La morte del “gruppo Djatlov” nell’inverno del 1959 fu causata da una valanga, innescata da un improvviso cambiamento delle condizioni meteorologiche. Lo ha annunciato l’11 luglio 2020 Andrej Kurjakov, vicecapo della direzione della Procura generale del distretto federale degli Urali, al termine di un’inchiesta riaperta il 1º febbraio del 2019.
Dopo la valanga, il gruppo avrebbe deciso di lasciare in tutta fretta la propria tenda. Alla fine, sono morti per congelamento e per delle fratture causate dal peso della neve.
“Dopo aver lasciato la tenda, il gruppo, tutti insieme, senza panico, si è spostato a 50 metri di distanza. Andarono su una cresta di pietra, che fungeva da spezzatrice naturale di valanghe. Hanno fatto tutto bene. Ed ecco la seconda ragione per cui il gruppo è stato, diciamo, condannato a morte, perché non sono mai tornati. Quando si voltarono, non poterono più vedere la tenda”, ha affermato, aggiungendo che quella notte la visibilità notturna era dai 6 ai 16 metri.
Kurjakov ha detto che gli escursionisti avevano raggiunto un pino siberiano e avevano acceso un fuoco, che bruciò per circa un’ora e mezzo. Due membri del gruppo morirono lì per congelamento. Il resto decise di dividersi, ha stabilito l’inchiesta. Un gruppo era guidato da Igor Djatlov e l’altro, dall’istruttore Semjon Zolotarev.
“Il gruppo guidato da Djatlov iniziò a gattonare verso la tenda seguendo le proprie tracce. Si sono congelati immediatamente dopo aver lasciato la foresta poiché la temperatura era di 40-45 °C sotto lo zero, e c’era un vento pungente”, ha spiegato.
Anche i membri del secondo gruppo si diressero verso la tenda, dopo essersi battuti un sentiero, ma innescarono accidentalmente un movimento di neve, furono portati via e seppelliti sotto tre metri di neve, ha continuato a spiegare Kurjakov. Fu allora che gli escursionisti si procurarono le gravi fratture, causate da tonnellate di neve che premettero su di loro. Furono quelle lesioni che in seguito causarono un numero enorme di teorie su ciò che poteva essere loro successo.
“Fu una lotta eroica. Non ci fu panico. Ma, in tali circostanze, non avevano alcuna possibilità di salvezza”, ha sottolineato Kurjakov.
Secondo un piano approvato dalla commissione per le rotte turistiche della regione di Sverdlovsk, una spedizione escursionistica guidata da uno studente del quinto anno della Facoltà di Ingegneria radiofonica dell’Università tecnica statale degli Urali, Igor Djatlov, avrebbe dovuto aver luogo nel gennaio-febbraio 1959 e durare da 16 a 18 giorni. Gli escursionisti pianificarono di percorrere una distanza di 300 km con gli sci e di scalare due cime, l’Otorten e l’Oyka-Chakur. Tutti avevano esperienza escursionistica e tutta l’attrezzatura necessaria. Il gruppo era composto da studenti e laureati dell’università e accompagnato dall’istruttore Semjon Zolotarev.
Dopo la partenza, uno dei membri del gruppo, Jurij Judin, accusò un dolore alla gamba e dovette tornare a Sverdlovsk (l’attuale Ekaterinburg). Alla fine fu l’unico sopravvissuto a quella fatidica spedizione (Judin è morto dopo una lunga malattia nel 2013).
Entro il 14 febbraio 1959, il gruppo avrebbe dovuto inviare un telegramma da un punto del loro percorso, il villaggio di Vizhaj. Tuttavia, non ci arrivarono mai. Il 20 febbraio, un gruppo di ricerca venne inviato a cercarli. Il 26 febbraio, a un passo di montagna a 300 metri dalla cima del Monte Holatchakhl, che in seguito divenne noto come “Passo Djatlov”, il gruppo di ricerca trovò una tenda con effetti personali e documenti dei membri del gruppo. Il giorno successivo, i corpi di quattro membri del gruppo, incluso lo stesso Djatlov, furono rinvenuti a una considerevole distanza dalla tenda. I corpi degli altri furono trovati tra marzo e maggio dello stesso anno.
Immediatamente dopo la scoperta dei corpi, fu avviata un’indagine. A quel tempo, una visita medica forense stabilì che sei escursionisti erano morti di ipotermia, mentre altri tre avevano fratture che potevano essere state causate da “un impatto di una grande forza”, la cui fonte l’indagine non era in grado di stabilire.
Il 28 maggio 1959, la procura della Regione di Sverdlovsk chiuse il caso, scrivendo come probabile causa di morte, nelle conclusioni, una formula vaga: “Sono stati sopraffatti da una irresistibile forza sconosciuta”.
Secondo l’ufficio del procuratore, il caso venne poi secretato a causa di un documento che dettagliava i metodi segreti per ottenere informazioni utilizzati durante l’inchiesta. Per questo motivo, anche tutti gli altri materiali furono classificati.
La storia della morte del gruppo Djatlov divenne nota in Russia e all’estero solo negli anni Novanta. Sulla vicenda sono stati scritti numerosi libri e girati documentari e film (uno fantascientifico, “Devil’s Pass”).
In totale, la procura ha esaminato 75 teorie su ciò che potrebbe essere accaduto al gruppo Djatlov, ma le più popolari erano nove, tra cui: un ufo, un test missilistico, un’esplosione nucleare, un uragano, un terremoto negli Urali settentrionali, una valanga e persino una scaramuccia con dei sabotatori stranieri paracadutatisi in Unione Sovietica.
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La teoria di un’esplosione nucleare è stata scartata, perché non sono state trovate tracce di radiazioni sugli effetti personali degli escursionisti. Anche la teoria del lancio di un missile è stata respinta: nei giorni in cui la spedizione era in corso, dei lanci venivano effettivamente effettuati dal campo di addestramento di Kapustin Jar, ma il lancio era molto lontano dal passo. Gli oggetti volanti di cui alcuni testimoni oculari avevano parlato sono stati liquidati dall’indagine come un’illusione ottica. La teoria di un uragano è stata respinta dai climatologi e nessun terremoto è stato registrato in quei giorni, ha detto Kurjakov.
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Durante la conferenza stampa, la Procura generale ha affermato che la pendenza su cui si trovava il gruppo rappresentava un luogo ad alto pericolo di valanghe e ha suggerito che il ministero delle Emergenze e l’amministrazione della regione di Sverdlovsk adottino misure per renderlo sicuro.
L’Università Federale degli Urali ha sconsigliato ai turisti di effettuare spedizioni sul Passo Djatlov, un luogo piuttosto gettonato negli ultimi anni.
“Formalmente, questo è tutto. Il caso è chiuso”, ha concluso Kurjakov.
Evgenij Chernousov, un avvocato del fondo pubblico in memoria del gruppo Djatlov, non concorda con le conclusioni raggiunte dalla Procura generale.
“I parenti non accetteranno questa conclusione sulla valanga. […] Questa indagine non ha prodotto nulla”, ha detto l’avvocato.
Ha continuato sottolineando che l’indagine stessa era illegale poiché il caso era stato chiuso, ed è solo nell’ambito di un procedimento penale aperto che possono essere condotte nuove indagini e controlli.
Il punto di vista di Chernousov è stato ripreso dal capo del fondo commemorativo del gruppo Djatlov, Jurij Kuntsevich, il quale ha affermato che il fondo cercherà di far riaprire ufficialmente le indagini.
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