Cos’è che non andava nella vita in Unione Sovietica?

Storia
GEORGY MANAEV
È evidente che l’Urss non fosse l’Impero del Male dipinto dalla propaganda capitalista, ma certo non si può nemmeno presentarlo come un Paese perfetto. Abbiamo chiesto ad alcuni cittadini che hanno vissuto nel periodo sovietico cosa piacesse loro meno di tutto in quel sistema politico, culturale ed economico

In questo articolo, non ci dilungheremo in ponderate considerazioni sui pro e i contro della vita in Unione Sovietica. Abbiamo semplicemente chiesto alle persone che hanno vissuto in Urss di rispondere alla domanda: “Cosa non ti piaceva del Paese? Al di là di tutte le cose buone, cosa ricordi di negativo?”

1 / Il controllo totale dello Stato su tutte le sfere dell’esistenza

Vera Ivanovna, 89 anni, ha lavorato come Capo del dipartimento di pianificazione di un’impresa del settore aerospaziale

Ho vissuto la maggior parte della mia vita sotto l’Unione Sovietica e ricordo bene quel Paese. L’azienda in cui lavoravo produceva motori per aerei, progettava aeroplani e persino la navicella spaziale Buran è stata creata nel nostro stabilimento.

Mi pagavano bene, ma dove potevo mai spendere quei soldi? Potevamo comprare poco sul mercato libero. Per le auto c’era da fare richiesta e poi attendere per molti anni, oppure ci si poteva rivolgere a un rivenditore al nero e pagarla tre volte tanto che alla fabbrica. La terra era distribuita dallo Stato, non poteva essere acquistata; degli appartamenti cooperativi, nessuno ancora aveva sentito parlare. Insomma, eravamo costantemente di fronte all’incapacità di comperare ciò che volevamo con i nostri guadagni, che non sapevamo come spendere.

Amavo viaggiare e avrei sempre voluto andare all’estero. Tali viaggi venivano approvati dal partito, e gli organi di sicurezza statale dovevano dare il permesso di rilasciare il passaporto. In ogni caso la maggior parte delle persone poteva andare solo in un Paese socialista. A me non è mai stato permesso un viaggio turistico e non ho mai avuto un passaporto. È un peccato, perché quando ero ancora giovane e la salute mi avrebbe concesso di viaggiare, l’Unione Sovietica non me lo permetteva.

L’Urss era qualcosa di molto positivo. Sentivamo il Paese alle nostre spalle. Essendo sopravvissuti alla guerra, non avevano più paura di morire di fame, e c’era ancora una certa fiducia nella vita futura. Ma eravamo rinchiusi in questo Paese, che in buona sostanza pianificava ogni aspetto della la tua vita. Quando te ne rendi conto, inizia a non andarti bene. Ma comunque quello era l’unico modo per vivere e sopravvivere nel dopoguerra…

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2 / Il Partito Comunista e il suo potere sui cittadini

Raisa Semjonovna, 89 anni, ex dipendente del Ministero dell’industria chimica dell’Urss

Al Ministero dell’Industria Chimica, ero impegnata nel controllo degli standard statali (i GOST) per i reagenti chimici. Questi reagenti sono necessari in vari settori: per la produzione di vernici, medicinali, fertilizzanti chimici e così via.

I nostri standard erano al livello di quelli stranieri: lo Stato si assicurava che i prodotti sovietici non fossero peggiori di quelli occidentali. E per lavorare con chimici stranieri, degli specialisti venivano mandati all’estero, nei paesi del blocco socialista: Polonia, Ungheria, Bulgaria… Ma io non sono mai stata mandata fuori dai confini, perché non avevo la tessera del Partito comunista!

Avevo un marito e un figlio, e mi occupavo anche della casa: facevo la spesa, cucinavo, facevo le pulizie. Ma se si entrava nel Pcus, bisognava partecipare a un sacco di riunioni, parlare in pubblico, partecipare a congressi ed eventi. Non volevo fare tutto questo, ma in questo modo mi sono preclusa ogni possibilità di carriera.

Da noi funzionava così: se una persona non era un membro del partito, non veniva mai nominato, per esempio, a capo di un dipartimento, e non importa quanto se lo fosse meritato con il lavoro o fosse talentuoso. Le posizioni di comando erano occupate solo dai membri del partito e, francamente, non sempre si distinguevano per la loro bravura, e il loro modo di vivere non era certo “socialista”.

