Come il presidente Boris Eltsin si dimise vent’anni fa, chiedendo scusa ai russi

Storia
EKATERINA SINELSHCHIKOVA
Il discorso di Capodanno tra il 1999 e il 2000 fu di importanza storica: il primo leader della Russia post sovietica abbandonò la carica, lasciando il potere nelle mani di un volto nuovo, Vladimir Putin. Le parole che rivolse al popolo furono toccanti, e anche molti di quelli che non lo amavano, capirono che finiva un’epoca

“Ho preso una decisione. A lungo e con tormento ho riflettuto su di essa. Oggi, nell’ultimo giorno del secolo che se ne va, do le dimissioni. […]. Ho capito di dover compiere questo passo. La Russia deve entrare nel nuovo Millennio con nuovi politici, con facce nuove”, così il 31 dicembre 1999 il primo presidente della Russia post sovietica lasciò la carica.

Comunicò la sua decisione nel tradizionale discorso di fine anno, che in alcune regioni fu trasmesso a mezzogiorno, e poi mandato in replica poco prima della mezzanotte, e in altre solo a mezzanotte, mentre i russi erano a tavola, con i piatti della festa davanti, e lo spumante nei boccali, davanti alla tv, e si preparavano a festeggiare l’arrivo del nuovo millennio, e mai si sarebbero attesi la notizia delle dimissioni del presidente, che era stato rieletto nel luglio 1996.

“Fu una strana sensazione. Calò il silenzio, ma rimanemmo seduti a tavola fino a quando l’orologio del Cremlino non iniziò a battere la mezzanotte. Guardai i miei genitori e vidi come gli occhi di papà e mamma si erano bagnati di lacrime. Nessuno nella nostra famiglia amava Eltsin. Ma questo addio fu qualcosa di troppo forte”, ricorda Egor Stepanjuk, di Kaliningrad. Allora aveva 14 anni, ma quella notte se la ricorda come fosse ieri.

Nel dicembre del 1999 il livello di gradimento del presidente aveva toccato il minimo storico: appena il 4 per cento. Il Paese gli era, per usare un eufemismo, contrario. Ma il suo ultimo discorso era destinato a passare alla storia. Fu il primo capo di Stato che chiese scusa alla nazione.

I giornalisti rinchiusi al Cremlino

Del saluto di fine anno del presidente c’erano due versioni. La prima era stata registrata da Eltsin un paio di giorni prima del 31 dicembre, ed era un saluto di fine anno di auguri, senza neanche una parola sulle dimissioni. “E all’improvviso, proprio alla fine delle riprese dice: ‘Non mi piace come è venuta. Dobbiamo rifarla. Rigiriamola l’ultimo dell’anno’. Gli addetti ai lavori della tv erano preoccupatissimi, perché il tempo sarebbe stato molto poco. Ma Boris Nikolaevich fu irremovibile”, ha raccontato il consigliere di Eltsin e autore del suo discorso, Valentin Jumashev.

Alle 7 del mattino del 31 dicembre, Eltsin arrivò al Cremlino per le riprese. Sapeva quello che aveva intenzione di fare solo un ristrettissimo numero di persone: il suo consigliere, il capo dell’amministrazione presidenziale, la figlia Tatjana, quello che sarebbe stato il suo successore, Vladimir Putin, e sua moglie. Ma a lei disse cosa avrebbe fatto solo quando già stava per uscire di casa per andare al Cremlino.

“Nella notte tra il 30 e il 31 dicembre, Boris dormì molto male, e si alzò prima del solito, verso le sei. Facemmo colazione. Iniziò a prepararsi per andare al lavoro. Solo dopo essersi messo il cappotto mi disse: ‘Naja, ho deciso: do le dimissioni”. Io mi sono gettata verso di lui, l’ho abbracciato, baciato, gli occhi mi si sono bagnati dalla felicità”, scrisse la moglie dell’ex presidente nelle memorie “Naina Eltsina. Lichnaja zhizn” (“Naina Eltsin. Vita privata”).

