Quando e perché in Urss ci furono delle terribili carestie

Storia
BORIS EGOROV
A causa della gestione troppo rigida e a volte scriteriata da parte delle autorità sovietiche, situazioni di penuria dovute a guerre o siccità si trasformarono in emergenze umanitarie con milioni di morti

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La prima carestia di massa colpì la Russia sovietica subito dopo la fine della Guerra Civile (1917-1922), che ne fu una delle principali cause. Un altro motivo importante fu la grave siccità del 1921, che distrusse un quinto di tutte le colture.

Di fronte alla carenza dei prodotti agricoli, il governo aumentò la richiesta di grano che la popolazione doveva consegnare, aggravando ulteriormente la situazione. Presto la carestia si estese sul vasto territorio del Paese, che allora era abitato da oltre 90 milioni di persone: dalle steppe del Kazakistan e degli Urali alla regione del Volga, fino all’Ucraina meridionale e alla Crimea.

Il sociologo Pitirim Sorokin, che visitò vari villaggi nelle province di Saratov e Samara nell’inverno del 1921, scrisse: “Le case erano abbandonate, senza tetti, con finestre e porte vuote come orbite di un teschio. I tetti di paglia delle capanne erano stati rimossi per mangiarli. Nel villaggio, ovviamente, non c’erano animali: niente mucche, niente cavalli, niente pecore, capre, cani, gatti, nemmeno un corvo. Tutti erano già stati mangiati. Un silenzio mortale si stagliava sulle strade coperte di neve.”

Iniziò un esodo tra la popolazione. Le persone vendevano o abbandonavano le loro proprietà e scappavano, senza alcun piano preciso. Il cannibalismo si diffuse rapidamente in alcune regioni. I passanti venivano catturati e uccisi per le strade, i bambini piccoli venivano mangiati nelle famiglie per salvarli da un triste destino e al contempo avere carne.

Il governo sovietico per molto tempo nascose la catastrofe, ma alla fine dell’estate del 1921 fu costretto a fare appello al mondo con una richiesta di aiuto. Molte organizzazioni di beneficenza, così come il famoso esploratore artico e personaggio pubblico norvegese Fridtjof Nansen (premio Nobel per la pace), arrivarono personalmente in Russia con gli aiuti umanitari raccolti, rispondendo alla chiamata d’aiuto. Fu questo supporto, insieme a un buon raccolto del 1922, che rese possibile fermare la catastrofe, che aveva già causato la morte di cinque milioni di persone.

Dopo dieci anni, il Paese fu nuovamente vittima dalla fame di massa. Il doloroso processo di collettivizzazione delle aziende agricole e l’espropriazione dei contadini ricchi, i kulakì, costrinsero milioni di contadini a cercare riparo nelle città. Indipendentemente dalla crisi imminente in cui stava precipitando la campagna sovietica, le autorità stabilirono piani di approvvigionamento di grano ancor più gravosi. Qualsiasi protesta dei contadini era considerata un sabotaggio e severamente punita.

Le autorità locali si dettero da fare per attuare il piano, da un lato sperando in qualche premio da parte del partito e, dall’altro, temendo rappresaglie in caso di fallimento. Per questo motivo, a Mosca arrivavano spesso segnalazioni con informazioni falsificate, che nascondevano la vera portata del disastro.

Di conseguenza, la carestia del 1932-1933 investì vasti territori dell’Ucraina, del Caucaso, del Kazakistan, della Bielorussia, della Siberia occidentale e alcune regioni della parte europea della Russia. Gli orrori vissuti dal Paese nei primi anni Venti tornarono di nuovo. Come ricordavano gli abitanti del Kuban, “nessuno prestava attenzione ai morti, non c’era forza, ma ormai completa indifferenza”.  Anche in questo caso, ci furono casi di cannibalismo: i bambini iniziarono a scomparire. E a Sverdlovsk (nome di Ekaterinburg dal 1924 al 1991), alla fine del mese lavorativo, padre e figlio non trovarono i loro nomi nelle liste della distribuzione delle razioni alimentari. Lo stesso giorno si suicidarono gettandosi sotto un tram. Poco dopo si scoprì che era solo una dimenticanza nell’elenco, per un errore materiale.

