Lo zar Alessandro II sopravvisse a sei attentati. Il settimo risultò fatale

Storia
GEORGY MANAEV
Nella seconda metà dell’Ottocento la situazione politica in Russia era ormai esplosiva, e i gruppi rivoluzionari avevano deciso di passare ai metodi terroristici

Il 16 aprile 1866 in Russia viene compiuto il primo atto di terrorismo rivoluzionario. Dmitrij Karakozov spara all’imperatore Alessandro II, che sopravvive.
Il secondo attentato avviene un anno dopo a Parigi, durante una visita di Alessandro in Francia. 

Segue l’attentato del 1879, quando l’attentatore, un certo Solovjov, gli spara dalla distanza di 12 passi, il colpo non va a segno, lo zar si mette a correre, Solovjov lo insegue sparando altri due colpi (una pallottola trafora il cappotto dell’imperatore), poi viene raggiunto da un capitano dei gendarmi che gli dà un colpo sulla schiena con la sua sciabola, spara ancora sullo zar, poi sulla folla, viene preso, cerca di togliersi la vita con il veleno, ma viene salvato dai medici imperiali. Per essere poi giustiziato

Aleksandr Nikolaevich Romanov, Alessandro II di Russia, uscì illeso da ben 6 attentati alla sua vita. Ogni volta gli attentatori fallivano nei loro intenti a seguito di imprevisti o grazie ai sudditi dello zar che facevano scudo con il proprio corpo. Tuttavia, il settimo attentato, quando l’imperatore, malgrado i tentativi delle guardie del corpo di fermarlo, si incamminò, letteralmente, con le proprie gambe verso il suo attentatore, risultò fatale.

Ecco la cronologia completa della caccia allo zar.

Dmitrij Karakozov, San Pietroburgo, 16 aprile 1866

L’imperatore stava passeggiando nel Giardino d’Estate. Quando uscì dal giardino per salire sulla sua carrozza, l’attentatore, che si trovava in mezzo ai curiosi, aprì il fuoco.

A sparate fu il ventiseienne Dmitrij Karakozov. In tasca gli fu trovata una lettera che diceva: “Il mio amato popolo sta morendo, ecco perché ho deciso di uccidere il malvagio imperatore”. Lo zar fu salvato dal ventottenne cappellaio Osip Komisarov che colpì l’attentatore sul braccio, deviando la pallottola.

La sera dello stesso giorno, lo zar invitò Komisarov al Palazzo d’Inverno e gli conferì un titolo nobiliare. Karakozov fu impiccato in settembre del 1866, mentre Osip Komisarov, non riuscendo a sopportare il peso della notorietà e dell’improvvisa ricchezza, si suicidò.

Anton Berezovskij, Parigi, 6 giugno 1867

L’imperatore Alessandro, in compagnia dei figli Vladimir e Alessandro, si trovava in Francia come ospite di Napoleone III.

Durante una passeggiata a bordo di una carrozza aperta, il polacco Anton Berezovskij sparò all’imperatore, ma l’arma gli esplose in mano, cosicché lo stesso attentatore fu ferito.

Il polacco voleva vendicarsi con Alessandro per aver schiacciato la rivolta polacca del 1863. Il tribunale francese condannò Berezovskij ai lavori forzati a vita.

Aleksandr Solovjov, San Pietroburgo, 14 aprile 1879

La mattina di quel giorno, l’imperatore stava passeggiando vicino al Palazzo d’Inverno. Lungo tutto il percorso c’erano soltanto sette agenti. Sebbene già reduce di due attentati, l’imperatore credeva che girare con la scorta fosse un segno di mancanza di coraggio. Mentre lo zar stava camminando lungo il fiume Mojka, il trentaduenne Aleksandr Solovjov, ex funzionario di origini nobili e membro del movimento rivoluzionario “Zemlja i Volja” (Terra e Libertà), aprì il fuoco.

Solovjov spara il primo colpo dalla distanza di 12 passi, il colpo non va a segno, lo zar si mette a correre, Solovjov lo insegue, spara altri due colpi, di cui uno trafora il cappotto dello zar, poi viene raggiunto da un capitano dei gendarmi che gli dà un colpo sulla schiena con la sciabola, Solovjov continua a correre, spara ancora sullo zar, poi sulla folla, infine, viene preso, cerca di togliersi la vita con il cianuro di potassio, ma viene salvato dai medici imperiali.

Durante l’interrogatorio Solovjov dichiarò di aver agito da solo. Fu impiccato tre giorni dopo alla presenza di 70 mila persone.

“Narodnaja Volja”, esplosione del treno, Mosca, 1º dicembre 1879

Il treno della famiglia imperiale si stava dirigendo dalla Crimea verso Mosca. Era seguito da un altro treno, sul quale viaggiavano la corte, le scorte di viveri e i bagagli. Sul tragitto tra Kharkov e Mosca, il treno della corte fu messo davanti al treno imperiale. I terroristi di “Narodnaja Volja” (Volontà del popolo) non sapevano dell’inversione e, come risultato, fecero saltare in aria una carrozza, carica di frutta, del treno della corte. Nessuno rimase ferito.

