Storia del passaporto sovietico, un documento paradossalmente valido ancora oggi

Storia
GEORGY MANAEV
In Russia non è mai stata emanata una legge che vieti formalmente l’utilizzo del documento sovietico. E così ancora oggi 350.000 cittadini utilizzano lo storico passaporto con la falce e il martello

Al giorno d’oggi in Russia si contano ancora 350.000 persone in possesso di un passaporto sovietico come principale documento d’identità. I dati, relativi al 2020, parlano soprattutto di anziani e senzatetto, che per le ragioni più svariate non hanno mai rinnovato il documento. Formalmente quei passaporti sono ancora validi: nella Federazione Russa nessuna legge li ha mai vietati. 

I passaporti sovietici non erano semplici documenti, ma veri simboli della cittadinanza sovietica. Che aspetto avevano e come sono cambiati negli anni?

I passaporti nell'Impero russo

I primi passaporti apparvero in Russia nel XVI-XVII secolo come documenti per i delegati e i mercanti stranieri. I passaporti interni furono introdotti da Pietro il Grande per controllare la vasta migrazione interna innescata dalle sue riforme.

Lo Stato, infatti, voleva sapere dove si trovavano i suoi sudditi fiscali; e così a contadini, mercanti e comuni cittadini fu consegnato un passaporto per muoversi in Russia. I contadini che lasciavano il proprio luogo di residenza per lavorare in altre parti del paese possedevano un passaporto che descriveva il loro aspetto fisico. I nobili, invece, potevano viaggiare senza passaporto, ma dovevano acquisire una podorozhnaya: un documento speciale che consentiva l’utilizzo di un cavallo e di un carro di proprietà dello Stato durante il viaggio. Anche la podorozhnaya aiutava il governo a controllare i movimenti dei propri sudditi.

Prima della fine del XIX secolo, tutti i russi avevano un permesso di residenza registrato presso la polizia locale e non potevano lasciare il luogo di residenza per più di sei mesi alla volta: e i bolscevichi, nella loro propaganda anti-zarista, fecero leva anche su questo. Nel 1903, Lenin scrisse: “I socialdemocratici chiedono la completa libertà di movimento e di commercio per il popolo: distruggere i passaporti... Il muzhik russo è ancora così schiavo dei funzionari che non può muoversi liberamente in città, né può andare liberamente in nuove terre. Non è forse questa la servitù della gleba? Non è un’oppressione del popolo?”.

Cittadinanza… ma non per tutti

Con la Rivoluzione del 1917, il vecchio sistema dei passaporti fu bandito e nel 1923 i documenti emessi dall'Impero russo furono dichiarati nulli. Ma uno Stato non poteva funzionare senza un sistema di documenti!

Durante una conferenza, l'antropologo Albe Bayburin disse che l'assenza di passaporti “ha portato a confusioni disastrose con la distribuzione dei buoni pasto, per non parlare della contabilità militare e delle statistiche della popolazione in età lavorativa”.

Gli anni '20 furono un'epoca di industrializzazione e collettivizzazione. Moltissime persone furono trasferite e si ritrovarono in condizioni di povertà. 

La carenza di cibo e le cattive condizioni abitative spinsero la gente verso le grandi città alla ricerca di un luogo dove vivere e lavorare. In queste condizioni, i bolscevichi si videro costretti a reintrodurre il sistema dei passaporti. La funzione principale del documento era in realtà quella di separare i cittadini “buoni”, ovvero quelli considerati redditizi per lo Stato, dai cittadini “cattivi”: ex funzionari zaristi, poliziotti e soldati, e soprattutto l'ex nobiltà.

Moltissime categorie di persone non potevano avere passaporti sovietici: disoccupati, ex kulaki (contadini ricchi), preti e membri del clero, oltre a tutti gli ex funzionari zaristi, ma anche poliziotti e ufficiali giudiziari. Queste persone furono costrette a nascondere le proprie origini; in alternativa, dovevano trovare un modo per ottenere un passaporto che consentisse loro di vivere nelle città.

