi stato riportato a Mosca". Khubutia decise di prendere il paziente sotto la sua responsabilità e di operarlo, nonostante le sue gravi condizioni. "Non appena ricevemmo il rene che andava bene per il paziente, realizzai io stesso il trapianto. Sono passati sei anni e questa persona vive e lavora ancora", racconta il medico.
Mogeli Khubutiya, direttore dell'Istituto di ricerca scientifica e primo soccorso N.V.Sklifosovsky. Fonte: Aleksej Kudenko, Ria Novosti
Mogeli Khubutia ricorda poi un altro caso delicato. “Un giovane atleta, piuttosto conosciuto, prendeva steroidi anabolizzanti in grandi quantità. Ciò aveva causato non solo la crescita dei suoi muscoli, ma anche del fegato, che aveva raggiunto proporzioni spropositate: fino a 8,5 kg”, racconta il chirurgo. “All'estero gli dissero che gli erano rimaste da vivere tre settimane e si rifiutarono di operarlo”. L’atleta arrivò all’Istituto di Primo Soccorso N.V. Sklifosovsky in condizioni critiche e i medici temevano che non sarebbe sopravvissuto all'operazione. “Il trapianto di fegato venne, tuttavia, realizzato con successo. Un anno dopo l'intervento, il paziente ci ha invitato alle sue nozze, dove abbiamo conosciuto la madre, felice di vedere i medici che lo avevano salvato. Il giovane vive felicemente con la moglie e viene a trovarci di tanto in tanto”, racconta Khubutia.
I progressi scientifici
L’Istituto di ricerca scientifica N.V. Sklifosovsky costituisce un unico ente con la clinica. "Uno dei lati positivi - dice Khubutia - è che in parallelo ai dottori i pazienti ricevono l’assistenza di scienziati e ricercatori. Conduciamo un importante lavoro scientifico per il trattamento di quelle malattie che colpiscono i pazienti che si rivolgono a noi”, racconta il medico. “Sulla base della nostra esperienza scientifica, mettiamo in pratica delle terapie che non sono disponibili in altri ospedali della città". È questa l'unicità dei chirurghi che lavorano presso l’Istituto N.V. Sklifosovsky: una vasta esperienza clinica fondata su una solida base scientifica. "Ora, per esempio, ci stiamo dedicando attivamente allo sviluppo di tecnologie cellulari. Utilizziamo le cellule staminali emopoietiche e mesenchimali nel trattamento delle ustioni profonde", spiega Khubutia.
La voglia di vivere
Mogeli Khubutia osserva che i pazienti sono spesso molto tesi, soprattutto quando si tratta di operazioni delicate come il trapianto di organi. "Questi pazienti devono essere seguiti, tranquillizzati sia prima che dopo l'intervento. Ma anche i pazienti stessi non devono gettare la spugna e rinunciare a lottare”, spiega il medico. “Ci sono pazienti che vengono spinti da questa convinzione: "Io devo vivere e lotterò!". Dopo l'operazione dici loro: “Cerca di respirare da solo adesso", e cominciano a respirare. Dici loro: "Alzati e cammina", e si alzano e iniziano a camminare. Una persona deve avere voglia di vivere".
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