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Stepan Khalturin, esplosione al Palazzo d’Inverno, 17 febbraio 1880

Nel settembre del 1879, già prima dell’esplosione del treno, Stepan Khalturin si era fatto assumere dall’amministrazione del Palazzo d’Inverno come falegname. Entro il mese di febbraio, di volta in volta in piccole quantità, portò nella sua stanza 32 kg di dinamite. Sopra la stanza di Khalturin si trovava una sala da pranzo, dove lo zar doveva ricevere il principe di Assia-Darmstadt.

Il principe arrivò con una mezz’ora di ritardo, ma Khalturin non lo sapeva. Al momento della detonazione lo zar si trovava lontano dall’epicentro. Tuttavia, l’esplosione uccise 11 militari e in totale 56 persone rimasero ferite.

Stepan Khalturin riuscì a fuggire. Nel 1882 fu impiccato a Odessa per concorso in omicidio del procuratore Strelnikov.

Nikolaj Rysakov, esplosione della carrozza imperiale, San Pietroburgo, 13 marzo 1881

Questo attentato fu preparato dal comitato esecutivo di “Narodnaja Volja”, diretto da Andrej Zheljabov. Due giorni prima della data prefissata, egli fu arrestato, il comando passò a Sofja Perovskaja, figlia dell’ex governatore di San Pietroburgo.

Il 13 marzo lo zar si stava dirigendo verso il palazzo Mikhajlovskij. Uno degli attentatori, Nikolaj Rysakov, che già si trovava sul canale Ekaterininskij (oggi canale Griboedov) lanciò una bomba sotto le zampe dei cavalli. La carrozza fu danneggiata, ma lo zar rimase illeso. Rysakov cercò di fuggire, ma fu scaraventato a terra e bloccato.

Dopo la morte dello zar molte persone credevano che fosse stato proprio Rysakov a uccidere lo zar, perché il vero regicida non fu mai identificato. Terrorizzato dalla prospettiva della morte, Rysakov comunicò ai magistrati i nomi dei suoi complici, fra cui Sofja Perovskaja e molti altri membri di “Narodnaja Volja”. Fu comunque impiccato insieme ai suoi complici il 3 aprile 1881. Sotto la forca, prima di essere impiccati, Perovskaja, Zheljabov e gli altri rifiutarono a Rysakov l’ultimo addio, chiamandolo traditore.

Ignatij Grinevickij, la bomba che uccise lo zar, 13 marzo 1881

Lo zar scese dalla carrozza, si avvicinò a Rysakov, ormai fermamente immobilizzato, poi si diresse verso i cosacchi della scorta, feriti dall’esplosione. Il cocchiere e le guardie cercarono di dissuadere l’imperatore, ma Alessandro “sentiva che… la dignità gli imponeva di vedere i feriti… e di dire loro qualche parola di consolazione”.

In questo momento il ventiquattrenne polacco Ignatij Grinevickij, membro di “Narodnaja Volja”, lanciò sotto i piedi dell’imperatore un’altra bomba.

L’esplosione mandò in pezzi le gambe dello zar. Fu portato d’urgenza al Palazzo d’Inverno, ma una mezz’ora dopo e morì a causa di eccessiva perdita di sangue. Grinevickij, anch’egli ferito dall’esplosione, morì in ospedale la sera dello stesso giorno. Quando, prima del decesso, gli fu chiesto il suo vero nome, Grinevickij rispose: “Non so”, pertanto non fu ufficialmente identificato come assassino dello zar. Nella sentenza del tribunale in merito ai “Pervomartovcy”, cioè “gruppo del 1 marzo”, egli figura come “uomo deceduto il 1º marzo, che si era presentato col falso nome di Elnikov”.  Il suo vero ruolo nell’uccisione dello zar fu accertato soltanto molti anni dopo.

L’imperatore si poteva salvare?

Rinvenuto dopo l’esplosione, l’imperatore sussurrò: “Portatemi al palazzo… voglio morire lì”. Questa decisione si rivelò fatale. Lo storico Igor Zimin sottolinea che sull’altra riva del canale si trovava un ospedale della corte, dove in quel momento era disponibile un “dispositivo per la trasfusione del sangue” ed erano presenti dei chirurghi qualificati. Tuttavia, il dottor Dvorjashin, uno dei medici della corte, mandò qualcuno a ritirare questo dispositivo dall’ospedale (praticamente sul luogo dell’attentato) soltanto dopo che lo zar era stato portato al palazzo. Siccome alle gambe fratturate dell’imperatore non era stato subito applicato il laccio emostatico, la perdita di sangue fu troppo grande. Nonostante tutti i tentativi di rianimarlo, intrapresi per oltre 30 minuti, Alessandro morì.


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