Chi era Jakov Jurovskij, l’uomo a capo del plotone d’esecuzione di Nicola II?

Jakov Jurovskij

Jakov Jurovskij

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Questo siberiano rude, comunista convinto ed ex orologiaio passato alla rivoluzione, non si pentì mai di aver sterminato la famiglia imperiale, bambini compresi

Come forse saprete, l’ultimo imperatore della Russia, Nicola II, fu giustiziato il 17 luglio 1918, quando le guardie bolsceviche aprirono il fuoco su di lui e sulla sua intera famiglia: moglie, quattro figlie e un figlio, oltre a cinque domestici. Questo macabro evento avvenne nella cantina della cosiddetta “Casa dello scopo speciale” di Ekaterinburg (una grande città degli Urali, 1.700 km a est di Mosca), dove l’ex famiglia imperiale era detenuta dall’aprile del 1918.

La casa Ipatiev a Ekaterinburg dove fu giustiziato l'ultimo imperatore della Russia, Nicola II, insieme alla sua famiglia

I bolscevichi, guidati da Jakov Jurovskij (1878-1938), un rigido uomo dalla barba nera che lavorava nella locale Chekà (la polizia segreta), agirono a sangue freddo, finendo con coltelli e baionette quelli che non erano morti subito. Questo è quello che Jurovskij stesso ha scritto nella sua relazione, chiamandosi in terza persona, “comandante”, il che era in effetti il suo incarico nella “Casa dello scopo speciale”:

“Il comandante ha detto ai Romanov che, visto che i loro parenti in Europa continuano ad attaccare la Russia sovietica, il governo bolscevico negli Urali ha emesso un verdetto per fucilarli. Nicola si è rivolto alla famiglia, poi si è voltato verso il comandante, chiedendo: “Cosa? Cosa?”. Il comandante ha ripetuto… Poi è iniziato il fuoco, durato per due o tre minuti. È stato il comandante a uccidere Nicola all’istante.”

L’ultima frase, tuttavia, potrebbe essere non veritiera, e fino a oggi è ancora in discussione chi esattamente, nel plotone di esecuzione, abbia fatto fuoco e ucciso l’ex imperatore. La testimonianza di Jurovskij, tuttavia, mostra la sua spietatezza. Ma cosa lo trasformò in un boia?

Da orologiaio a bolscevico

Jakov Jurovskij interpretato dall'attore scozzese Duncan Pow nella serie tv di Netflix “The Last Czars”/“Gli ultimi zar”

In “The Last Czars”/“Gli ultimi zar”, lo show di Netflix, Jurovskij, interpretato da Duncan Pow, svolge un ruolo cruciale come antagonista di Nicola II. L’imperatore era (secondo la serie americana) un uomo gentile ma debole, che non amava troppo comandare. Jurovskij, al contrario, è mostrato come una persona convinta dei suoi ideali e pronto a qualsiasi cosa per il successo della causa in cui credeva: il miglioramento delle condizioni di vita delle persone comuni.

Una delle scene mostra Jurovskij che parla a Nicola alcuni giorni prima della sua esecuzione. I due uomini si dividono una sigaretta e Jurovskij ricorda quando si erano incontrati la prima volta. “1891, avevo 10 anni. Stavi completando la tua visita nell’Estremo Oriente. Ti sei fermato a Tomsk… Avevo una bandierina, la agitavo. Ero solo una delle piccole formiche a cui facevi gesti e che salutavi”.

In realtà, Jurovskij non si sarebbe preso la briga di parlare con Nicola II a meno che non fosse necessario, e certo non per rievocare dei ricordi d’infanzia. E poi era nato in una povera famiglia ebrea vicino a Tomsk (3.600 km a est di Mosca) nel 1878: quindi non aveva certamente 10 anni nel 1891, ma semmai 13. Jurovskij era l’ottavo di dieci fratelli, e aveva cambiato un sacco di volte il luogo dove viveva e lavorava, spesso vagando per la Russia come apprendista orologiaio.

