Com'era la biancheria intima femminile in URSS (FOTO)

Kira Lisitskaya (Foto: archivio di Nikolaj Ekimov's archive/russiainphoto.ru; Igor Mikhalev/Sputnik)
Anche reggiseni e mutandine avevano una connotazione legata all’ideologia comunista, completamente priva di erotismo. Ed era il Partito a decidere quali taglie dovessero indossare le donne sovietiche

Prima del 1917, nell’Impero russo vi era un’ampia scelta di lingerie pregiata: prodotti che nella Russia zarista venivano realizzati su ordinazione, in quanto erano considerati dalla nobiltà e dalle famiglie di commercianti un dettaglio di buon gusto. 

Le vetrine dei negozi erano piene di raffinati merletti e capi di seta. La biancheria di serie veniva cucita solo per l'esercito, la marina e i prigionieri. 

Dopo la Rivoluzione, però, ci fu un’inversione di tendenza. Il nuovo “uomo sovietico” non poteva essere plasmato solo con la lettura del Capitale di Karl Marx o con l’adesione al Partito: l'ideologia penetrava in profondità nella vita privata delle persone, letteralmente… fin sotto i pantaloni! Nella metà degli anni Venti, le fabbriche di lingerie furono nazionalizzate dallo Stato, che divenne anche il principale "stilista" di indumenti intimi per le donne sovietiche. 

L'eleganza era considerata un eccesso borghese. Nel 1926 nel Paese fu pubblicato l'opuscolo dello psicologo Aron Zalkind, “Sessualità nella società sovietica”, che stabiliva un chiaro atteggiamento nei confronti delle donne e della loro sessualità: bisognava promuovere l'immagine di una donna nuova, robusta, con falce e martello, e in tutto e per tutto uguale a un uomo. E la predilezione della lingerie più raffinata veniva tacciata di essere pura perversione sessuale.

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Nel 1926, per volere del governo, fu istituita una nuova organizzazione chiamata Glavodezhda, il cui scopo principale era la produzione di uniformi militari, ma allo stesso tempo faceva anche lingerie per le masse. Si trattava di prodotti in serie, unici nel loro genere e decisamente brutti. Per molto tempo i cittadini dell'Unione Sovietica hanno potuto scegliere solo fra 2 o 3 tipi di calzoni e mutande, e un solo modello di reggiseno.

Qualsiasi discorso sulla "moda" finiva per trasformarsi in una semplice discussione sui colori. Per un certo periodo, fu messa in vendita della biancheria intima femminile considerata alla “moda” e “ideologicamente corretta”, decorata con immagini di trattori, aerei, falci, martelli e stelle rosse. 

I modelli di biancheria intima venivano cuciti in un unico luogo, nell'atelier Moskvoshvei di Mosca, su ordinazione individuale. Ma solo le mogli della nomenklatura del Partito e i capi militari vi avevano accesso. C'erano anche sarte che lavoravano segretamente a casa, ma potevano essere arrestate in qualsiasi momento per lavori domestici vietati. 

"La biancheria intima femminile in epoca sovietica non era destinata alla bellezza e alla seduzione. In essa non vi era erotismo. L'importante era che fosse igienica, pratica e calda. Con quella biancheria intima una donna era pronta a lavorare, a realizzare piani quinquennali in quattro anni", racconta Irina Svetonosova, direttrice del Museo della vita quotidiana sovietica. Come diceva l'artista sovietico d'avanguardia Aleksandr Rodchenko, anche gli oggetti hanno iniziato ad avere una connotazione “da tovarish”.

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Tuttavia, anche il concetto di comodità era del tutto relativo: molte donne trovavano questo tipo di biancheria intima troppo costrittiva e scomoda. Ad esempio, esisteva un reggiseno (popolarmente soprannominato "torpedo") che si gonfiava a dismisura sotto qualsiasi vestito, creando un rilievo molto strano: all’epoca l'industria sovietica non aveva ancora una buona padronanza della tecnologia per la produzione delle "coppe". 

Alla fine degli anni '40 apparve uno standard di lingerie che prevedeva solo tre taglie di seno: la prima, la seconda e la terza. E il modello era privo di ferretto.

Spesso al posto delle mutande si usavano i calzoni: la comodità e la protezione dal gelo continuavano a essere una priorità rispetto all'estetica. 

La svolta avvenne nel 1957. Dopo il Festival Mondiale della Gioventù, che portò 35.000 stranieri dietro la cortina di ferro, il Ministro della Cultura sovietico Ekaterina Furtseva disse: "Ogni donna sovietica ha diritto a un bel busto!". Su suo suggerimento, furono costruite delle fabbriche di lingerie sia a Mosca che a Leningrado. Di materiali a disposizione, però, non ce n’erano molti.

Ciononostante, nella DDR (Repubblica Democratica Tedesca) venne acquistata una linea di reggiseni chiamata “Angelika”; e al GUM si formavano lunghe code per averli. Tra l’altro dopo gli anni ‘70 apparvero altre taglie adatte a ogni tipo di corporatura. 

Negli anni '70 e '80 comparvero sugli scaffali alcuni modelli prodotti nella DDR, in Polonia, Ungheria e Jugoslavia. Modelli ben diversi da quelli indossati dalle donne sovietiche anche solo 20 anni fa.

Con il crollo dell’URSS, il mercato fu inondato da prodotti sintetici ben più economici provenienti dalla Cina, che hanno spodestato definitivamente l'immagine della biancheria intima "da tovarish".

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