“Mio padre è partito alla ricerca del pane e non è tornato. Presto anche mio fratello se n’è andato. Mia madre e io siamo rimasti soli”, ricordò l’ucraino Aleksej Stepanenko, della regione di Kherson. “Mamma, sentendo che ormai si avvicinava la fine, mi disse: ‘Quando starò per morire, ti soffocherò, così non soffrirai e non morirai di fame”. La sera di quel giorno, la poveretta rese l’anima a Dio. Ma non ce la fece a uccidermi. Io ero un bambino di sette anni, e fui poi portato in un rifugio per orfani in un villaggio”.

Più di sette milioni di persone morirono a causa della carestia del 1932-1933. Il fatto che oltre la metà di queste vittime fossero ucraini ha dato origine, presso alcuni studiosi ucraini contemporanei, alla teoria secondo la quale si sarebbe trattato di un genocidio mirato del popolo ucraino da parte del governo sovietico, che chiamano “Holodomor”. In Russia, si ha un diverso punto di vista, perché la politica dei comunisti non era rivolta a un popolo specifico, e i danni della carestia colpirono molte regioni e popoli dell’allora Unione Sovietica. Inoltre, nel 1933, Stalin autorizzò personalmente l’invio di grano in Ucraina a danno di alcune regioni russe.

Più di 630 mila abitanti di quella che oggi è San Pietroburgo morirono di fame durante l’Assedio di Leningrado da parte delle truppe tedesche e finlandesi, che durò 872 giorni, dall’8 settembre 1941 al 27 gennaio 1943. La gente mangiò tutti i cani e gatti, le spezie trovate nei magazzini, il cibo per uccelli, le medicine, la farina di girasole, la colla per legno, le pelli di animali, le cinture cotte… “La sensibilità è come addormentata. Sto attraversando uno dei ponti, quando un uomo alto barcolla. Un passo, un altro, e cade. Gli scorro accanto: è morto, ma non mi fa né caldo né freddo. Entro nell’androne del mio palazzo, ma non riesco a salire le scale. Poi mi tiro su la gamba con le due mani e la metto sul gradino, e poi faccio così con l’altra e su su…”, ha ricordato Tatjana Aksenova.

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La carestia del 1946-1947 fu invece il risultato diretto della devastante Seconda guerra mondiale, nonché della siccità del 1946, che comportò un basso rendimento agricolo. Tuttavia, catastrofi di quelle proporzioni avrebbero potuto essere evitate (l’Urss aveva vaste riserve di grano) se non fosse stata per la disastrosa decisione del governo sovietico di aumentare le esportazioni di grano all’estero: quasi il doppio del livello prebellico. Inoltre, temendo il rischio di un nuovo conflitto con gli ex alleati (stava iniziando la Guerra Fredda), la leadership cercava di mantenere le proprie riserve agricole e si rifiutò di distribuire cibo alle regioni, senza abbassare le quantità di forniture obbligatorie da parte dei contadini. A causa della carestia, morirono fino a 1,5 milioni di persone.

“Andavamo in giro per i villaggi e chiedevamo l’elemosina, ma ci davano poco o nulla, perché andava male a tutti”, ha ricordato Aleksandra Lozhkina, che a quel tempo viveva nella zona del Volga: “Un giorno torno a casa con quel poco che sono riuscita a raccogliere: mia madre giaceva sulla stufa con mio fratello e mia sorella. Non si muovevano. Scossi mia madre, le detti un pezzo di pane, mangiò e si alzò. Abbiamo acceso la stufa, cotto una zuppa, lei ci ha dato da mangiare e mi ha detto: ‘Shura, dammi un altro pezzo di pane’. Per la prima volta chiedeva del pane, prima ce lo dava sempre a noi. Abbiamo ‘ripreso vita’ solo quando sono comparse le prime verdure: erba, ortica, acetosa, piantaggine, e poi i funghi e le bacche”. 


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