La pubblicità nella Russia comunista: un paradosso possibile

Aleksej Smirnov
Sorprendentemente, la pubblicità nel Paese dell’economia pianificata esisteva eccome. Ma non era concepita per vendere prodotti…

L'industria pubblicitaria sovietica fu controversa sotto molti aspetti: promuoveva prodotti in un’economia pianificata dove di norma molti beni di consumo scarseggiavano, e dove la concorrenza non esisteva. Le differenze con la pubblicità fatta nel blocco capitalista erano evidenti e quel tipo di marketing ha rappresentato un fenomeno unico nel suo genere.

La pubblicità sovietica nacque nei primi anni Venti. Sebbene fosse fiorita già nella Russia zarista, con la Rivoluzione del 1917 e l’introduzione nel Paese di un sistema sociale, politico ed economico completamente diversi, vi fu un’importante battuta d’arresto e il settore dovette ripartire da zero.

Nel 1921 il nuovo governo sovietico legalizzò gli annunci pubblicitari stampati da organizzazioni statali, cooperative e privati. Poco dopo, la prima agenzia pubblicitaria gestita da un giornale sovietico iniziò a pubblicizzare i propri servizi, come gli annunci sui giornali, la distribuzione di manifesti in tutto il Paese, la distribuzione di listini prezzi e opuscoli, la pubblicazione di elenchi, guide e cataloghi, la pubblicità di mostre e fiere e così via.

Paradossalmente, la pubblicità sovietica non aveva lo scopo di vendere i prodotti o di aumentarne il valore agli occhi dei clienti: al contrario, perseguiva un obiettivo completamente diverso.

“La pubblicità sovietica non spingeva l'acquirente ad acquistare un prodotto indipendentemente dalla sua qualità. Il compito della pubblicità in URSS era quello di informare il consumatore sulla disponibilità di un nuovo prodotto”, spiega Aleksej Smirnov, fondatore della pagina “Pubblicità dall’URSS” sul social network VK. 

Nel corso degli anni, gli annunci pubblicitari sovietici si sono uniformati dal punto di vista stilistico.

“Tra la fine degli anni Venti e la metà degli anni Trenta, gli elementi del costruttivismo divennero i tratti distintivi del nuovo stile pubblicitario. Le fotografie, la composizione del testo e degli accenti in caratteri ingranditi, i punti esclamativi e il gioco di colori rendevano il prodotto pubblicitario più espressivo e comprensibile”, dice Smirnov.

Così come fa notare l'esperto, in quel periodo dell'URSS la pubblicità era “ideologizzata, agiva come uno degli strumenti di influenza politica sulla società, contribuendo a plasmare atteggiamenti e valori favorevoli al governo. Si trattava di una pubblicità socialista basata su un sistema di argomentazioni ben ponderate, supportate da simboli appropriati, con priorità sociali e politiche chiaramente definite”.

Sebbene questo tipo di pubblicità non fosse ampiamente rifiutato dal pubblico, il popolo sovietico nutriva sentimenti contrastanti al riguardo. 

“L'atteggiamento nei confronti della pubblicità era lo stesso che si aveva nei confronti della propaganda. Dato che lo sviluppo culturale ed educativo della popolazione dell'Unione Sovietica è cresciuto tra gli anni '50 e '80, la pubblicità sovietica provocava una reazione a volte ironica, a volte scettica”, racconta Aleksej.

Un altro fatto sorprendente della pubblicità sovietica è che esisteva nonostante il deficit di molti beni e servizi che caratterizzava l’economia pianificata. E paradossalmente, il governo dovette intervenire per stimolare i produttori a pubblicizzare i propri prodotti.

Nella seconda metà degli anni Sessanta, Leonid Brezhnev, allora Segretario generale del Partito Comunista, “pretese che i produttori di tutto il Paese spendessero soldi in pubblicità. Da quel momento in poi, ogni impresa, grande o piccola che fosse, avrebbe dovuto destinarvi l'1% delle proprie entrate”, spiega Smirnov.

Questo regolamento portò i produttori a mettere in atto strategie pubblicitarie alquanto strane. Ad esempio, l'azienda sovietica Dzintars, produttrice di profumi, creava prodotti che si differenziavano ben poco l'uno dall'altro ma li pubblicizzava comunque al pubblico.

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Sorprendentemente, fu permesso di fare pubblicità in URSS anche ad alcune aziende occidentali; e la pubblicità sovietica in alcuni casi varcò addirittura la cortina di ferro: le auto Lada, ad esempio, venivano promosse anche all’estero. Secondo Smirnov, la pubblicità sovietica nei Paesi stranieri era “oggettiva nei contenuti: presentava il prodotto senza persuadere l'acquirente della sua necessità”.

Alcune aziende straniere iniziarono a promuovere i propri prodotti in URSS dalla seconda metà degli anni Cinquanta.   

“Esisteva persino un opuscolo con il listino prezzi delle pubblicità che potevano essere acquistate dalle imprese straniere sulla stampa sovietica. Ad esempio, una pagina del giornale Nedelja, un supplemento domenicale di Izvestia, costava 2.856 rubli, la terza o quarta copertina della rivista New Goods costava 225 rubli e un minuto in televisione 400 rubli”, racconta Aleksej.

Sebbene l'esistenza stessa dell'industria pubblicitaria sovietica appaia come un paradosso, essa ha prodotto una notevole mole di lavoro che permette di farsi un'idea della vita in un Paese che oggi non esiste più.

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