Dalla fine del XV secolo, quando il Granducato di Mosca si affermò in qualità di Stato sovrano, gli europei iniziarono ad arrivare in un numero sempre maggiore e dovevano essere in qualche modo registrati e, soprattutto, protetti. Gli stranieri che non solo non parlavano la lingua, ma non conoscevano neanche le usanze russe, potevano diventare preda facile dei banditi. La maggioranza degli ospiti stranieri veniva per affari e quindi portava soldi e oggetti di valore, mentre in alcune località una persona rischiava di essere uccisa per un paio di pantaloni o per i suoi stivali. Pertanto, lo Stato era interessato alla sicurezza degli stranieri, perché altrimenti avrebbero smesso di venire, causando dei gravi danni al commercio.
Mercante inglese del XVI secolo, litografia
Dominio pubblicoLa registrazione degli stranieri aveva anche una palese convenienza economica, perché i dazi, pagati dai commercianti europei, erano 3-4 volte più alti rispetto a quanto pagavano i commercianti russi. Inoltre, da parte dei russi, c’era un grande interesse per le merci, la scienza, la cultura e l’arte dell’Europa occidentale.
Nei secoli XVI-XVII, malgrado le guerre e le crisi politiche, dall’Europa arrivarono in Moscovia militari, medici, artigiani e armaioli. A partire dal XVI secolo, agli stranieri che entravano in Russia veniva rilasciato un apposito documento che si chiamava “Projezzhaja gramota”, ossia “lettera di viaggio”, con il timbro dello zar su ceralacca rossa. Questa lettera doveva essere ritirata presso la Cancelleria diplomatica, e soltanto dopo averlo fatto si poteva commerciare o svolgere altre attività.
Un esempio di lettera di viaggio russa, il documento che permetteva di circolare e commerciare nel Paese
Dominio pubblicoA partire dal 1649, questa prassi fu estesa anche ai sudditi dello Stato russo. Nel codice legislativo (“Sobornoe ulozhenije”) fu introdotto un capitolo intitolato “Sulle lettere di viaggio verso altri Stati”. Da allora, chi voleva recarsi all’estero per commercio o per altri affari, doveva informarne in anticipo le autorità. Se viveva in provincia la comunicazione andava fatta al voivoda (governatore), se era di Mosca era tenuto a riferirlo direttamente allo zar (ovviamente tramite la sua cancelleria), per ottenere la lettera di viaggio.
Viaggiare senza tale lettera era un reato. In questo caso veniva svolta un’indagine per accertare che non si trattasse di tradimento. Qualora fosse confermata l’ipotesi di tradimento, la persona veniva giustiziata. Se, invece, si scopriva che il viaggio era stato intrapreso senza cattive intenzioni, l’autore del reato veniva frustato. Era comunque una pena molto severa, che poteva mutilare per sempre chi la subiva.
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Il Conte James Daniel Bruce (1669-1735), generale, statista, diplomatico e scienziato russo di origini scozzesi, uno dei principali collaboratori di Pietro il Grande
Dominio pubblicoLe lettere di viaggio furono istituite soltanto nel XVI secolo. Tuttavia, anche in precedenza si faceva distinzione tra russi e stranieri. I criteri erano la lingua e la religione. Tutte le persone di fede ortodossa, indipendentemente da dove venissero, erano considerati dei “nostri”.
Pur vivendo in Russia, la maggioranza degli stranieri, fossero loro cattolici, luterani e protestanti, cercavano di attenersi alla propria fede e alle usanze di provenienza. Per questo motivo, gli stranieri risiedevano in prevalenza separatamente dai russi, in quartieri isolati. A Mosca tali erano il Quartiere Tedesco, Vecchio e Nuovo, popolati appunto dai “tedeschi”, come in Russia venivano chiamati non solo i teutonici, ma tutti coloro che parlavano in lingue straniere (in prevalenza, europee). Gli stranieri non erano obbligati a convertirsi all’ortodossia, ma le autorità facevano capire che senza questo gesto di buona volontà se la sarebbero dovuta vedere da soli con le tendenze xenofobe. Insomma, l’invito a diventare ortodossi era abbastanza esplicito.
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Prima di Pietro il Grande, la procedura formale di naturalizzazione non esisteva, ma di fatto per questo bisognava diventare ortodossi. Secondo la regola generale, gli stranieri che si convertivano alla fede russa potevano vestire abiti russi e uscire dai loro quartieri di residenza senza paura di essere aggrediti. Il neofita riceveva un nome russo (che spesso era un adattamento del nome precedente), poteva sposare una donna russa e con il tempo veniva assimilato.