3 / La mancanza di informazioni

Tatjana Aleksandrovna, 62 anni, stilista

Il problema principale per me e per i miei amici e colleghi stilisti o creativi era l’inaccessibilità delle informazioni: era impossibile conoscere le tendenze e le tecnologie mondiali nel nostro campo. Tutte le poche notizie ci arrivavano in ritardo. Ci orientavamo solo con le nostre sensazioni interiori: “Quest’anno chiaramente era di moda il colore rosso, quale sarà di moda il prossimo anno?”

Le poche perle informative potevano essere reperite sulle riviste di moda e design straniere, ma era molto difficile ottenerle. Ce le avevano solo delle biblioteche dipartimentali: la Biblioteca della Casa dei modelli di tutta l’Unione, e la Biblioteca dell’Istituto dell’Assortimento dell’Industria leggera di tutta l’Unione, ma vi si poteva accedere solo tramite documenti ufficiali che comprovassero la necessità e il possedimento dei titoli richiesti. O eri impiegato nel settore e portavi un certificato dal posto di lavoro, oppure potevi presentare la tessera studentesca se eri iscritto a un corso in questo campo. Inoltre, queste biblioteche vendevano informazioni ad altre organizzazioni: fotografavano, facevano estratti delle riviste, e inviavano cartamodelli, sagome, modani ecc. per posta.

Noi studenti ordinari, in interi gruppi andavamo a casa da coloro che erano riusciti a prendere in prestito tali riviste, e le consultavamo, uno sulla testa dell’altro, prendendo appunti, facendo schizzi… A proposito, anche carta di qualità, strumenti da disegno, pennelli e matite erano incredibilmente difficili da trovare!

4 / La penuria di beni di consumo e culturali

Oleg, 46 anni, redattore di Russia Beyond

Praticamente ho vissuto tutta la mia infanzia in Urss: nel 1991 [quando il Paese si disciolse, ndr] finivo la scuola. Questo probabilmente spiega perché i miei bisogni e interessi, benché piuttosto ristretti, a quel tempo non potessero essere soddisfatti. La maggior parte di loro era piuttosto consumista: cibo e vestiti; beni particolarmente carenti. Oggi l’elenco di queste cose può sembrare ridicolo, ma l’assenza di formaggi, salumi, carne e semplici gomme da masticare, vestiti e scarpe era qualcosa che soprattutto a noi bambini e ragazzi pesava un sacco. Anche perché allora il Paese era già più aperto, e avevamo qualcosa con cui confrontare la nostra esistenza. E tutto quello che desideravamo poteva essere comprato a Mosca (io vivevo nella provincia di Taganrog; 1.100 chilometri più a sud) al mercato nero, e lo vedevamo addosso o in mano ai coetanei più “di successo”, i cui genitori avevano l’opportunità di partecipare ai rari viaggi nei Paesi del campo socialista.

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Ma per me personalmente, la famigerata cortina di ferro e la penuria quasi totale di beni di consumo portarono allo scoperto un problema assolutamente senza uscita: l’impossibilità di scambio culturale. La storia della letteratura e dell’arte mondiale in Urss si concludevano rispettivamente con la prosa antibellica di Remarque e con l’arte moderna francese dell’inizio del XX secolo. Il grosso problema era che anche queste briciole di conoscenza potevano essere ottenute solo in biblioteche specializzate, dove non c’era per niente odore di modernità. E questo stato doloroso di vuoto informativo ci perseguitò fino alla Perestrojka, che vivemmo come l’epoca di un nuovo Rinascimento.

Georgij, 64 anni, documentalista

C’erano persone che visitavano costantemente Paesi stranieri per cause di lavoro: marinai, piloti, ferrovieri, atleti, e portavano merci che venivano vendute e rivendute dai fartsovshchiki, che erano attivi in tutte le principali città dell’Urss. In città come Riga, Leningrado, Odessa, questa attività illegale fiorì così tanto che i fartsovshchiki di altre città andavano lì appositamente per acquistare tali beni – dischi, riviste, album d’arte, registratori, orologi, cineprese, macchine fotografiche e così via – all’ingrosso e rivenderli nelle loro città. Pertanto, il governo sovietico, vietando la libera importazione di merci straniere, stimolò l’emergere e l’esistenza del commercio illegale.

