Erano i militari più affidabili ed efficaci tra i ranghi bolscevichi. I fucilieri rossi lettoni non solo aiutarono in modo determinante a preservare il potere sovietico durante la Guerra civile russa, ma salvarono anche la vita allo stesso Lenin in più di un’occasione.
A difesa della Lettonia
Sebbene l’esercito imperiale russo si opponesse alla creazione di unità militari basate sull’etnia, nel 1915 non ci fu scelta. I tedeschi avevano velocemente occupato il territorio della Curlandia (Lettonia occidentale) e stavano avanzando su Riga.
L’ordine di formare un corpo volontario lettone venne firmato il 1º agosto dal comandante del fronte nord-occidentale, Mikhail Alekseev, e già alla fine dell’anno erano impegnati in battaglia sei battaglioni. Proprio loro giocarono un ruolo decisivo nell’impedire ai tedeschi di prendere Riga e quindi di aprirsi la strada verso la capitale russa, Pietrogrado (così era stata ribattezzata, il 31 agosto 1914, San Pietroburgo, per darle un nome più slavo e meno tedesco).
I Fucilieri combatterono il nemico eroicamente, spesso con determinazione quasi suicida. Ad esempio, durante l’Offensiva di Natale, i lettoni persero fino a 9.000 uomini nel rompere, insieme ai compagni tiratori della Siberia, le linee di difesa ben fortificate del nemico.
A guardia della rivoluzione
Quando, dopo la Rivoluzione di Febbraio del 1917, la disciplina dell’esercito russo iniziò a disintegrarsi, i fucilieri lettoni furono tra i pochi che mantennero il loro spirito di combattimento. Anche perché, essendo la maggior parte della Lettonia occupata dai tedeschi, semplicemente non avrebbero comunque avuto nessun posto dove andare in caso di diserzione.
La maggior parte di loro accolse la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 con giubilo. Gli ideali comunisti facevano presa su di loro, e apprezzavano molto la promessa dei bolscevichi di concludere la pace tanto attesa. “Contro tutte le manifestazioni controrivoluzionarie, qualunque siano, risponderemo immediatamente con tutta la potenza dei nostri armamenti”, si legge in una risoluzione emessa dal 6° Reggimento dei fucilieri lettoni.
I ben organizzati, affidabili e ora “rossi” fucilieri lettoni divennero “il pronto soccorso” dei bolscevichi. Schierati nelle zone più pericolose dei fronti della Guerra Civile, difesero Pietrogrado da Judenich e Mosca da Denikin e sferrarono un duro colpo a Wrangel in Crimea (tutti e tre erano comandanti bianchi). Nel 1919 riuscirono persino a stabilire il potere sovietico nella loro patria lettone, ma non per molto.
I fucilieri lettoni rossi parteciparono attivamente alla repressione di numerose rivolte in tutto il territorio controllato dai bolscevichi. La loro brutalità ha persino dato origine a un detto popolare: “Non cercare un boia, cerca un lettone!” (in russo fa la rima: “Ne ishchì palachà, ishchì latyshà!”).
“Tutti li temevano. Si sottomisero a loro città, paesi e villaggi. Non cedevano il passo a nessuno. Con i cappelli sulla nuca, i colletti aperti sul petto e i fucili appesi alla spalla con il calcio rivolto verso l’alto, attraversarono la Russia da un capo all’altro, spazzando via tutti coloro che si trovavano sulla loro strada”, ebbe modo di scrivere il corrispondente di guerra Janis Porietis.
Furono loro gli incaricati di proteggere i principali siti strategici di Mosca, così come lo stesso Lenin e altri leader bolscevichi. I fucilieri lettoni furono, secondo lo storico Vladimir Buldakov, nientemeno che “la Guardia pretoriana del Cremlino”.
La rivolta dei Socialisti Rivoluzionari di Sinistra
Il 6 luglio 1918, i Socialisti Rivoluzionari di Sinistra, compagni di lotta dei bolscevichi nella coalizione governativa, completamente insoddisfatti del trattato di pace (punitivo per la Russia) di Brest-Litovsk, si ribellarono a Mosca, che era tornata a essere capitale. La scelta della data non fu casuale: i Fucilieri lettoni rossi erano fuori città, per celebrare la loro festa nazionale, Jāņi, che si tiene a fine giugno.
Dopo aver assassinato l’ambasciatore tedesco, Wilhelm von Mirbach, nel tentativo di indurre la Germania a dichiarare di nuovo guerra, e dopo aver arrestato il capo della Cheka, la polizia segreta, Feliks Dzerzhinskij, truppe fedeli ai Socialisti Rivoluzionari di Sinistra iniziarono ad occupare edifici chiave della capitale. La spada di Damocle era sulla testa sia di Lenin che dell’intero potere bolscevico.
Furono i lettoni ad arrivare nuovamente in soccorso. Nonostante numerosi ostacoli e pesanti perdite, i reggimenti riuniti lanciarono un assalto e repressero la ribellione in sole 24 ore.
“La Cospirazione degli ambasciatori”
Un’altra opportunità per i fucilieri lettoni di mettersi in mostra si presentò molto presto. L’agosto 1918 vide la cosiddetta “cospirazione degli ambasciatori”, molti dettagli della quale sono ancora oggi segreti di Stato.
Secondo la versione degli eventi di uno dei leader della Cheka, Jēkabs Peterss (anche lui un lettone, ma non un fuciliere), il capo della missione non ufficiale britannica, Robert Lockhart, aiutato dagli ambasciatori di Francia, Joseph Noulens e degli Stati Uniti , David Francis, cercarono di corrompere i fucilieri lettoni per arrestare o assassinare Lenin, e poi unirsi alle truppe degli interventisti stranieri che stavano avanzando.
Tuttavia, il comandante del battaglione di artiglieria della 1ª divisione lettone, Eduards Bērziņš, che i cospiratori cercarono di corrompere, si rivelò essere un agente della Cheka. La cospirazione venne scoperta.
Nella sala dei bottoni
Dopo la disfatta delle truppe bianche di Wrangel in Crimea e la fine della fase attiva della Guerra civile, le unità di fucili lettoni furono sciolte. Alcuni soldati tornarono nella “borghese” Lettonia (la cui indipendenza era stata riconosciuta dalla Russia l’11 agosto 1920 e sarebbe durata fino alla Seconda guerra mondiale), mentre molti altri iniziarono a cercare un posto per se stessi nella loro nuova patria sovietica.
I comandanti dei fucilieri lettoni rossi (così come alcuni altri lettoni, non collegati ai fucilieri) raggiunsero vertiginose altezze nella linea di comando della Russia sovietica e di tutta l’Urss. Gustav Bokis, ad esempio, guidò le forze meccanizzate dell’Armata Rossa, Jukums Vācietis prestò servizio per un certo periodo come comandante in capo e Jēkabs Alksnis comandò le forze aeree. Avendo avuto un ruolo chiave nella vicenda della scoperta della Cospirazione degli ambasciatori, Eduards Bērziņš fu determinante nella creazione del sistema dei Gulag, mentre il suo omonimo Jānis Bērziņš (vero nome Pēteris Ķuzis) fu il creatore e il direttore dell’intelligence militare sovietica.
Molto apprezzati negli anni Venti, i “pretoriani di Lenin” caddero però drammaticamente in disgrazia negli anni Trenta. La gran parte di loro fu arrestata e fucilata durante le “Grandi purghe” di Stalin.
Diciassette foto sui tragici e travolgenti anni Venti in Unione Sovietica