Così come molti altri bambini americani, anche Bob Dylan negli anni ‘50 fu vittima della propaganda della Guerra Fredda: nella sua autobiografia “Chronicles”, il cantautore Premio Nobel per la letteratura racconta come l’Unione Sovietica venisse presentata ai ragazzini come una minaccia.
“Una delle cose che ci avevano insegnato era nasconderci e ripararci sotto i banchi quando suonavano le sirene dei bombardamenti aerei, perché i russi potevano attaccarci con le bombe - scrive -. Ci dicevano che i russi potevano paracadutarsi dagli aerei sopra la nostra città in qualsiasi momento. Erano gli stessi russi con i quali i miei zii avevano combattuto fianco a fianco solo pochi anni prima. Ora erano diventati dei mostri che venivano a tagliarci la gola e ad incenerirci”. Ma Dylan sembra scettico nei confronti di queste credenze: “Sembra strano”, pensa, “curiose fantasie”.
Ma all’apice della Guerra Fredda, anche negli USA ogni libreria o collezione privata che si rispetti custodiva gli scritti dei grandi autori russi.
Il tempo scorre, e negli anni ‘60 Bob Dylan si ritrova a essere un artista in difficoltà nella New York dell’epoca; ma nella stanza dove vive c’è una grande collezione di libri: ed è lì che si immerge nel mondo di Gogol, Balzac, Maupassant, Dickens e Hugo.
“Anche Dostoevskij aveva vissuto una vita triste e dura”, scrive Dylan nella sua autobiografia, facendo riferimento all'esilio dello scrittore russo in Siberia, nel XIX secolo. “Alla fine fu graziato e scrisse storie per allontanare i suoi creditori. Proprio come feci io nei primi anni Settanta, quando realizzai un album per allontanare i miei”.
L'album del 1975, “Blood on the Tracks”, trasse ispirazione da un altro grande scrittore russo: “Alla fine ho registrato un intero album basato sui racconti di (Anton) Chekhov... i critici hanno pensato che fosse autobiografico, che andasse bene”, confessa nella sua autobiografia.
Parlando di Tolstoj, Dylan ricorda il suo viaggio a Mosca nel 1985: la visita, organizzata dal celebre poeta russo Andrej Voznesenskij, è scivolata perlopiù nell’oblio.
Dylan, la cui nonna era originaria di Odessa, era entusiasta dell’idea di visitare l’URSS. E insieme al poeta statunitense Allen Ginsberg fu invitato a partecipare a un concerto di poesia alla vigilia del 12° Festival mondiale della gioventù e degli studenti.
Al cantautore americano fu chiesto di esibirsi allo stadio Luzhniki di Mosca davanti a un pubblico ristretto. Ma la serata con Voznesenskij e il famoso poeta Evgenij Evtushenko si rivelò un fiasco, poiché il pubblico era composto principalmente da Komsomol (giovani comunisti).
Così come avrebbe raccontato il musicista russo Andrej Gorokhov, il pubblico, composto da persone che non avevano la minima idea di chi fosse Dylan e non parlavano inglese, rispose con ben poco entusiasmo all’esibizione. Più tardi, il cantautore, demoralizzato per il flop del concerto, si ritrovò a piagnucolare nella dacia di Voznesenskij a Peredelkino.
Il primo viaggio di Dylan in Russia migliorò nei giorni successivi, quando si recò nella tenuta di Tolstoj a Yasnaya Polyana. Nella sua autobiografia, Dylan racconta di essersi imbattuto in un libro di Tolstoj in quella stessa stanza di New York, dove negli anni ‘60 aveva letto le opere di Pushkin e Dostoevskij.
“C’era un libro del conte Lev Tolstoj, di cui 20 anni dopo avrei visitato la tenuta di famiglia dove era solito educare i contadini: si trovava fuori Mosca, e fu lì che egli si recò, anni dopo, per rinnegare tutti i suoi scritti e rinunciare a ogni forma di guerra”.
Yasnaya Polyana
Balabanov/SputnikDylan, che all’epoca non godeva di alcuna popolarità in Russia, ottenne un piccolo privilegio: “Una guida turistica mi ha lasciato guidare la sua bicicletta (di Tolstoj)”, rivelò più tardi.
Dylan era ansioso di visitare la città di Odessa, ma gli fu negato il permesso ufficiale perché all'epoca la città era chiusa ai cittadini non sovietici. Visitò quindi Tbilisi, dove ricevette una timida accoglienza da parte del pubblico. Tuttavia, alcuni resoconti dell’epoca suggeriscono che Dylan avrebbe raggiunto Odessa da lì.
Andrej Gorokhov era pronto a scommettere che Dylan non sarebbe mai tornato in Russia dopo il flop di Mosca nel 1985. Ma il cantante non demorse, e nel 2008 si esibì a San Pietroburgo, ottenendo il plauso del pubblico in quel paese che aveva già profondamente segnato la sua formazione artistica.
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