“Per i nostri peccati arrivarono popoli sconosciuti, Moabiti senza Dio, di cui nessuno sa con certezza chi fossero, da dove venissero, che lingua parlassero, a quale tribù appartenessero o quale fede professassero”. Così un cronista dell’epoca descrisse la prima apparizione delle forze mongole ai confini della Russia nel 1223.
In quell'occasione, però, i mongoli non avevano intenzione di invadere l’antica Rus’. La loro incursione nella pianura dell'Europa orientale, guidata dai comandanti Subutai e Jebe, fu più una missione di ricognizione che una campagna di conquista.
Attraversando le montagne del Caucaso, l'esercito mongolo, forte di 30.000 uomini, raggiunse le steppe della regione settentrionale del Mar Nero e attaccò le tribù nomadi dei Polovtsiani di lingua turca, oltre le cui terre si trovavano i principati russi. Nonostante il fatto che le relazioni dei principi con questi vicini fossero tutt'altro che ideali, decisero di rispondere alla richiesta di aiuto di Köten (Kotyan), il khan dei Polovtsiani, e di fare fronte comune contro i mongoli.
Nella battaglia sul fiume Kalka (nel territorio dell'Ucraina orientale), combattuta il 31 maggio 1223, le forze della Rus' e dei Polovtsiani furono sbaragliate: solo un soldato su 10 sopravvisse, e almeno nove principi e un gran numero di boiardi di alto rango persero la vita. Tra le cause di questo disastro si citano la sottovalutazione del nemico, l'assenza di un comando unico e la mancanza di coordinamento tra i capi militari.
Dopo aver vinto la battaglia, i mongoli si ritirarono a est e nel corso degli anni la paura e l'orrore instillati nei cuori dei russi dopo quello che avevano passato cominciarono gradualmente a diminuire. Ma nel 1237 il potente impero tornò a far parlare di sé. Alla grande Campagna d'Occidente guidata da Batu, nipote di Gengis Khan, e da Subutai, che ormai conosceva bene la regione, parteciparono 14 discendenti diretti di Gengis Khan. Ognuno di loro aveva un “tumen” (10.000 cavalieri) sotto il proprio comando; secondo un'altra versione, invece, la forza dell'esercito mongolo non superava i 40.000 uomini.
Comunque sia, un’enorme massa di guerrieri addestrati alla perfezione nelle abilità di cavalleria e tiro con l'arco, e con un variegato arsenale di armi provenienti dalla Cina sottomessa, si muoveva verso ovest. Si trovò ad affrontare le forze disparate dei sempre litigiosi principati russi, che non riuscirono a unirsi nemmeno di fronte a questo grande pericolo.
Il Principato di Rjazan si trovava sulla strada dei mongoli. Chiese aiuto ai suoi vicini - i principati di Vladimir-Suzdal e Chernigov - ma i primi ritardarono l'invio delle truppe e i secondi si rifiutarono del tutto di intervenire, perché Rjazan aveva evitato di prendere parte al conflitto con i mongoli nel 1223.
Nonostante la mancanza di sostegno, gli abitanti di Rjazan decisero di resistere e risposero così all'ultimatum dei mongoli di consegnare un decimo di tutte le loro ricchezze: “Se non rimarrà nessuno di noi, sarà tutto vostro!”. La città cadde il 21 dicembre 1237, dopo un assedio di cinque giorni. “E non rimase un solo essere vivente in città, tutti perirono insieme e tutti bevvero dallo stesso calice di morte. Non rimase nessuno a piangere o a lamentarsi: nessun padre o madre a piangere i propri figli, nessun figlio a piangere suo padre e sua madre, nessun fratello a piangere suo fratello o i suoi parenti, tutti giacevano morti insieme. E tutto questo avvenne per i nostri peccati!”, narra il “Racconto della distruzione di Rjazan da parte di Batu”.