Nelle campagne, gli ex contadini, ora lavoratori dei kolkhoz (fattorie collettive) non ebbero passaporti fino agli anni '70-'80. Perché? Nel 1949, l'Ufficio del Consiglio dei Ministri discusse un progetto per rilasciare passaporti a tutte le persone sopra i 16 anni; ma per qualche strana ragione la riforma restò chiusa in un cassetto.

E l’assenza di un passaporto per i lavoratori dei kolkhoz (ex contadini) significava l'impossibilità di muoversi e trovare lavoro lontano dal proprio luogo di residenza. 

Negli anni '20, circa l'80% della popolazione sovietica viveva nelle campagne (ma non tutti erano lavoratori dei kolkhoz). Migrando verso le città, gli ex contadini ottennero il passaporto e il permesso di soggiorno; tuttavia, nel 1974 un 20% della popolazione era ancora senza documenti.

Passaporto: un simbolo e un mezzo di controllo

Il passaporto sovietico ottenne una grande popolarità grazie alla poesia “Il mio passaporto sovietico” di Vladimir Majakovskij, scritta nel 1929: “Estraggo dalle mie ampie brache questa piccola cosa, a me sì cara. Leggete ‏e invidiatemi: si dà il caso che io sia un cittadino dell’Unione Sovietica”. Tutti gli studenti dell’URSS erano tenuti a imparare questi versi a memoria, anche negli anni ‘90! E così il passaporto rosso con la falce e il martello fu percepito come un documento sacro.

I passaporti furono introdotti il 27 dicembre 1932: “A 16 anni tutti i cittadini dell'URSS che risiedono permanentemente nelle città, negli insediamenti lavorativi, che lavorano nei trasporti, nelle fattorie statali e nei cantieri, sono tenuti ad avere il passaporto”, recitava la risoluzione del governo sovietico. Il passaporto sovietico era un documento onnicomprensivo: conteneva i timbri di registrazione (propiska), indicava la nazionalità, lo stato civile, lo stato sociale (operaio, contadino collettivo, contadino individuale, impiegato, studente, scrittore, artista, scultore, artigiano, pensionato, dipendente, senza occupazione certa), il luogo di lavoro o di studio.

Anche la fedina penale veniva segnata sul passaporto, e per una persona bollata come “elemento criminale” dalle autorità sovietiche era pressoché impossibile trovare un lavoro decente.

Insomma, il passaporto sovietico era lo strumento ideale per il controllo del suo proprietario: proprio come l’Impero russo, anche l’URSS voleva il controllo totale e la supervisione dei propri cittadini. 

Le istruzioni per la milizia sovietica risalenti al 1935 definivano i principali compiti dei poliziotti nel mantenere il regime dei passaporti in URSS come segue: impedire la residenza senza passaporto e senza permesso di soggiorno (propiska); impedire l'impiego o il servizio senza passaporto. Nel 1937, sui passaporti fu introdotta la foto, e copie esatte di queste foto erano conservate in cartelle chiamate “tavole dei passaporti” che controllavano il rilascio dei passaporti.

Il 28 agosto 1974 fu presa la decisione di emettere nuovi passaporti e di rilasciare il documento a tutti i cittadini sovietici dal compimento del 16° anno di età, senza eccezioni: e così anche i contadini finalmente ottennero il proprio passaporto. 

Nel 1976-1981, tutti i passaporti furono sostituiti con quelli nuovi. La nuova legge vietò anche di mettere qualsiasi marchio o timbro sui passaporti, ad eccezione dei timbri sulle restrizioni criminali apposti dalle autorità locali e dalla polizia.

Gli ultimi passaporti sovietici restarono in uso fino al 1997, quando fu creato il nuovo passaporto russo. Ma non è mai stata emessa una legge particolare che vieti l’uso dei passaporti sovietici. Perciò formalmente sono ancora oggi un documento valido.