“Dio non ci faccia vedere la rivolta russa, insensata e spietata!”. Questo ammonimento, tratto da “La figlia del capitano” di Aleksandr Pushkin (1799-1837), è diventato un aforisma in Russia (testo originale in russo: “Не приведи бог видеть русский бунт, бессмысленный и беспощадный!”). La frase, come il resto dell’opera, si riferisce alla rivolta contadina del 1773-1775 guidata dal cosacco del Don Emeljàn Pugachjóv (1742-1775), la più grande rivolta nella storia della Russia.
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L’esercito dello zar impiegò due anni per sopprimere la ribellione. Ma se ogni scolaretto russo conosce Pugachjóv (spesso traslitterato: Pugachev) sin dall’epoca sovietica, il nome del suo braccio destro Salavàt Julàev è profondamente radicato solo nelle menti delle persone che vivono nella Repubblica del Bashkortostan (Baschiria), circa 1.500 chilometri a est di Mosca. Perché mai?
Un socio del principale ribelle russo
Pugachjóv si fece passare per il defunto zar Pietro III e sollevò una rivolta di massa tra i cosacchi e i contadini degli Urali e della regione del Volga. I popoli baschiro, tataro e ciuvascio, e molti altri si unirono al suo esercito. Uno dei suoi principali compagni di lotta in queste regioni fu Salavat Julaev (1754-1800), che guidava un distaccamento di baschiri.
All’epoca dell’inizio della rivolta, Salavat aveva appena 19 anni. Si unì al ribelle insieme a suo padre, Julai Aznalin, che proveniva da una nobile e ricca famiglia di nobili baschiri. Julai aveva partecipato a diverse operazioni militari dell’esercito russo e come premio aveva ricevuto delle terre dallo zar. In seguito, però, per favorire lo sviluppo della Baschiria, le autorità trasferirono la proprietà delle sue terre ad alcuni mercanti per la costruzione di fabbriche. Offesi e non potendo riottenere la proprietà per vie legali, Julai e suo figlio si unirono a Pugachjov, radunando un’armata di tremila contadini.
“Svirépyj Salavat”, ossia “Salavat il Sanguinario” come lo chiamava Pushkin nel saggio “Storia della rivolta di Pugachev”, si distinse nella lotta: egli stesso condusse diverse battaglie di successo, prese il controllo di due fabbriche, partecipò all’assedio di Orenburg e conquistò anche una fortezza, prendendone il tesoro. Salavat fu particolarmente efferato soprattutto nelle ex terre di suo padre: dette persino alle fiamme le fabbriche zariste.
Nel 1775, le truppe imperiali sconfissero tuttavia il distaccamento di Julaev e il leader baschiro fu catturato. Insieme a suo padre, fu condannato ai lavori forzati, nonché alla vergognosa punizione dello knut (una dolorosissima frusta) e della marchiatura a fuoco. Trascorse gli ultimi 25 anni della sua vita nel porto di Rogervik sul Mar Baltico (oggi è la città estone di Paldiski) e morì nel 1800 all’età di 46 anni.
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Da ribelle a eroe
Caterina la Grande, che regnava a quel tempo, fece di tutto per consegnare i nomi dei ribelli all’oblio. Venne scritto pochissimo sulla ribellione e la censura controllava scrupolosamente ogni testo.
“Negli archivi della regione di Orenburg, ho trovato cartelle e cartelle di casi penali con persone condannate per aver semplicemente pronunciato i nomi di Emeljan Pugachjov o Salavat Julaev”, racconta Miras Idelbaev (1945-), scrittore baschiro e autore di un importante saggio su Julaev.
Eppure, nella nativa Baschiria, c’erano eccome quelli che si ricordavano di Salavat e lo consideravano un eroe e un valoroso guerriero. Sotto pena di punizioni feroci e persecuzione da parte della polizia zarista, iniziarono a essere composte canzoni e racconti leggendari su Salavat. Ad esempio, si dice che c’è così tanto cristallo nelle montagne della Baschiria, perché la gente ha pianto interi villaggi di lacrime quando l’eroe è stato portato ai lavori forzati.
Julaev è conosciuto in Bashkiria anche come poeta-improvvisatore. Cantava la bellezza dei Monti Urali, e insegnava ai soldati il coraggio. Il testo scritto delle sue poesie non è sopravvissuto, ma sono state tramandate oralmente tra i baschiri. Le sue poesie apparvero in stampa solo alla fine del XIX secolo. In quello stesso periodo, il suo nome tornò per la prima volta dall’oblio, quando apparve una biografia in cui il ribelle fu chiamato per la prima volta “eroe”.
Ma Salavat ha guadagnato una vera fama solo in epoca sovietica: la propaganda bolscevica innalzò a eroi tutti i combattenti contro lo zarismo. Nel 1929 fu pubblicato il romanzo storico di Stepan Zlobin (1903-1965) “Salavat Julaev”, che mostra un eroe tradito dai suoi compagni d’armi, e nel 1940 ne fu tratto anche un film, per la regia di Jakov Protazanov.
Strade a lui intitolate apparvero in quasi tutte le città del Bashkortostan. E anche un’intera città di nuova costruzione, fondata da zero nel 1948, fu battezzata con il suo nome. Sorge 165 chilometri a sud della capitale baschira Ufà e oggi conta 150 mila abitanti. Nel 1961, fu poi fondato a Ufà il club di hockey “Salavat Julaev”, e nel 1967 fu inaugurato in città un gigantesco monumento: una statua equestre di un eroe con frusta e sciabola.
Il Salavat contemporaneo
Julaev non è stato dimenticato neanche dopo il crollo dell’Urss, sebbene per la maggior parte dei baschiri di oggi abbia un po’ perso l’aureola eroica o sacra. Ma il monumento sovietico è diventato un vero biglietto da visita di Ufa e un luogo di attrazione per i turisti. E dal 1993 fa bella mostra di sé sullo stemma ufficiale della Repubblica del Bashkortostan.
Secondo il giornalista e media manager baschiro Razif Abdullin, “tutti conoscono la sua storia e il suo ruolo nella ribellione di Pugachjov, ma i baschiri di oggi associano questo nome principalmente al club di hockey su ghiaccio”.
Abdullin ritiene che “Salavat Julaev” oggi sia una sorta di marchio della repubblica, ben difeso dalla squadra di hockey locale, che milita nella Kontinental Hockey League.
In treno verso Ufa, dove Europa e Asia si incontrano