Così i cosacchi russi diventarono l’incubo di Napoleone nel 1812

Viktor Mazurovskij
Questi cavalieri nati gettarono lo scompiglio nella Grande Armata dell’Imperatore dei francesi, con le loro straordinarie tecniche di combattimento e la impressionante velocità sul campo di battaglia

“I cosacchi sono le migliori truppe leggere in assoluto. Se li avessi nel mio esercito, con loro marcerei su tutto il mondo”. Così Napoleone parlò della cavalleria cosacca russa, con cui si scontrò durante l’invasione della Russia nel 1812. Ma cosa stupì così tanto l’imperatore dei francesi? 

Guerrieri nati

All’inizio del XIX secolo, i cosacchi erano impegnati principalmente nella difesa dei confini statali dell’Impero. Queste truppe irregolari si distinguevano per l’elevata efficienza nel combattimento, la rigida disciplina, il senso di cameratismo e la lealtà reciproca e verso i loro atamani.

Acquatinta (tecnica di incisione indiretta su metallo) che rappresenta un cosacco del Don

Fin dai primi anni di vita, i cosacchi venivano istruiti ad andare a cavallo, a maneggiare varie armi da fuoco e bianche, anche se preferivano soprattutto le picche (che chiamavano “drotik”). Nel tempo libero organizzavano giochi di guerra, imparando e praticando tattiche che i loro antenati avevano mutuato dall’arte militare dei nomadi.

I primi cosacchi a Berlino, 20 febbraio 1813. Litografia

Lo stesso Bonaparte dette una caratterizzazione molto colorita del cosacco: “È ben strutturato fisicamente, forte, agile, audace, è un buon cavallerizzo e instancabile. È nato a cavallo, è cresciuto tra le guerre civili, e nella steppa è come un beduino nel deserto o un montanaro sulle Alpi. Non vive mai in una casa, non dorme mai in un letto, e al tramonto cambia alloggio per evitare di passare la notte in un luogo dove possa essere visto dal nemico”.

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La tattica cosacca

L’ordine di battaglia di base della cavalleria cosacca era la cosiddetta “fiumana” (in russo si usa il termine “lava”), utilizzata dai conquistatori mongoli. La massa di cavalieri si muoveva verso il nemico in una o più file in modo sparso, come se fosse completamente caotica. In realtà, i cosacchi, riuniti in file di 10-12 uomini, agivano in questa fiumana come un meccanismo ben coordinato, in cui ogni cavaliere conosceva il proprio ruolo. 

L’attacco dei cosacchi dell’atamano Platov ai danni dei lancieri polacchi nei pressi del villaggio di Mir (nell’odierna Bielorussia centrale), il 9 luglio 1812

“Non si sa come agire contro di loro; se si dispiega una linea, si riuniscono immediatamente in una colonna e rompono la linea; se si vuole attaccarli in una colonna, si dispiegano rapidamente e la coprono da tutti i lati…”, si lamentavano gli ufficiali della “Grande Armata” napoleonica.

Naturalmente, era molto difficile per i cosacchi, armati in modo leggero, sostenere una battaglia in campo aperto contro i pesanti corazzieri francesi. Essi si scontravano principalmente con la cavalleria leggera del nemico, effettuavano ricognizioni, sabotaggi, tendevano imboscate, facevano prigionieri per costringerli a dare informazioni, colpivano le retrovie dell’esercito nemico e ne interrompevano le comunicazioni.

La copertura dell’esercito russo

All’inizio della Guerra patriottica del 1812 l’esercito russo contava circa 40 mila cosacchi. La maggior parte di essi erano rappresentanti dell’Armata cosacca del Don dell’atamano Matvej Platov, a cui si aggiunsero i cosacchi del Mar Nero e i reggimenti di cavalleria tatari, calmucchi e baschiri.

Ritratto di Matvej Platov (1753-1818) dipinto nel 1814. L’atamano comandò i Cosacchi del Don nelle guerre napoleoniche

Il 23 giugno, alla vigilia dell’invasione su larga scala dell’Impero russo da parte della “Grande Armée”, 300 lancieri polacchi del V Corpo d’armata attraversarono il fiume Neman (Nemunas) per una ricognizione. Qui furono immediatamente attaccati da un distaccamento cosacco, che si ritirò dopo una breve battaglia. I cosacchi ebbero un rapporto speciale con i polacchi durante la campagna militare.

Evitando una battaglia generale, le diverse armate russe si ritirarono in profondità nell’Impero sotto l’assalto di forze nemiche numericamente superiori. I reggimenti mobili cosacchi coprirono la ritirata delle forze principali, infliggendo ai francesi colpi inaspettati e duri. Come osservò il generale Leontij Bennigsen, “approfittano del minimo passo falso del nemico e lo fanno immediatamente pentire dell’errore”.

La Battaglia di Malojaroslavets, circa 120 chilometri a sud di Mosca, ebbe luogo il 24 ottobre 1812 e fu tra le più tragiche per Napoleone

Se la situazione lo permetteva, i cosacchi ingaggiavano il nemico in combattimento aperto. Il 9 luglio, presso il villaggio di Mir (oggi nella Bielorussia centrale), usarono la tattica del “venter” contro i lancieri polacchi. Dopo una ritirata, i cosacchi li attirarono in un’imboscata delle loro forze principali.