5 / L’inefficienza dell’economia pianificata

Evgenij, 81 anni, ex dipendente dello stabilimento automobilistico AZLK

Il nostro impianto seguiva dei piani di produzione che venivano calati dall’alto, dai ministeri. E questo piano non era sufficiente per fornire alla produzione la quantità si pezzi di cui necessitava, poiché era redatto da burocrati che avevano bisogno di numeri belli e convenienti; persone che non tenevano conto delle caratteristiche specifiche della produzione.

Supponiamo che le officine realizzassero il cento per cento di un pezzo, come disposto dal piano. Di più non se ne potevano produrre, poiché, in base al piano, avevamo semilavorati e materie prime solo per quel tot di pezzi. E quelli difettosi? Alcuni pezzi non venuti bene venivano rifiutati al montaggio e inviati in uno speciale magazzino. Per l’assemblaggio delle auto, diciamo, si utilizzava effettivamente l’80% dei pezzi prodotti, ma quando finivano, non potendone produrre di nuovi, si riprendeva a usare i pezzi difettosi dello speciale magazzino di cui sopra. Visto che, rispetto al piano, i pezzi non potevano scomparire, e andavano in qualche modo utilizzati, prima di un nuovo lotto di produzione, i pezzi difettosi rimasti venivano distribuiti ai negozi di ricambi. È per questo motivo che una parte delle auto uscivano dalla catena di montaggio con difetti e nei negozi si trovavano solo pezzi fallati…

L’economia pianificata aveva un effetto negativo anche sul personale addetto alla produzione. Nel 1970, al famoso rally Londra-Messico, nella competizione a squadre, il team AZLK con le nostre Moskvich si classificò al terzo posto. In quel momento, lo stabilimento produceva 60.000 auto all’anno. La dirigenza sovietica, ispirata dal successo, decise di aumentare la produzione di automobili, sin dall’anno successivo. Ma dove trovare altri lavoratori specializzati per questa produzione? Al fine, ancora una volta, di soddisfare i requisiti del piano, iniziarono a reclutare i cosiddetti “limitchik” (delle persone con registrazione di residenza limitata, che potevano spostarsi per motivi di lavoro, ndr). Erano manodopera assolutamente non qualificata; persone non addestrate, provenienti dalle province, inviate a Mosca secondo le quote necessarie. Ieri il “limitchik”, con tutto il rispetto, pascolava le mucche, e oggi era già alla catena di montaggio. La qualità dell’assemblaggio scese bruscamente, ma invece di 60.000 auto all’anno ne iniziarono a produrre 100.000. Queste auto, ovviamente, erano molto lontane in termini di qualità rispetto alla serie precedente.

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6 / Il prendere decisioni senza tenere conto dei bisogni delle persone

Mikhail Gorbachev, ex presidente dell’Urss. Estratto da una puntata dell programma “V gostjakh u Dmitrija Gordona” (“Ospite da Dmitrij Gordon”) del 2010

Tre segretari generali morirono in fila, uno dopo l’altro [Leonid Brezhnev il 10 novembre 1982, Jurij Andropov il 9 febbraio 1984, Konstantin Chernenko il 10 marzo 1985; ndr]. Nella società c’era solo malcontento: la vecchia leadership era ormai detta la “leadership dei malati”, perché arrivavano al potere già in condizioni di salute orribili. Quando sono arrivato io, di sani non ce n’erano più. Penso che non fosse più possibile lasciare il Paese in uno stato simile. Tutte le cose principali accadevano nelle nostre cucine: le conversazioni principali. La gente era scontenta che un Paese con un enorme potenziale non potesse risolvere problemi davvero semplici. Come può essere così difficile riuscire a produrre dentifricio o sapone? O la carta igienica? Oppure: era stata creata una commissione, sotto la guida di Ivan Vasiljevich Kapitonov, una intera commissione per risolvere il problema della mancanza di collant per le donne! Riuscite a immaginare?

Insomma, il sistema effettivamente non funzionava. E non funzionava perché il cittadino privato era escluso dal processo decisionale e di progettazione. Non sto dicendo che tutti dovrebbero andare a sedere nel Comitato Centrale. No, voglio dire che le persone dovrebbero essere in grado di dire cosa vogliono, e avere libertà di parola. Ma come si poteva dire la propria se poteva bastare una barzelletta per finire per anni ai lavori forzati? La gente non voleva più vivere così. Il Paese era ormai un Paese istruito. E si diffuse questa frase: “Tak dalshe zhit nelzjà“ (“Così non si può vivere oltre”). Il Paese soffocava per la mancanza di libertà.


Perché il sistema socialista crollò in Unione Sovietica?