Come degli esploratori sovietici andarono alla deriva su una lastra di ghiaccio per 274 giorni

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Furono i primi al mondo, nel 1937, a compiere questo esperimento, affrontando rischi elevatissimi

Il 6 giugno 1937 rappresenta una pietra miliare nella storia dell’esplorazione dell’Artico. Fu in questo giorno che gli scienziati sovietici inaugurarono ufficialmente la prima stazione di ricerca alla deriva al mondo, la Severnij poljus-1 (Polo Nord-1).

Quattro membri della spedizione e un cane di nome Vesjolij (“Allegro”) divennero gli abitanti temporanei di un enorme lastrone di ghiaccio che misurava 3 per 5 chilometri e aveva uno spessore di poco più di tre metri. Secondo i piani, durante il tempo di spostamento della banchisa a sud verso la Groenlandia, gli esploratori polari avrebbero condotto le ricerche necessarie.

Negli anni Trenta del XX secolo, lo studio della regione artica era molto più complicato rispetto alla nostra era di rompighiacci atomici. Si presumeva che la stazione alla deriva avrebbe permesso di proseguire gli studi quasi per un anno intero, cosa impossibile da fare con qualsiasi altro metodo. Gli scienziati della Polo Nord-1 furono incaricati di condurre osservazioni meteorologiche, raccogliere dati idrometeorologici, idrobiologici e geofisici, misurare le profondità dell’oceano lungo il percorso della deriva del loro isolotto di ghiaccio e prelevare campioni di terreno di fondo. Inoltre, gli esploratori polari dovettero garantire la connessione radio e i bollettini meteorologici al primo volo non-stop dall’Urss agli Stati Uniti, quello della squadra di Valerij Chkalov.

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Il cibo per la stazione galleggiante alla deriva venne ammassato in eccesso, per ogni evenienza: era sufficiente per 700 giorni. Nessuno si aspettava che la spedizione sarebbe durata così a lungo, ma gli organizzatori si prepararono anche nel caso in cui parte del cibo si avariasse, e alla fine ebbero ragione. “Abbiamo portato 150 chilogrammi di pelmeni dalla terraferma”, Ivan Papanin, capo della Polo Nord-1, scrisse nelle sue memorie, il libro “Led i Plamen” (“Ghiaccio e fuoco”), “Ma li abbiamo dovuti buttare via, e prendere al loro posto maiali e manzi macellati. Al Polo è stata scoperta una nuova perdita: anche le bistecche di scamone, preparate con tanto amore dai migliori cuochi, erano immangiabili”.  In un paio di occasioni, gli scienziati provarono a sparare a una foca barbata e a una famiglia di orsi polari che vagavano sul ghiaccio, ma senza successo.

Il posto dove vivevano gli esploratori polari era una tenda di tela di quasi quattro metri, isolata con due strati di piuma di edredone. Inoltre, valutando che la neve è un eccellente materiale da costruzione, gli scienziati si costruirono un “palazzo” di neve. Per i lavori di ricerca, nell’attrezzatura da spedizione c’erano speciali tende impermeabili, due scialuppe, due kayak e slitte leggere di frassino.

La stazione galleggiante si spostò a sud a una velocità abbastanza elevata: circa 20 miglia nautiche al giorno (37 chilometri). “La banchisa ha richiesto un lavoro continuo e intenso. Nelle prime settimane eravamo così stanchi che a volte non riuscivo neanche a impugnare la matita per scrivere qualcosa nel diario”, ha ricordato Papanin.

L’estate artica, con una temperatura di diversi gradi sopra lo zero e il susseguirsi di piogge e bufere di neve resero la stazione galleggiante completamente irraggiungibile dalla “terraferma”: gli aerei semplicemente non avrebbero più potuto trovare un’area di atterraggio adatta su una superficie di ghiaccio ora coperta da profonde acque  semi ghiacciate. “Ci sono così tanti laghi sul ghiaccio che è giusto dare loro dei nomi… Sono andato a vedere come scorre l’acqua sul nostro ghiaccio. In un punto si è formata persino una cascata: se cadi lì, non ne esci più”.

Oltre ai necessari rapporti scientifici, l’operatore radiofonico della stazione, Ernst Krenkel, trasmetteva costantemente all’Urss resoconti di carattere giornalistico che descrivevano in dettaglio la vita della spedizione più incredibile del mondo. Durante le famose maratone radiofoniche dell’epoca, fu in grado di contattare un radioamatore dell’Australia meridionale e un marinaio delle Isole Hawaii, che monitorarono da vicino il destino degli esploratori polari.

A settembre, si cominciò a sentire che l’inverno artico si avvicinava. Giorno dopo giorno, c’era un crepuscolo quasi continuo, il sole non si alzava sopra l’orizzonte, la temperatura non superava lo zero e iniziarono forti nevicate. “Le raffiche di vento arrivavano ai venti metri al secondo [72 km/h; quasi 39 nodi; un vento forza 8]. Pochi meteorologi sulla terraferma hanno osservato un tale fenomeno! Il vento ti buttava per terra. Era impossibile lasciare la tenda e respirare un sorso aria fresca. E nella nostra tenda era allo stesso tempo soffocante e freddo. A volte mi girava la testa”, ricordò in seguito Papanin.

Durante lo spostamento verso sud nel Mare di Groenlandia, il ghiaccio iniziò a rompersi, apparvero delle crepe, e interi pezzi si staccarono. Gli esploratori polari stavano con apprensione in ascolto di notte, mentre il ghiaccio si disfaceva letteralmente sotto di loro. “Siamo circondati da crepe e grandi strisce. Se durante questa tormenta si verificherà una compressione, sarà difficile scamparla… Le slitte e i kayak si sono coperti di neve. Arrivare alle basi del cibo è impensabile…” Papanin annotò nel suo diario il 29 gennaio.

A seguito di una tempesta agli inizi di febbraio, durata quasi una settimana, il territorio della stazione alla deriva venne lacerato da fessure di larghezza compresa tra un metro e mezzo e 5 metri. Il magazzino con le derrate si allagò, quello tecnico venne danneggiato e una fessura apparve sotto la tenda. “Ci trasferiremo in una casa di neve. Le coordinate saranno annunciate più tardi oggi; in caso di perdita di comunicazione, non vi preoccupate”, riferì l’operatore radio alla terraferma.

Il 19 febbraio 1938, a poche decine di chilometri dalla costa della Groenlandia, due navi sovietiche rompighiaccio, il Taimyr e il Murman, presero a bordo gli scienziati da quello che restava dell’enorme isola glaciale. La prima stazione polare alla deriva al mondo si era ridotta a una piccola banchisa lunga 300 metri e larga 200 metri.

Per 274 giorni, gli esploratori polari viaggiarono per oltre 1.500 miglia nautiche (2.780 chilometri) su una banchisa alla deriva. In patria furono accolti da eroi e presto lo diventarono ufficialmente. Per la straordinaria impresa nello sviluppo dell’Artico, il capo della stazione, Ivan Papanin, il meteorologo e geofisico Evgenij Fedorov, l’operatore radio Ernst Krenkel, l’idrobiologo e oceanografo Pjotr Shirshov ricevettero il titolo di Eroi dell’Unione Sovietica. La prima stazione alla deriva del Polo Nord fu seguita da altre 30 spedizioni di questo tipo in Urss. E continuano a essere organizzate regolarmente anche nella Russia moderna.


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