Come i giapponesi sono apparsi per la prima volta in Russia

Konstantin Makovskij; Archivio storico/Getty Images
A causa di secoli di autoisolamento del Paese del Sol Levante, i russi hanno avuto a lungo pochissimi contatti con i giapponesi. I primi arrivarono in Kamchatka dopo essere sopravvissuti a qualche naufragio

Prima del XVII secolo, i russi non sapevano quasi nulla del Giappone. Possedevano solo le scarse informazioni che ricevevano dagli europei. Immaginavano quel lontano Paese asiatico come una ricca terra da favola, un’“isola d’oro” dove vivevano “persona dalla natura spietata” (in Russia era arrivata la voce della persecuzione dei cristiani da parte dei giapponesi).

A metà del secolo, i distaccamenti cosacchi inviati dallo zar per esplorare la Siberia avevano raggiunto la penisola di Kamchatka e la costa del Pacifico. Fu qui che le due civiltà si incontrarono per la prima volta.

A quel tempo, per volontà dello Shogunato Tokugawa, il Giappone si era già chiuso al resto del mondo, limitando l’accesso al Paese solo ai commercianti cinesi e olandesi. Le navi destinate a viaggi oltremare venivano sequestrate e distrutte, e le piccole navi mercantili operavano solo nelle acque costiere.  

Vista su Dejima, nella baia di Nagasaki

Più di una volta, tempeste e uragani spezzavano queste fragili navi quando erano dirette verso la Kamchatka, e di tanto in tanto i marinai giapponesi  sopravvissuti al naufragio riuscivano a sbarcare a terra; una terra che i sovrani russi consideravano ormai loro.

Il giapponese di Pietro il Grande

Uno di questi sopravvissuti fu Dembei, un mercante di Osaka. Nel 1697, fu scoperto dai cosacchi del distaccamento del pioniere Vladimir Atlasov che lo protessero dalle tribù locali, allora conosciute con il nome collettivo di Kamchadali (probabilmente erano Itelmeni). 

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“E quando Volodimer Otlasov con i cosacchi arrivò nella terra dei Kamchadali – il giapponese descrisse più tardi le sue avventure in terza persona –  lui, Denbei,[… ]venne da loro, affinché non lo lasciassero morire di fame. E Volodimir e i suoi compagni lo presero con sé, Denbei, e non lo diedero ai nativi Kamchadali, e lo portarono in terra siberiana”.

Dembei fu presto inviato dalla Siberia a Mosca, e fu il primo giapponese a visitare la Russia. Ci sono notizie secondo le quali già nel 1600, un missionario, un certo Nicola, battezzato al cattolicesimo, fosse arrivato a Mosca dalle Filippine e fosse morto durante la crisi politica ed economica scoppiata in quegli anni, conosciuta come il Periodo dei Torbidi. Tuttavia, la versione che fosse giapponese non è supportata dai fatti. 

Pietro il Grande nel suo studio

Avendo imparato il russo, Dembei incontrò lo zar Pietro il Grande nel 1702, e gli fornì dettagliati resoconti sulla vita e le usanze del suo Paese. Sarebbe stato felice di tornare a casa da sua moglie e dai suoi due figli, ma la rigida politica di autoisolamento dello shogunato lo rese impossibile. Diventato Gavriil Bogdanov, prendendo un nome locale, il giapponese rimase nello Stato russo, dove iniziò a insegnare la sua lingua per volere del sovrano.

Nel 1706 fu fondata una scuola di lingua giapponese a San Pietroburgo, che più tardi si trasferì a Irkutsk. Tutti gli insegnanti madrelingua erano arrivati in Russia allo stesso tragico modo di Dembei: sopravvivendo a qualche naufragio di navi giapponesi al largo della costa della Kamchatka. 

L’assistente e il successore del primo giapponese fu un certo Sanimu. Nel 1736, Soza e Honza, due giapponesi superstiti di un ennesimo naufragio, arrivarono a San Pietroburgo e diventarono Kuzma Shultz e Damian Pomortsev dopo aver abbracciato l’ortodossia. Il Senato ordinò di “trovare immediatamente la nave giapponese su cui avevano viaggiato, e i libri in quella lingua”, e di consegnare al Senato tutti i libri o le lettere in giapponese che venivano trovate nelle zone dei naufragi.

Honza compilò una sorta di primo dizionario russo-giapponese; un piccolo “Nuovo lessico slavo-giapponese”. Un “Lessico russo-giapponese” contenente più di mille parole e frasi in russo e alfabeto Hiragana, compilato da Andrej Tatarinov, un diplomato della scuola di giapponese, fu pubblicato invece nel 1782.

Una finestra sul Giappone

Pietro il Grande era interessatissimo alle informazioni ricevute da Dembei. Anche se all’epoca era tutto preso dalla Guerra del Nord contro gli svedesi, dalla conquista del Baltico e dall’apertura della “finestra sull’Europa” per la Russia, la direzione asiatica gli sembrava altrettanto importante. 

Lo zar capì che stabilire contatti politici ed economici con il Giappone avrebbe aiutato sostanzialmente a sviluppare l’Estremo Oriente russo. Sarebbe stato più facile per gli insediamenti russi ricevere tutto ciò di cui avevano bisogno dal vicino Paese del Sol Levante piuttosto che dal lontano centro della Russia.

Durante la vita di Pietro il Grande, i russi si stabilirono sulle Isole Curili, che divennero una sorta di trampolino per il Giappone. Tuttavia, i contatti diretti iniziarono più tardi, durante il regno dell’imperatrice Anna I di Russia (sul trono dal 1730 al 1740).

Mercanti giapponesi

Nel 1739 le navi del danese Martyn Spanberg e dell’inglese William Walton, che erano al servizio della Russia, raggiunsero le coste giapponesi. Spanberg entrò nel porto dell’Isola di Kyushu e accolse una delegazione giapponese a bordo con dei regali. 

Walton, da parte sua, si diresse verso l’Isola di Honshu e si avventurò a terra, dove passò un po’ di tempo a socializzare con la gente del posto.

Quegli uomini di mare furono estremamente fortunati, perché i giapponesi non erano entusiasti degli ospiti non invitati, e tali visite spesso avevano esiti disastrosi. Più tardi, le navi russe al largo della costa del Paese del Sol Levante furono accolte da distaccamenti di soldati armati e gruppi di barche, che impedivano loro di sbarcare e le costringevano a riprendere il largo.

Una delegazione giapponese all'incoronazione di Nicola II

Un altro tentativo di stabilire relazioni con il Giappone fu fatto dall’imperatrice Caterina la Grande nel 1792. Le parti tennero anche dei colloqui sull’Isola di Hokkaido, ma non ci fu alcun seguito serio.

Nel 1811, i giapponesi sequestrarono lo nave russa Diana, che stava conducendo un rilevamento idrografico delle isole Curili. Le due potenze, che non avevano relazioni diplomatiche, si trovarono sull’orlo della guerra. Il conflitto fu risolto e i marinai russi tornarono a casa dopo due anni di prigionia.

Negli anni Cinquanta dell’Ottocento, gli Stati Uniti fecero uscire il Giappone dal suo isolamento quasi con la forza. Il Paese, che si aprì al mondo, intraprese un percorso di modernizzazione accelerata e di riarmo su larga scala. La Russia si ritrovò così nell’Estremo Oriente non solo un importante partner economico, ma anche un serio rivale geopolitico, cosa con cui avrebbe dovuto fare i conti in battaglia all’inizio del XX secolo. 


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