Viaggio nell’architettura sovietica: il mondo “dimenticato” delle rovine comuniste in foto

Storia
NIKOLAJ SHEVCHENKO
Arsenij Kotov ha lasciato il suo lavoro di ingegnere per lanciarsi alla scoperta dell’impressionante “brutalismo sovietico”, che egli cerca di preservare immortalandolo sulla pellicola. Un hobby trasformato in professione e che ha dato vita a un libro

Alcuni si chiedono perché l'architettura sovietica - caratterizzata dall'uniformità delle sue forme brutali - fosse così brutta; altri invece vedono la bellezza anche nel grigio agglomerato di edifici modernisti che ancora oggi caratterizzano lo spazio post-sovietico. 

Il fotografo Arsenij Kotov, 32 anni, appartiene a questa seconda categoria: i suoi scatti, molto popolari su Internet, raccontano il fascino contraddittorio dell’architettura sovietica; e di recente hanno dato vita a un libro.

“Prima che diventasse il mio lavoro, questo per me non era altro che un hobby”, racconta Kotov, che ha lasciato il suo lavoro di ingegnere per dedicarsi ai viaggi sulle orme dell’impressionante “brutalismo sovietico”

“Ho iniziato visitando diverse città russe: lì mi sono accorto di quanto fosse interessante l’architettura modernista sovietica - racconta -. Decisi quindi che avrei visitato tutte le repubbliche post-sovietiche e che avrei fotografato gli edifici più impressionanti per realizzare un libro”.

Il suo ambizioso progetto ha mosso i primi passi nel 2016. Tre anni dopo, è uscito il libro. Per finanziare il progetto, Arsenij ha messo in affitto l’appartamento e si è lanciato a caccia di perle provenienti dal passato.

All’inizio, quando la fotografia di Kotov non generava ancora entrate sufficienti, l’unica soluzione per realizzare il suo sogno era tagliare le spese il più possibile. “Ho cercato di risparmiare il più possibile: facevo l'autostop ogni volta che potevo per coprire brevi distanze, non mi fermavo mai negli alberghi, ma alloggiavo dalla gente del posto che avevo conosciuto su Couchsurfing”.

Inizialmente Kotov fotografava le città più popolose e rinomate dello spazio post-sovietico. Più tardi ha iniziato a visitare insediamenti più piccoli.

L'unico ricordo che Arsenij ha del suo passato in URSS, quando era bambino, è quello di un club di aeromodellismo amatoriale. “Da piccolo volevo entrare a far parte del club, ma quando sono diventato abbastanza grande da poterci entrare il club non esisteva più”, racconta. Ammette di avere una certa nostalgia dell'epoca sovietica, nonostante sia nato solo tre anni prima del crollo dell'URSS.

A differenza di molte persone della sua stessa generazione, Kotov trova attraenti i vecchi edifici residenziali di epoca sovietica, non solo perché gli ricordano la sua infanzia, ma anche perché reputa interessante la loro natura utilitaristica. 

Costruite fra gli anni ‘50 e gli anni ‘80, le cosiddette “khrushchevki” permisero a innumerevoli famiglie sovietiche che prima vivevano in dormitori o appartamenti comuni di acquisire il proprio spazio abitativo: una cosa inimmaginabile fino a pochi anni prima che Nikita Khrushchev lanciasse il grande esperimento di costruzione in URSS.

“Quando questi edifici furono costruiti, la gente li trovò attraenti… gli architetti, per esempio. Ogni famiglia aveva il proprio appartamento: era molto meglio che vivere in un villaggio senza acqua corrente e altre infrastrutture! Non è stato male crescere in questo ambiente”, dice Kotov.

Kotov sostiene di essere un grande fan di questa architettura, al punto da arrivare a criticare chi non la capisce: “Vorrei che la realtà [post-sovietica] venisse accettata così com'è. Credo che le persone possano trovare qualcosa di bello in ogni singola cosa che le circonda”, aggiunge.

Il fotografo, inoltre, non condivide i tentativi delle autorità russe di rinnovare i vecchi edifici sovietici. “Li dipingono con colori simili a quelli dei clown - rosso, rosa e giallastro - anche se questi edifici sono stati progettati per stare in piedi come brutali monoliti grigi. Così facendo si perde l’idea iniziale”, dice.

Ogni suo servizio fotografico si rivela una piccola avventura, poiché spesso è necessario entrare negli edifici e salire sui tetti per avere la giusta prospettiva sull'oggetto da fotografare. “Quando esco a scattare fotografie, porto sempre con me una macchina fotografica e una chiave inglese”, racconta, aggiungendo che non cerca mai di ottenere l'assistenza delle autorità locali. È una perdita di tempo, dice. “A volte accedo ai luoghi illegalmente. Ci vorrebbero anni per coordinare un servizio fotografico in certi posti. È una cosa che non sopporto. E così la faccio a modo mio”.

La maggior parte dei follower di Kotov su Instagram (più di 171.000 utenti) vive all’estero; solo il 30% risiede in Russia. Si tratta perlopiù di persone emigrate dall’URSS, o stranieri in qualche modo affascinati da questa realtà. “Trovano semplicemente affascinante la cultura sovietica. L'URSS era un paese chiuso e le persone che vivevano all'estero conoscevano poco lo stile di vita sovietico. Oggi, anche se le frontiere della Russia sono aperte, poche persone hanno l'opportunità di visitarla, ma il loro interesse rimane vivo”, conclude.

Oggi Kotov si mantiene pubblicando libri e vendendo stampe di alta qualità dei suoi scatti, al prezzo di 150 euro l’una, attraverso una società con sede a Stoccolma. 

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