Immaginate un bambino nato nel 1877 in una famiglia di aristocratici polacchi ben istruiti, circondato da otto fratelli. Vive nel loro piccolo villaggio di famiglia, adora i suoi cari e crede sinceramente in Dio; vuole persino diventare un prete cattolico. Cosa pensate che diventerà da grande?
Questo tranquillo ragazzo cattolico si trasformò in uno spietato ateo rivoluzionario e carnefice. Il suo nome era Feliks Dzerzhinskij, e negli anni Venti, come avrebbe scritto in seguito in una lettera a sua sorella, “per molti, non esiste un nome più terrificante del mio”.
Dalla prigione al potere
Nel 1895, Dzerzhinskij si unì a un gruppo marxista locale. Le autorità espulsero il giovane dal ginnasio dove studiava, con l’accusa di attività rivoluzionaria, dando così inizio a un lungo percorso di lotta contro la Russia zarista (all’epoca la Polonia era sotto il suo controllo).
Come membro del Partito operaio socialdemocratico russo, trascorse 11 anni tra prigione ed esilio. Fu liberato solo dopo la rivoluzione di febbraio del 1917 e si unì ai bolscevichi, conquistando con successo il potere nel novembre del 1917.
Lenin apprezzava molto la sua volontà di ferro e le sue capacità, e il 20 dicembre 1917 il governo bolscevico nominò Dzerzhinskij direttore dei servizi di sicurezza di nuova costituzione, la Commissione straordinaria per la lotta contro la rivoluzione e il sabotaggio. conosciuto con il suo acronimo, Cheka. Era il predecessore di tutti i servizi di sicurezza sovietici: Ogpu, Nkvd, Kgb e del loro successore russo, l’Fsb.
“Il cavaliere del proletariato”
I tempi furono duri per i bolscevichi tra il 1917 e il 1922, per via della Guerra civile contro le forze anticomuniste. La Cheka fu incaricata di sopprimere qualsiasi manifestazione controrivoluzionaria. I chekisti avevano poteri illimitati e potevano arrestare e giustiziare praticamente chiunque, basandosi sul giudizio di brevissimi “processi rivoluzionari”.
Come capo di questo sistema, Dzerzhinskij si comportò brutalmente. “I cospiratori arrestati dovrebbero essere giustiziati il più velocemente possibile”, scrisse una volta al suo subordinato in Ucraina. “Non farti troppi problemi per i processi. Spara”. Allo stesso tempo, nei suoi ordini si trovano appelli a non essere eccessivi e raccomandazioni di imprigionare solo coloro la cui colpa è indiscutibile.
Freddo e riservato, Dzerzhinskij serviva il suo governo e firmava gli ordini di fucilazione con la ferma convinzione di essere dalla parte giusta della storia. Un asceta nella vita di tutti i giorni, con la sua faccia smunta e allungata, sembrava un crociato devoto alla sua missione.
Il suo compagno bolscevico e poi leader, Stalin, definì Dzerzhinskij, dopo che questi morì di infarto nel 1926, “un devoto cavaliere del proletariato”, ma l’altro soprannome, “Felix di ferro”, fu ancora più popolare.
Mani sporche di sangue
Gli storici discutono sul numero di persone uccise durante il cosiddetto “Terrore rosso” della guerra civile, di cui la Cheka fu in larga misura responsabile. Le stime vanno da 50 mila persone a più di un milione, a seconda della metodologia utilizzata.
Non sorprende che il fondatore della Cheka goda di cattiva reputazione, almeno tra il segmento liberale della moderna società russa. Leonid Mlechin, giornalista e storico, ha scritto in un suo articolo su “Felix di ferro”: “Si considerava libero da qualsiasi norma morale.” Secondo Mlechin, Dzerzhinskij ha fondato un sistema di violenza che sarebbe poi stato usato da Stalin per realizzare le sue brutali repressioni negli anni Trenta.
L’eredità positiva
Allo stesso tempo, coloro che difendono Dzerzhinskij sottolineano che i servizi di sicurezza non solo reprimono la società, ma la proteggono. Aleksandr Zdanovich, storico e ufficiale in pensione del Fsb, ha dichiarato: “Dzerzhinskij ha fondato un servizio di sicurezza, uno dei più potenti del XX secolo. Sarebbe controproducente dipingere un ritratto di questo straordinario uomo solo a tinte fosche”.
Zdanovich ha ricordato anche che nel 1924-1926 Dzerzhinskij lavorò come economista e dimostrò abilità piuttosto impressionanti. A parte questo, il fondatore della Cheka guidò l’istituzione di un sistema di orfanotrofi e di comunità per minori, che ha contribuito a risolvere il problema dei bambini di strada, che era molto acuto dopo la Guerra Civile. “Amo i bambini come non amo nessun altro”, scrisse in una lettera.
La guerra dei monumenti
Controverso com’era, l’eredità di Dzerzhinskij rimane un pomo della discordia molto tempo dopo la sua morte. Nell’agosto del 1991, poco prima del crollo dell’Unione Sovietica, le autorità di Mosca rimossero il suo monumento (eretto nel 1958) dalla piazza della Lubjanka, di fronte alla sede del Kgb. Quello era l’unico modo per impedire ai manifestanti furiosi di demolire il simbolo del controllo del governo.
Ancora oggi, le dispute pubbliche divampano di tanto in tanto, sul fatto se “Felix di ferro” debba essere restituito o meno al suo ex spazio alla Lubjanka. Un sondaggio condotto nel 2015 dal Centro Levada ha mostrato che il 49% degli intervistati approva di rimettere Dzerzhinskij in piazza, ma le autorità non hanno ancora agito. Molte statue e vie a lui intitolate ci sono ancora nell’infinita periferia russa. E la guerra dei monumenti spesso in Russia scatena vandali e polemiche
A Mosca, attualmente, il monumento di Dzerzhinskij si trova nel Muzeon Park insieme ad altre statue dei leader comunisti “in pensione”. Chiunque può visitare e vedere “Felix di ferro”: è altrettanto alto, cupo e freddo com’era da vivo.
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