La battaglia continuò il giorno successivo. Visto che al “venter” il nemico non abboccava più, perché lo aveva dolorosamente subito, Platov lo attaccò con la “fiumana”. “La battaglia è durata quattro ore, petto a petto… su sei reggimenti del nemico non è rimasta quasi un’anima, o forse non se ne salveranno molte… Le nostre perdite invece non sono state importanti”, riferì l’atamano al comando.

La Battaglia di Borodino

Venti reggimenti cosacchi e due compagnie di artiglieria a cavallo cosacche parteciparono alla grande Battaglia di Borodinó il 7 settembre. Durante la battaglia si scontrarono ripetutamente con le loro vecchie conoscenze del V Corpo d’armata polacco, ma il momento migliore dei cosacchi fu un’audace incursione nelle retrovie del fianco sinistro delle forze francesi.

Primi scontri tra cavalleggeri francesi e cosacchi a Krasnoe. In primo piano, il pittore Auguste-Joseph Desarnod (1788-1840) ha rappresentato se stesso, caduto da cavallo e pochi minuti prima della cattura. Una volta liberato rimase a vivere in Russia. Sullo sfondo cavalieri baschiri e calmucchi

Avendo ottenuto il permesso del comandante in capo dell’esercito russo Mikhail Kutuzov “di andare nelle retrovie del nemico”, i cosacchi del Don di Platov, insieme alla cavalleria del corpo di riserva del generale Fjodor Uvarov, attraversarono segretamente il fiume Kolocha e attaccarono improvvisamente i francesi, causando caos e confusione tra questi ultimi.

Il numero degli attaccanti non superava i seimila uomini, ma, ignaro di ciò, Napoleone fu costretto a prestare loro tutte le attenzioni e a sospendere l’assalto alle posizioni dell’esercito russo, che ebbe qualche ora di tregua per riorganizzarsi. Dopo aver fatto guadagnare tempo prezioso alle truppe, saccheggiando i convogli e catturando prigionieri, la cavalleria di Platov e Uvarov si ritirò.

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L’annientamento del nemico

I cosacchi furono i primi tra le truppe russe a entrare a Mosca dopo il disastroso ritiro dell’esercito francese il 19 ottobre. Iniziarono immediatamente a spegnere gli incendi, a seppellire i cadaveri, a cercare e arrestare i collaborazionisti, ad arrestare i saccheggiatori e i criminali.

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Nelle prime ore del mattino del 25 ottobre, nella zona di Malojaroslavets (circa 120 chilometri a sud-ovest di Mosca), i cosacchi ebbero la possibilità di catturare l’Imperatore in persona. Del tutto inaspettatamente per il nemico, attaccarono le sue postazioni di artiglieria, i suoi carri e impegnarono il corpo delle Guardie, tra cui c’era Napoleone con il suo seguito. Ignorando la loro fortuna, i cosacchi si concentrarono sul saccheggio del convoglio e si ritirarono all’arrivo dei rinforzi francesi.

“L’Imperatore fu quasi fatto prigioniero in mezzo alle sue guardie! È stato detto centinaia di volte che la Guardia combatteva bene, ma proteggeva male. Infatti, di notte i cosacchi erano a meno di 300 passi da un battaglione di granatieri…! Solo lo straordinario coraggio del suo convoglio e l’arrivo dei granatieri a cavallo e dei dragoni della Guardia hanno salvato Napoleone dalla prigionia”, ha descritto l’evento lo storico canadese del XIX secolo George Taylor Denison III.

“Cosacchi a Bautzen nel 1813”. Attorno alla cittadina dell'Alta Lusazia, in Sassonia, si combatté una battaglia durante la Guerra della sesta coalizione, dal 20 al 21 maggio 1813. Il dipinto di Bogdan Willewalde è del 1885

Occhi e orecchie delle truppe russe, i cosacchi inseguirono la Grande Armata napoleonica mentre fuggiva verso ovest, infliggendo di tanto in tanto improvvisi e dolorosi colpi al nemico. In occasione della cacciata dei francesi dall’Impero, lo zar Alessandro I si congratulò con l’atamano Platov: “I Vostri meriti e le imprese delle truppe cosacche a Voi subordinate rimarranno indimenticabili. Il loro nome è diventato terribile per il nemico”. 

I cosacchi riuscirono a dare prova di sé durante la campagna militare in Europa. Così, durante la Battaglia di Lipsia (detta anche “Battaglia delle Nazioni”), nell’ottobre 1813, salvarono dalla prigionia o addirittura dalla morte l’imperatore russo Alessandro I e Jean-Baptiste Jules Bernadotte (un francese che combatteva contro i suoi ex commilitoni, e che nel 1818 sarebbe diventato re di Svezia con il nome di Carlo XIV Giovanni) quando la cavalleria del maresciallo Gioacchino Murat, re delle Due Sicilie, li raggiunse. 

Non a caso, i cosacchi furono tra i primi dell’esercito russo a entrare a Parigi con lo zar nel marzo 1814. Nella capitale francese si concluse il loro arduo ma eroico percorso di battaglia.

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