Nel 1905, Jurovskij entrò in contatto con i rivoluzionari. Conoscendo abbastanza bene le difficoltà che i russi affrontavano quotidianamente, si trasformò in un ardente anti-monarchico, trascorrendo diversi anni in esilio, a Berlino. Poi, 12 anni dopo, fu dalla parte della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, che consegnò il potere ai suoi compagni, i bolscevichi.

La nuova nomina

Lo zar Nicola II dopo la sua abdicazione

Mentre Lenin, Lev Trotskij e altri importanti leader comunisti governavano la Russia sovietica da Mosca, Jurovskij era tra coloro che lavoravano nell’entroterra russo, precisamente a Ekaterinburg, importante centro strategico e città industriale degli Urali con un potente movimento operaio. Fedele al Partito comunista, Jurovskij eseguiva rispettosamente tutto ciò che i suoi capi gli dicevano di fare.

Il fatto che lui venisse nominato a capo della “Casa dello scopo speciale”, significava che i bolscevichi volevano indurire le condizioni dei prigionieri imperiali. “Hanno messo una barra d’acciaio all’unica finestra che avevamo”, scrisse l’ex imperatrice Aleksandra nel suo diario, poco dopo aver incontrato Jurovskij. “Ovviamente, hanno costantemente paura che scappiamo.” D’altra parte, però, Jurovskij, un uomo di principio, impediva alle guardie di rubare cibo ai prigionieri, cosa che accadeva spesso sotto il suo predecessore.

Un’esecuzione mal organizzata

Il massacro della famiglia Romanov raffigurato sulla copertina del giornale francese

Jurovskij non aveva simpatia per i suoi prigionieri. Più tardi, nelle sue memorie, scrisse: “La mia impressione generale era la seguente: una famiglia ordinaria, direi borghese… Nicola stesso sembrava un insignificante ufficiale di basso rango… Nessuno avrebbe detto che quell’uomo era stato lo zar di un Paese così enorme per tanti anni.”

Nel corso della sua vita, non ha mai mostrato alcun segno di pentimento per aver giustiziato la famiglia reale, compresi i bambini. Il suo rapporto è laconico: “Il 16 luglio alle 18:00 Filipp Goloshchjokin [il capo di Jurovskij] ha ordinato di giustiziare i prigionieri.” Alla 1:00 del giorno dopo i Romanov e i loro servi erano morti.

La stanza dove fu giustiziata la famiglia imperiale

Jurovskij e i suoi uomini, tuttavia, fallirono completamente in termini di occultamento dei corpi: il loro primo piano era di gettare i corpi in una miniera fuori dalla città, ma non si rivelò abbastanza profonda, così dovettero spostare i corpi in un altro sito. Le condizioni meteorologiche erano proibitive, e le auto non poterono raggiungere il luogo prescelto. “Niente era stato preparato, non avevamo neanche i badili, niente…”, scrisse Jurovskij più tardi. Alla fine, bruciarono parzialmente i corpi e li seppellirono in una fossa poco profonda.

Il resto della vita di Jurovskij

C’era una ragione per cui i bolscevichi decisero di passare per le armi i Romanov nel luglio del 1918: a quel tempo l’esercito Bianco anti-bolscevico era vicino a Ekaterinburg, e c’erano preoccupazioni che la famiglia imperiale venisse liberata e portata fuori dal Paese. Subito dopo l’esecuzione, Jakov Jurovskij, insieme a molti altri bolscevichi, dovette fuggire dalla città. Tuttavia, tornò più tardi quando i bolscevichi sconfissero definitivamente i Bianchi nel 1922. Successivamente, a Mosca e a Ekaterinburg, ricoprì diverse cariche, nessuna legata alle esecuzioni. L’ultimo suo incarico, dal 1928, fu quello di direttore del Museo Politecnico di Mosca. Sua figlia Rimma, dirigente del Komsomol, fu arrestata al tempo delle purghe staliniane e passò circa dieci anni in un campo di lavoro in Kazakistan. Jurovskij morì nel 1938 di un’ulcera peptica.

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