Grigórij Raspùtin (1869-1916) è stato uno stretto collaboratore della dinastia imperiale Romanov dalla reputazione molto controversa. Dopo il suo assassinio, avvenuto nel 1916, la sua immagine e il suo ruolo nella storia sono stati completamente “demonizzati”, tanto che ancora oggi è Rasputin è un po’ in tutto il mondo simbolo di dissolutezza e lussuria. Nel 1933 nessuno dei discendenti diretti del “monaco zarista” era ormai rimasto in Russia. Quasi tutti ebbero un triste destino, e uno solo dei suoi figli non morì giovane.
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Dei sette figli di Grigorij Rasputin e di Praskovja Dubrovina, sposata nel 1887, solo tre sopravvissero fino all’età adulta: Matrjona, Varvara e Dmitrij. Vissero tutti con la madre nel villaggio di Pokrovskoe, oltre duemila chilometri a est di Mosca, fino al 1913. Quando la posizione di Rasputin a Corte divenne molto forte, il mistico siberiano decise di trasferirsi stabilmente a San Pietroburgo e di portare con sé le sue figlie per renderle signore della buona società e “assicurar loro il futuro”. Mise Matrjona e Varvara in una scuola preparatoria privata con i migliori insegnanti e gradualmente iniziò a introdurle nella sua più stretta cerchia di amici: la famiglia reale.
Grigorij Efimovich Rasputin (1869-1916)
Fine Art Images/Heritage Images/Getty ImagesIn seguito Matrjona ricordò nelle sue memorie che, al primo incontro, i figli dello zar le erano sembrati delle bambole di porcellana in una lussuosa casa di bambole: “I figli dello zar volevano sapere tutto di me: in quale ginnasio studiavo, chi mi spazzolava i capelli e mi vestiva, se avevo dei giocattoli meccanici, se avevo visto il loro yacht, come si chiamava la nostra mucca a Pokrovskoe e così via… domande senza fine!”. Le ragazze entrarono presto in confidenza con i Romanov. Matrjona presto cambiò il suo nome campagnolo nel più eufonico Marija. Ma i sentimenti anti-Rasputin si intensificarono un anno dopo che la sua famiglia si era trasferita a San Pietroburgo, e tutto cambiò radicalmente dopo l’omicidio di Rasputin nel Palazzo Jusupov. La sua famiglia lasciò la città, anche se solo Matrjona lasciò il Paese.
Grigorij Rasputin con i suoi figli
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Poco prima aveva sposato un ufficiale, Boris Solovjov, un fedele seguace di Rasputin e della famiglia imperiale. Matrjona ottenne nuovi documenti per sé e per suo marito e andò in Europa attraverso Vladivostok, poiché a Occidente c’era il fronte della guerra. Il viaggio fu estremamente complicato. I treni sulla ferrovia Transiberiana rimasero bloccati per mesi. Poi, una volta arrivati a Vladivostok, i due lasciarono la città su una motonave che evacuava parti della Legione cecoslovacca. Arrivarono in Europa passando per il Giappone, Singapore e il Canale di Suez. Il viaggio durò due anni, e Marija dette alla luce un figlio lungo il percorso. Alla fine, la coppia si stabilì a Berlino, e quattro anni dopo si trasferì a Parigi. Questa fuga salvò la vita di Matrjona, cosa che non avvenne con suo fratello e sua sorella.
Grigori Rasputin con sua moglie e sua figlia Matryona, a destra, 1911
Dominio pubblicoDopo l’omicidio di suo padre, Varvara tornò nel villaggio natale da suo fratello. Nel 1922 furono privati dei loro diritti di voto in quanto ritenuti “elementi nocivi” per la società. Negli anni Trenta, Dmitrij con la sua famiglia e la madre fu arrestato e mandato in esilio nel Nord, dove morirono tutti di dissenteria. Varvara semplicemente scomparve, ma secondo la versione più accreditata sarebbe morta in ospedale di tifo a metà degli anni Venti.
La vita a Parigi non fu semplice per l’unica figlia di Rasputin sopravvissuta. Boris Solovjov aprì un suo ristorante, ma gli affari andarono male: gli unici clienti erano compatrioti senza soldi, che andavano sempre a cenare “a credito”. Nel 1924 contrasse la tubercolosi e morì improvvisamente. A quel tempo, Matrjona aveva due bambini piccoli.
