Il fatto che le donne della famiglia dell’ultimo imperatore russo avessero cucito diamanti nei corsetti dei loro abiti divenne noto dopo la loro esecuzione: “Le figlie… indossavano corpetti ripieni di grossi diamanti e altre pietre preziose”, ricordò Jakov Jurovskij, il supervisore della fucilazione. Ma alcuni dei Romanov furono più fortunati e riuscirono a fuggire dal Paese e anche a esportare illegalmente i loro gioielli, l’oro della famiglia e le pietre preziose. E questo venne fatto a volte in modi incredibilmente ingegnosi.
Un vecchio giornale e una valigia diplomatica
La granduchessa Marija Pavlovna (moglie dello zio di Nicola II, Vladimir Aleksandrovich) fu una dei pochi membri della dinastia imperiale che riuscì a lasciare la Russia dopo il 1917 e a portare via, anche se non da sola, alcuni dei suoi tesori. Non aveva praticamente nulla con sé quando lasciò il Paese: tutti i suoi oggetti di valore erano rimasti a casa, ma riuscì a farne arrivare diversi all’estero in un secondo momento. Ad aiutarla fu il suo amico di famiglia Albert Stopford, un diplomatico britannico (alcuni storici credono che fosse anche un agente dei servizi segreti britannici).
Dopo la Rivoluzione di Febbraio del 1917, la granduchessa e i suoi figli (suo marito era morto molto prima, nel 1909) partirono per Kislovodsk, incaricando il diplomatico di andare a cercare i suoi gioielli.
Ci sono solo informazioni sommarie su come sia riuscito nel compito. Presumibilmente Marija Pavlovna lo aveva informato di una “porta segreta” nel Palazzo Vladimirskij di San Pietroburgo che conduceva alla sua stanza. A quanto pare lui riuscì a entrare sotto le sembianze di un operaio (secondo un’altra versione, con un vestito da donna) e prese i gioielli, avvolgendoli in un vecchio giornale. Il diplomatico andò poi a Kislovodsk per dare i gioielli alla principessa. Tuttavia, lei ne trattenne solo una piccola parte e chiese a Stopford di portare il resto in Gran Bretagna e metterlo in una banca conosciuta solo da loro. Si sa che nell’autunno del 1917 l’uomo approfittò della sua immunità diplomatica e andò a Londra con 244 gioielli nella sua borsa da viaggio di pelle.
Nel 1920, Marija Pavlovna poté lasciare la Russia partendo da Novorossijsk su una nave italiana diretta a Venezia e poi si stabilì in Francia. Tuttavia, morì presto e i gioielli furono ereditati dai suoi figli. Molti furono venduti dagli eredi per risanare le loro finanze. Per esempio, la tiara di Vladimir appartiene ora a Elisabetta II d’Inghilterra e gli orecchini di perle alla moglie di Michael di Kent.
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I gioielli in una federa
Ma la scoperta più interessante è stata fatta dopo ben 90 anni! Si è scoperto che la parte dei gioielli che Marina Pavlovna aveva tenuto per sé tra quelli portati a Kislovodsk dal diplomatico suo amico, fu fatta arrivare dalla granduchessa alla missione diplomatica svedese a Pietrogrado, nel novembre 1918, grazie a un altro suo amico, il professore di pittura Richard Bergholz.
La granduchessa non riuscì a informare i suoi parenti del nascondiglio e fu solo nel 2009 che negli archivi del Ministero degli Affari Esteri svedese scoprirono due federe in cui erano avvolti circa 60 gioielli: portasigarette Fabergé, gemelli d’oro con pietre preziose e altri oggetti. Gli svedesi consegnarono le federe ai discendenti di Marija Pavlovna, che le misero all’asta. Oggi, gran parte di questi oggetti di grande valore è in mani private e appare periodicamente alle aste.
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Un nascondiglio sotto il tacco
Gli oggetti di valore della famiglia imperiale non furono prelevati segretamente solo da persone di fiducia, ma anche da varie persone per conto degli stessi bolscevichi: il ricavato doveva essere destinato alle necessità dei movimenti comunisti in altri Paesi. Gli agenti del Comintern furono ripetutamente sorpresi alle dogane straniere con valigie piene di gioielli.
Il giornalista americano John Reed, sepolto con tutti gli onori nella necropoli delle mura del Cremlino, fu testimone degli eventi rivoluzionari e scrisse un celebre libro su di essi, “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”, con un’introduzione scritta da Lenin in persona. Secondo una ipotesi degli storici, Reed era un agente del Cremlino; secondo un’altra, era un doppio agente.Ci sono infatti diversi fatti che suffragherebbero l’idea che John Reed non fosse solo un giornalista simpatizzante dei bolscevichi.
Nel marzo 1920 Reid fu sorpreso alla dogana della città finlandese di Turku con diamanti nascosti nei tacchi delle scarpe. Sosteneva di averli comprati con i suoi soldi, ma non gli credettero e venne arrestato. Fu rilasciato dal carcere solo a giugno.
Nelle memorie di Aino Kuusinen (1886-1970), moglie del comunista finlandese Otto Wille Kuusinen, si legge un’altra storia interessante. Su istruzioni del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista, l’agente finlandese Salme Pekkala-Dutt doveva recarsi in Inghilterra. Ricevette i soldi per le “spese di viaggio” da Otto, che era appena arrivato da Pietrogrado. Lui “tirò fuori da dietro la fodera del suo cappotto quattro diamanti giallastri grandi quasi quanto il suo mignolo”, ha ricordato Aino.
Caramelle di diamanti
Nel 2009, l’intelligence britannica ha desecretato un caso d’archivio relativo ai gioielli dei Romanov. Nel 1920, il dirigente editoriale del “Daily Herald” Francis Meynell (1891-1975) inviò in Gran Bretagna perle e diamanti della famiglia reale che aveva ricevuto dai bolscevichi in Svezia. Erano nascosti in involucri di caramelle al cioccolato e inviati per posta. Maynell disse in seguito che tutti questi gioielli alla fine erano tornati in Urss.
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