Herberstein ritratto con una “shuba” (la tipica pelliccia russa) datagli a Mosca
Dominio pubblicoNel 1702, l’ingresso degli stranieri in Russia fu semplificato da Pietro il Grande. Il primo imperatore (dal 1721) ordinò alle stazioni di posta di cambiare i cavalli agli stranieri che venivano in Russia per arruolarsi nell’esercito imperiale. Il suo ordine specificava che “agli ufficiali in arrivo non si devono creare ostacoli o fastidi e, anzi, occorre assisterli volontariamente in tutti i modi”. A queste persone era garantita la piena libertà di fede: convertirsi all’ortodossia per cominciare il servizio militare non era necessario.
Per gli stranieri che venivano rinviati a giudizio, fu istituito un apposito Collegio segreto del Consiglio militare, per evitare che venissero processati sulla base della legge russa. Pietro garantì agli stranieri il diritto di ritirarsi dal servizio in qualsiasi momento, sottolineando inoltre che “i mercanti e i pittori che intendono venire in Russia devono essere accolti con ogni cortesia”.
Isaac Massa (1586-1643), un grande commerciante olandese di granaglie, che fu anche ambasciatore in Russia
Dominio pubblicoDopo la Grande guerra del Nord contro la Svezia, vinta da Pietro, in Russia si trovavano moltissimi prigionieri stranieri, e non tutti volevano rientrare in patria, pertanto nel 1721 per gli stranieri, per la prima volta, fu ipotizzata la possibilità di diventare sudditi della Russia non più attraverso la conversione nella fede ortodossa, ma sulla base del giuramento volontario.
Nel 1747 fu approvato il testo ufficiale del giuramento: “Io, sottoscritto, ex suddito di <nome del sovrano> prometto e giuro a Dio Onnipotente che di <nome del sovrano russo> voglio essere uno schiavo fedele, buono e obbediente e per sempre suo suddito con la mia famiglia, di non andare da nessuna parte all’estero e di non entrare in servizio all’estero”. Questo testo fu usato fino alla fine del XVIII secolo.
Paolo I tolse dal testo la parola “schiavo”, ma allo stesso tempo ordinò di sorvegliare tutti gli stranieri nel territorio dell’Impero. A partire dal 1807, agli stranieri senza cittadinanza russa fu vietata la partecipazione alle corporazioni mercantili. Cioè, furono privati della possibilità di diventare grandi imprenditori. Allo stesso tempo, però, potevano continuare a lavorare in qualità di commercianti e fornitori di lavori e servizi.
Giuramento nell’esercito imperiale russo
Dominio pubblicoNel 1826, Nicola I semplificò al massimo la procedura di naturalizzazione: il giuramento ora poteva essere prestato presso l’amministrazione del governatorato di residenza, andare nella capitale non era più necessario. Tuttavia, soltanto nel 1864 gli stranieri naturalizzati russi furono equiparati nei diritti con coloro che avevano la cittadinanza per nascita.
Ora che c’era la procedura di naturalizzazione, che ruolo aveva l’identità religiosa? La conversione all’ortodossia restava obbligatoria soltanto per i discendenti delle famiglie reali che sposavano i membri della famiglia imperiale russa. Per questo motivo, ad esempio, Sofia Federica Augusta di Anhalt-Zerbst ricevette il battesimo ortodosso, prendendo il nome di Ekaterina Alekseevna, in quanto sposata con l’erede al trono russo. Anche suo marito, il futuro zar Pietro III, non era russo di nascita: il suo nome di battesimo era Karl Peter Ulrich, ma diventò membro della Chiesa russa, perché doveva ereditare il trono dell’Impero.
Oltre agli stranieri, in Russia c’erano molti abitanti che venivano definiti “inorodtsy” (cioè, “nati diversi”) a causa della loro appartenenza etnica. Si tratta in particolare dei bashkiri, kirghisi, calmucchi, samoiedi, buriati, jakuti, ciukci e altre etnie.
La Russia aveva cercato di evangelizzare queste popolazioni, ma i tentativi ebbero poco successo. Qualcuno, effettivamente, passò all’ortodossia, ma la maggioranza rimase fedele alla propria religione e alle proprie tradizioni, pertanto alla fine fu deciso di lasciare a questi popoli il loro tradizionale sistema di amministrazione tribale, basato sul diritto consuetudinario. Queste etnie furono anche esentate da alcune imposte, dall’obbligo della leva, dalla responsabilità per determinati reati, ecc., pur di garantirne la lealtà e non provocare conflitti religiosi ed etnici.
Allo stesso tempo, molte popolazioni allogene che vivevano nella parte centrale e occidentale delle terre russe (tatari, ciuvasci, mari, mordvini, careliani, vepsi), sin dai tempi di Pietro il Grande erano integrati nel sistema di amministrazione generale, pagavano le imposte e avevano degli obblighi verso lo Stato. Tra loro, nel corso del tempo, l’ortodossia si diffuse su scala molto più ampia.
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