Rimasta senza un soldo, prima andò a servizio come governante in famiglie benestanti, e poi ottenne un lavoro come ballerina al Théâtre de l’Empire (le lezioni di balletto che aveva preso a San Pietroburgo tornarono utili).
Maria Rasputin
Hulton Archive/Getty ImagesLa sua vita cambiò radicalmente quando nei primi anni Trenta venne notata dal direttore del circo americano Barnun, la cui attenzione fu richiamata dal cognome celebre della donna. La condizione per avere il posto era di entrare nella gabbia del leone. “Certo, mia nonna fu d’accordo”, dice la nipote Laurence. “Dopo la fuga dalla Rivoluzione, dalla Prima guerra mondiale e dalla Guerra civile, una gabbia con i leoni non le faceva certo paura.
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La scommessa sul suo cognome funzionò: il pubblico accorreva per vedere “Mary Rasputina, la figlia del monaco pazzo diventato famoso per le sue imprese in Russia” (così si leggeva sulla locandina), che avrebbe ammansito gli animali feroci solo con il suo sguardo rasputiniano. All’interno di un programma circense, Matrjona viaggiò in quasi tutta l’Europa e in America.
Tutto finì a Miami: venne attaccata da un orso polare e, dopo una lunga convalescenza in ospedale, concluse la sua carriera di domatrice di animali selvatici. In seguito, i giornalisti scoprirono una “straordinaria coincidenza”: anche la pelle d’orso su cui cadde l’assassinato Rasputin nel 1916 era bianca…
In seguito Matrjona lavorò come rivettatrice in un cantiere navale americano e dopo la Seconda guerra mondiale in varie imprese del settore della Difesa, fino alla pensione. Nel 1945 le venne concessa la cittadinanza statunitense. Morì nel 1977, un anno prima del suo ottantesimo compleanno. I suoi discendenti vivono in Occidente, ma una delle pronipoti di Rasputin, Laurence Io-Solovjova, si reca spesso in Russia.
Laurence vive alla periferia di Parigi, in una villa piena di antichi mobili ereditati. Nella camera da letto ha fotografie del bisnonno.
Per molto tempo è stato vietato parlare di Rasputin nella sua famiglia. “Ricordo come mio padre disse una volta, sbattendo il pugno sul tavolo, che non voleva che il nome di Rasputin fosse pronunciato a casa, o che si parlasse delle radici russe della famiglia. Per cui non ne parlavamo mai”, ha raccontato al quotidiano “Kommersant”. Il divieto si spiegava con la pessima reputazione di Rasputin, che avrebbe potuto influenzare negativamente la vita della famiglia. “Qui [in Francia] il termine ‘Rasputin’ è a volte usato per riferirsi a politici che amano troppo dare consigli e sono dei manipolatori”.
“Solo dopo la morte di mio padre, mio cugino, suo nipote, ha detto: ‘Dobbiamo ricordare tutta la nostra storia, tutto quello che sappiamo del nostro bisnonno’”, ma questo è stato mantenuto per molto tempo al chiuso della cerchia familiare.
Laurence ha raccontato ai suoi amici di essere imparentata con Rasputin solo nel giorno del suo sessantesimo compleanno: “Gli ospiti sono quasi caduti dalle sedie per lo stupore”, ride. Da allora, ha una missione: diffondere informazioni veritiere sul suo bisnonno, la cui biografia contiene troppe leggende.
“Se qualcuno pensa che io abbia strani poteri, vi devo deludere”, dice Laurence. “Sono una donna semplice. Rimasta sola, ho lavorato come segretaria. Ho cresciuto i miei bambini. Ho tre nipoti. Negli ultimi anni, la mia vita è diventata spiritualmente ricca, ricevendo un ulteriore significato: approfondisco la storia della Russia, dell’Ortodossia, riscopro le mie radici, incontro il popolo russo”.
Parla spesso con i giornalisti, partecipa a conferenze storiche, ma ammette comunque che diverse persone la evitano. “Ho amici che dicono: ‘Sai, Laurence, mi piaci davvero, ma non posso presentarti alla mia famiglia.’ E questo accade solo perché sono una discendente di Rasputin”.
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