“La rugiada di San Giorgio toglie la iella e cura le malattie”, dicevano i contadini russi che sin dai tempi antichissimi attribuivano un significato particolare alla rugiada del mattino che veniva raccolta in occasione di “Juriev den”, la festa di San Giorgio, in primavera, che ricorre il 23 aprile del calendario giuliano (6 maggio secondo quello gregoriano). Jurij è, appunto, l’adattamento russo di Giorgio. Questo giorno la terra per la prima volta “si apre” dopo l’inverno, pertanto si credeva che la “rugiada di Jurij”, “acquasanta” dei pagani, avesse delle proprietà curative. I contadini chiedevano spesso al loro prete o diacono di andare nei campi a rotolare sui germogli di grano, affinché il “covone non sia cafone”, cioè per dare buona consistenza al grano del futuro raccolto “Se il prete si rifiutava, glielo facevano fare con la forza”, spiega la storiografa Tatjana Agapkina.
“Funzione commemorativa in un villaggio”, dipinto di Afanasij Razmaritsyn del 1882
Galleria TretjakovUn sacerdote di campagna doveva aver saggezza per vivere pacificamente con i parrocchiani, che erano anche suoi compaesani. C’è da notare che a partire dalla seconda metà del XVIII secolo potevano diventar sacerdoti soltanto figli dei membri del clero. Il conferimento dell’ordine sacro ai piccoli borghesi e ai contadini fu proibito dal Santo Sinodo nel 1774. Negli anni Sessanta del XVIII secolo il clero fu esentato da tutte le imposte dirette e esonerato da tutti gli obblighi nei confronti dello Stato, tranne l’obbligo di tenere i registri parrocchiali in cui si annotavano nascite (battesimi), decessi e matrimoni. Al tempo stesso, rinunciare di propria volontà alla dignità sacerdotale era impossibile.
Il sacerdote non era libero di scegliere la parrocchia, veniva assegnato dal Santo Sinodo. Quindi, il più delle volte, il nuovo prete, per i contadini, era un forestiero e il suo compito principale era quello di impostare su corretti binari i rapporti con i parrocchiani.
Nella realtà contadina, il sacerdote era la persona più temuta e più rispettata. Incontrandolo, i contadini si toglievano il cappello, molti si avvicinavano per chiedere benedizione. Anche il sacerdote però doveva essere pronto a fare la sua parte. Come scrive nei suoi “Appunti di un prete di campagna” padre Aleksandr Rozanov (1825-1895), il contadino “durante il giorno, specie d’estate, è occupato dal suo lavoro, e di giorno non ha tempo per chiedere al sacerdote di visitare la persona malata; di conseguenza, va a chiamarlo soprattutto di notte, senza badare alle intemperie”.
Un diacono di campagna va a prendere l’acqua, primo decennio del Novecento
Karl Bulla/МАММ/MDFNegare l’unzione a un moribondo non è soltanto un peccato, ma anche una grave violazione delle regole della Chiesa. Non di rado però agli anziani sembra che stiano per lasciare questo mondo, quando il momento non è ancora arrivato. Pertanto, spiega il padre Aleksandr, “il sacerdote, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e con qualsiasi tempo, deve essere pronto a recare i Doni di grazia (battesimi, unzioni, ecc.), anche se lui stesso è malato. Tutti hanno certe ore per lavorare, e altre ore per riposare. Il sacerdote non le ha”.
Spesso il sacerdote era povero come i suoi compaesani contadini: anche per lui la principale fonte di reddito era la terra. Il reddito dei preti di campagna, come ha calcolato Elena Panfilova nel suo articolo “Il sostentamento dei parroci tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo”, era del tutto misero: “Secondo il sistema dei cosiddetti ‘stipendi medi’, il parroco doveva percepire 300 , il diacono 150 e il cantore 100 rubli all’anno”. Per fare un confronto, nel 1913 lo stipendio dell’operaio meno qualificato era di 20 rubli al mese. Attualizzando quelle cifre, oggi un prete prenderebbe 30-80 mila rubli (375-1000 euro) all’anno, ma anche quel poco non sempre veniva erogato.
Di conseguenza, il prete si faceva pagare per le orazioni richieste dai parrocchiani: salute dei familiari, memoria dei defunti, ecc. Una tariffa fissa non esisteva, la somma dipendeva dalla popolarità del prete. Naturalmente, il parroco era pagato anche per la celebrazione dei matrimoni e delle esequie, e questo era, forse, la sua fonte di guadagno più importante.
