Disegno di Aleksej Iorsh
La risposta più diffusa quando ci si interroga sulle ragioni di questa difficile congiuntura è quella di enumerare una serie di fattori esterni negativi: dalla crisi dell’economia globale al crollo dei prezzi del petrolio, dalle sanzioni occidentali al rallentamento dell’economia cinese. Tuttavia, malgrado il loro peso rilevante, sarebbe un grave errore accontentarsi di questa spiegazione. Un rallentamento significativo della crescita economica era già cominciato nel 2013 quando il livello del Pil era sceso all’1,3%, benché il prezzo del petrolio fosse in costante aumento e nessuno potesse prevedere le sanzioni occidentali che avrebbero colpito la Russia. Proprio per tale motivo persino un aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi nel 2016 non potrebbe risolvere i problemi che dovrà affrontare la Russia, tenuto poi conto che l’aumento non sarà né costante, né di lunga durata.
La ragione principale dello stato precario in cui versa l’economia russa è, a mio avviso, la mancanza di un meccanismo operativo di tutela del diritto di proprietà, fondamentale per un’economia di mercato. Ciò ha prodotto una diminuzione dell’attività investitiva, un’intensa fuga di capitali all’estero e una diminuzione dei ritmi di crescita fino allo zero. I risultati del 2015 non infondono ottimismo. Gli investimenti continuano a diminuire e di conseguenza nel 2016 non si potrà contare su una vera crescita economica. Il ripristino del sistema di tutela dei diritti di proprietà, il miglioramento del clima investitivo in Russia presuppongono l’adozione di misure che agevolino la concorrenza politica ed economica, la supremazia del diritto, l’indipendenza della giustizia e dei media e la lotta alla corruzione. Se le autorità russe cominceranno a perseguire questa strada evidente a tutti, l’economia reagirà in modo piuttosto rapido, cominciando a riprendersi. Se ciò non accadrà, proseguirà la fuga di capitali dal Paese, mentre l’economia si ritroverà in una condizione di stagnazione.
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Naturalmente, anche nell’ambito della politica economica tocca al governo risolvere una serie di problemi di cui le cui principali criticità appaiono legate al tasso elevato di inflazione e alla conseguente diminuzione del reddito reale della popolazione. Purtroppo, nel 2016 non dovremo attenderci nessun particolare miglioramento: nel bilancio federale non ci sono soldi per aumentare gli stipendi ai dipendenti pubblici e per indicizzare le pensioni. In questa situazione la popolazione riduce le spese per l’acquisto di beni durevoli come auto e case, il che rallenta ancora di più ritmi della crescita economica. Se la Banca Centrale e il governo riusciranno a far diminuire drasticamente i ritmi dell’inflazione (dal 12,5% del 2015 al 4-5% nel 2016), ciò potrebbe portare a un abbassamento dei tassi d’interesse e a un innalzamento della domanda di credito, favorendo una ripresa dell’economia.
E, infine, l’adesione della Crimea alla Russia nel 2014 ha prodotto una visibile caduta d’interesse da parte degli investitori stranieri per l’economia russa e un aumento della tendenza all’autoisolamento della Russia dai processi d’integrazione nell’economia mondiale. Il perdurare di una simile situazione priverebbe la Russia del flusso necessario di investimenti stranieri (soprattutto nel settore della tecnologia e del capitale umano) e rallenterebbe qualunque tentativo di modernizzazione dell’economia.
L’autore, Sergej Aleksashenko, senior fellow non residente presso la Brookings Institution (Washington D.C.), dal 1995 al 1998 è stato vice presidente della Banca Centrale
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