Il 1° gennaio 1238, nei pressi della città di Kolomna, i mongoli schiacciarono una forza che da Vladimir si stava dirigendo verso Rjazan. Ma quel giorno gli invasori subirono anche una perdita significativa: uno dei figli di Gengis Khan, l'importante comandante Kulkan, cadde in battaglia e divenne l'unico gengiside a morire nel corso della campagna contro la Rus'.
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Mentre proseguivano la marcia, i mongoli furono attaccati a sorpresa dal “piccolo distaccamento” di un nobile di Rjazan, Evpatij Kolovrat, che era tornato nella sua nativa Rjazan quando l'assedio era ormai finito. Con deboli forze al suo comando, Kolovrat riuscì a infliggere colpi dannosi alle truppe nemiche e persino a distruggere la retroguardia dei mongoli. Il valoroso guerriero fu oggetto dell'attenzione di Batu Khan in persona. Dopo la morte di Evpatij in battaglia, il khan era così pieno di ammirazione che ordinò di consegnare il suo corpo ai prigionieri presi a Rjazan e di liberarli.
I mongoli attraversarono a ferro e fuoco le terre del Principato di Vladimir-Suzdal, devastando numerosi villaggi e città, tra cui Mosca. La capitale del principato, Vladimir, cadde il 7 febbraio e la famiglia del suo sovrano, Jurij Vsevolodovich, perì tra le fiamme. In quel momento il Gran Principe non si trovava in città. Stava radunando le forze sul fiume Sit, dove fu ucciso con quasi tutte le sue truppe il 4 marzo, dopo essere stato sconfitto dal comandante mongolo Burundai. Fu così che l'intera Rus' nord-orientale fu sottomessa ai Mongoli.
La lotta contro il potente principato di Vladimir prosciugò le risorse degli invasori, la cui offensiva iniziò gradualmente a bloccarsi. Batu Khan non rischiò di attaccare l'importante centro commerciale di Novgorod, le sue truppe furono respinte da Smolensk e dovette assediare la piccola città di Kozelsk per più di 50 giorni. Quando finalmente la conquistò, il khan infuriato ordinò di mettere a morte tutti gli abitanti (come dice la cronaca, il principe Vasilij, 12 anni, “annegò nel sangue”) e di radere al suolo la “città malvagia”.
I Mongoli avevano bisogno di una tregua e ripresero l'offensiva contro le terre russe solo l'anno successivo. Questa volta furono i principati meridionali a essere devastati. Il 3 marzo 1239 fu conquistata Perejaslavl, precedentemente considerata inespugnabile; il 18 ottobre Chernigov subì la stessa sorte e il 6 dicembre cadde l'antica Kiev. “La città era molto grande e popolosa e ora è ridotta quasi a nulla: sono rimaste appena 200 case in piedi…”, scrisse Giovanni da Pian del Carpine, un italiano e membro dell'ordine francescano che visitò l'ex capitale della Rus' di Kiev nel 1245. Dopo aver devastato le terre della Galizia e della Volynia, i mongoli invasero l'Ungheria e la Polonia.
La Rus' aveva subìto una cocente sconfitta: moltissime persone furono uccise o fatte prigioniere; 49 delle 74 città conosciute furono distrutte (14 di esse non tornarono mai in vita e altre 15 furono ridotte a piccoli villaggi). Un duro colpo fu inferto all'economia e alla cultura: un gran numero di preziosi manoscritti andò in fiamme e molte chiese furono ridotte in macerie.
Esteso dalla Crimea alla Siberia, il potente Stato mongolo dell'Orda d'Oro non occupò le terre russe, ma vi impose il suo dominio politico ed economico. D'ora in avanti sarebbero stati i khan a decidere chi governava la Rus' e in che modo, mentre i principi erano costretti a recarsi dai khan per ottenere uno “yarlyk” (editto ufficiale) che permettesse loro di governare nelle proprie terre.
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