“L’ora del tè a Mytishchi”, dipinto di Vasilij Perov del 1862
Galleria TretjakovSe la parrocchia era ricca, anche il parroco era agiato. Nelle località povere, invece, il prete e sua moglie spesso dovevano fare tutto con le proprie mani: lavorare la terra, provvedere alla manutenzione della casa e degli attrezzi, allevare le api. Alcuni sacerdoti affittavano la loro terra ai contadini e si facevano pagare la “ruga”: una quantità stabilita di derrate. Molto diffusa era anche l’usanza di fare dei doni al parroco in occasione di festività, in prevalenza, ovviamente, festività cristiane, ma talvolta anche pagane. Nella regione di Kursk, ad esempio, con l’inizio della “Koliada”, festa slava dedicata al solstizio invernale nota anche come “Svjatki” (“giorni santi”), che durava diversi giorni, molti sacerdoti facevano il giro delle case per portare gli auguri ai contadini, ricevendo in cambio dei doni.
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Il prete che non possedeva ricchezze era il beniamino dei parrocchiani. Di lui i contadini dicevano: lo puoi disturbare a qualsiasi ora e con qualsiasi tempo, conduce una vita semplice, la sua casa è “come la nostra”. Se non hai cavallo da mandargli, verrà anche a piedi per ricevere le confessioni del malato. Non chiede soldi ai poveri, lo puoi ricompensare in seguito. Con questo prete ci puoi anche bere un bicchierino di vodka, e ai figli insegna il catechismo. Tuttavia, lo Stato e gli aristocratici delle province, che pure erano parrocchiani, volevano dal sacerdote qualcos’altro.
“La processione di Pasqua in un villaggio”, dipinto di Vasilij Perov del 1861
Galleria TretjakovCon l’inizio del regno di Nicola I (salito al trono nel 1825) ai sacerdoti vennero imposti dei nuovi obblighi. Nella visione del governo, il parroco doveva essere non solo ministro del culto, ma anche agronomo, maestro di scuola e medico. Infatti, i contadini, ormai disillusi dai guaritori, chiedevano consiglio al prete (fino alla seconda metà dell’Ottocento la figura del medico nelle campagne russe era inesistente), perché il prete era una persona “colta”, visto che sapeva leggere.
Il sacerdote aveva anche l’obbligo di tenere i libri parrocchiali e trasmettere allo Stato i dati concernenti le nascite (il numero dei maschi e delle femmine, numero dei bambini nati da relazioni extraconiugali e quello dei bambini nati con deformità), il numero dei matrimoni contratti, quello dei parrocchiani non coniugati, dei vedovi, ecc. In più, il sacerdote era tenuto a fare le osservazioni del tempo (e quindi, usare barometri e termometri), registrando ogni giorno i risultati delle osservazioni. Nel caso di epidemie, o di morie, proprio il sacerdote doveva provvedere alle misure antiepidemiche, mentre i vigili del fuoco volevano che insistesse, affinché in ogni casa venissero predisposti un serbatoio d’acqua e un secchio di sabbia. Ma era anche l’unico psicologo del villaggio, mediatore dei conflitti tra moglie e marito e dei litigi tra i vicini. Tutti volevano da lui un aiuto e speravano di ottenerlo.
“Il battesimo”, dipinto di Akim Karneev del 1870
Museo regionale di IrkutskSe il sacerdote non si conformava alle disposizioni dello Stato, rischiava di essere denunciato al Concistoro. La reazione, in questi casi, non si faceva attendere: al sacerdote perveniva una lettera con annotazione “esecuzione immediata”. Discutere con la diocesi non aveva senso, il potere del vescovo nei confronti del clero era assoluto, più grande del potere che lo zar aveva nei confronti dei funzionari dello stato, pertanto il vescovo poteva facilmente punire la disobbedienza con la scomunica.
E cosa succedeva se il prete perdeva la pazienza, stanco di sentire in continuazione richieste e lagnanze dei contadini? Non bisogna dimenticare che al prete toccava anche esercitare opera di persuasione su coloro che bevevano troppo; e talvolta era addirittura costretto a usare la forza per obbligare i contadini a recarsi nei campi a lavorare, perché il primo a sentire l’ira del latifondista, a seguito della scarsità del raccolto, sarebbe stato proprio lui. Se il prete si comportava con severità, il contadino mostrava i denti: “Tu, padre, non fai altro che prendere i soldi da noialtri e mandarci nei campi, ma [le preghiere] non le reciti tutte”. E così, per i paesani, un sacerdote “severo”, o semplicemente stanco, non era più “padre”, ma “pope”.