Il discorso venne registrato nel suo ufficio. Subito dopo che ebbe pronunciato l’ultima frase si sentono distintamente gli orologi del Cremlino. “Qualcuno iniziò ad applaudire, e poi qualche altro”, ricordò in seguito lo stesso Eltsin. “Alzai gli occhi e vidi come tutta la troupe televisiva, in piedi, mi salutava. Non sapevo che fare.

Ma in verità, la troupe, a quanto ha raccontato Jumashev, fu poi chiusa a chiave in una stanza senza telefoni e anche quelli portatili furono sequestrati, affinché la clamorosa notizia delle dimissioni non arrivasse al popolo prima del dovuto. Furono liberati solo dopo che il discorso era stato trasmesso in tv.

In televisione la cassetta fu portata da Valentin Jumashev in persona, a bordo di una limousine blindata, preceduta da una macchina della stradale a sirene spiegate.

Le ore seguenti

Subito dopo la registrazione, Eltsin ebbe un incontro con il Patriarca Alessio, quindi consegnò la valigetta atomica (con la quale si controllano le armi nucleari) e tenne un pranzo di addio con i rappresentanti militari. Quindi guardarono il saluto in tv. In esso lui presentò ufficialmente Putin come la persona che avrebbe temporaneamente svolto le sue funzioni presidenziali. A Putin fece anche un regalo: la penna con cui aveva aveva firmato vari decreti e anche quelle stesse dimissioni. In conclusione disse solo: “Abbiate cura della Russia”. Dopodiché Eltsin fu libero.

“Boris tornò a casa presto, c’era ancora luce. Nel suo ufficio al Cremlino non rimise più piede, neanche una volta”, ha raccontato la moglie Naina.

Entrando a casa, Eltsin disse: “Mentre ero in macchina ha telefonato Bill Clinton [allora presidente degli Stati Uniti, ndr]. Non sono stato a parlarci. Gli ho promesso che lo richiamerò. Ora me lo posso permettere. Non sono già più presidente”.

Fine di un’epoca

Per qualcuno, la notizia delle dimissioni non fu un fulmine a ciel sereno: Contro Eltsin c’erano già stati tre tentativi di impeachment. Anche se l’ultima volta in cui il Parlamento aveva cercato di fargli perdere il posto era stato qualche mese prima di questo toccante discorso.

Irina Khakamada, che nel dicembre 1999 era stata rieletta alla Duma, di cui in seguito sarebbe diventata la vicepresidente, fu una di quelle per cui la decisione era qualcosa di atteso. “Io ero una politica, mi arrivavano voci riservate e sapevo che sarebbe accaduto”, ha detto. “Ma quello che stupì tutti, nessuno escluso, fu il tono del discorso di Eltsin, “tragico, pronunciato come se fosse intontito, non lucido”, dice la Khakamada. Quel Capodanno lei lo festeggiava in una stazione sciistica, insieme a un gruppo di amici. Reagirono in modo molto emotivo: “Furono molto colpiti dalle parole scelte. In particolare dall’espressione ‘Io voglio chiedervi scusa’”. Tutti iniziarono a piangere. No, forse non a piangere, ma di sicuro si intristirono. Eltsin poteva non piacere loro, ma in quel momento fu chiaro che insieme a lui se ne andava un’epoca. E avevano ragione”.

“Voglio chiedervi scusa”, disse Eltsin quella notte, “per il fatto che molti sogni miei e vostri non si sono realizzati. E perché quello che sembrava semplice, si è rivelato terribilmente difficile. Io vi chiedo scusa perché ho deluso le speranze di quelle persone, che credevano, che in un colpo solo, di botto, saremmo potuti passare dal grigiore e dalla stagnazione del passato totalitario a un luminoso futuro, civilizzato e ricco. Anche io ne ero convinto. Sembrava che bastasse uno scatto, per ottenere tutto. Ma non ci è riuscito”.


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