La tradizione di far rotolare un prete nella rugiada aveva chiare origini pagane
Foto d'archivioA differenza del prete “buono”, che veniva incontro ai contadini, i sacerdoti meglio istruiti, che si attenevano scrupolosamente alle regole della Chiesa, non erano molto amati dal popolo, perché lottavano contro la produzione di alcolici in casa, contro i pranzi nei giorni di vigilia, contro le usanze pagane e la venerazione delle pietre e degli alberi. Inoltre, esigevano che i parrocchiani imparassero a memoria le preghiere e conoscessero i riti della Chiesa, ed erano intolleranti verso la blasfemia.
Per quanto potesse essere “antipatico”, il prete non si poteva denigrare o insultare: tale comportamento costituiva un terribile peccato. Nella nebbia delle superstizioni popolari la figura del pastore cristiano si fondeva con quella di un antico mago; si credeva che un sacerdote che aveva ricevuto gli ordini sacri, che conosceva i testi sacri e i rituali della Chiesa, fosse in grado di influire sulla vita delle persone. Secondo un’antica credenza, “l’incontro con un ecclesiastico, specie se sacerdote, toglie fortuna o promette sventure lungo il cammino”. Persino nella poesia “I segni” di Samuil Marshak, scritta tra l’altro nel 1949, la ragazza di nome Valja (diminutivo di Valentina), che si prepara per un esame, dice che avrà il massimo dei voti se prima di arrivare a scuola non incontra un sacerdote, perché “porta male”.
Ricordiamo che nelle campagne il prete era testimone immancabile di tutte le nascite e dei decessi. Benediceva le unioni e battezzava i bambini. Si credeva che la sua preghiera potesse guarire le malattie. Insomma, era una specie di mago o sacerdote di antiche civiltà, per questo i contadini gli offrivano dei ricchi doni, affinché partecipasse a riti che non erano altro che un relitto di paganesimo, incluso il rotolamento sulla rugiada.
“L’usanza di ‘rotolarsi’ dei preti non è solo una reminiscenza dell’antico ‘rotolamento’ del sacerdote (mago), da considerarsi una manifestazione della magia agraria”, scrive il noto filologo Aleksandr Bobrov nel suo articolo “Rotolamento sulla rugiada come sacramento pagano”, “ma anche un fatto attuale della polemica religiosa, del coinvolgimento coatto del rappresentante di una fede diversa, quella cristiana, nei riti pagani che sono tuttora vivi tra il popolo”. E non si trattava solo di questo.
Il battesimo di Gesù è una festa solenne nella Chiesa ortodossa russa. Tuttavia, immergersi nelle acque gelide in occasione di questa ricorrenza, come si fa in Russia, non è un rito cristiano
Aleksej Danichev/SputnikAl sacerdote si attribuiva il poter di “aprire” i confini tra i mondi, per cui, se una donna del villaggio aveva difficoltà a partorire, gli si chiedeva di aprire la Porta reale dell’altare in modo che il parto andasse meglio. Naturalmente, i contadini andavano dal prete, se credevano di essere stati vittima di qualche maleficio. Un prete “severo”, in questo caso, teneva una lunga lezione e imponeva la penitenza, mentre quello “buono” si limitava a recitare una preghiera “purificante” e ti lasciava andare con Dio.
In alcune circostanze il prete veniva coinvolto addirittura per far venire la pioggia: per questo bisognava versargli acqua addosso o fargli fare un’immersione in fiume (tipico esempio di “magia simpatica”). Se nel villaggio moriva uno stregone, al sacerdote veniva chiesto di assistere al rituale di “uccisione”, quando nel corpo del morto, considerato stregone, veniva conficcato un paletto di pioppo per evitare che potesse risorgere. Così pure il prete poteva assistere alla riesumazione del corpo di un suicida, che veniva successivamente gettato in acqua. Questo era un rito abbastanza diffuso per scongiurare la siccità. Certo, per queste cose, il sacerdote poteva essere punito severamente dalle autorità diocesane, ma il compenso era lauto, naturalmente, se alla fine pioveva e il raccolto era buono. Se non succedeva niente, “tale è la volontà di Dio”, diceva il prete, il cui compito primario era comunque quello di provvedere alla pace e alla quiete nel suo villaggio.
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