Negli anni Ottanta, le relazioni tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti erano quasi al punto di rottura. La corsa agli armamenti stava raggiungendo il picco, l’Europa era terreno di possibile lancio di centinaia di missili nucleari che puntavano in entrambe le direzioni e il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan aveva descritto senza mezzi termini l’Unione Sovietica come “l’Impero del Male”.
Fu allora che l’americana Samantha Smith, 10 anni, aiutò a rompere il ghiaccio tra Mosca e Washington. In una sincera lettera al segretario generale del Pcus Jurij Andropov, chiese: “Mi chiamo Samantha Smith. E ho dieci anni. Congratulazioni per il suo nuovo lavoro. Sono preoccupata a proposito di una possibile guerra nucleare tra Russia e Stati Uniti. State per votare per avere una guerra o no? Se non volete, ditemi per favore come farete per evitare che ci sia una guerra. A questa domanda potete non rispondere, ma mi piacerebbe sapere perché volete conquistare il mondo o almeno il nostro Paese. Dio ha creato il mondo per noi perché potessimo viverci insieme in pace, non per combatterci.” Andropov rispose a Samantha, assicurandole che nessuno voleva la guerra e la invitò a visitare il Paese. La famiglia di lei accettò l’offerta e il mondo intero seguì il suo viaggio attraverso l’Urss con i suoi genitori. Samantha si rese conto che l’Urss era piena di persone gentili e pacifiche, e fece molte nuove amicizie. Il suo idealismo giovanile divenne un simbolo di speranza per un futuro migliore per tutti.
Tragicamente, nel 1985, appena due anni dopo il suo viaggio, Samantha morì in un incidente aereo, ad appena 13 anni. Presto, tuttavia, un’altra ragazzina prese il testimone di “ambasciatore globale della pace”, la sovietica Katja Lycheva (nata il 10 giugno 1974). Nella sua terra natale, tuttavia, fu molto meno amata di Samantha.
Quando Katja fu mandata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1986, circolavano voci secondo cui “era una parente del ministro degli Esteri Andrej Gromyko” e “non sapeva nemmeno parlare inglese”. “Molte maldicenze furono riversate sulla piccola Katja. E del tutto ingiustificate, dal mio punto di vista”, afferma Ljubov Mikhajlova, che lavorava come giornalista alla Tass negli anni Ottanta.
In effetti, l’idea del viaggio di Katja venne agli americani, non ai sovietici. Dopo la morte di Samantha Smith e di suo padre in quell’incidente aereo, sua madre Jane e l’organizzazione Children as Peacemakers, da lei fondata, suggerirono all’Urss di organizzare per una scolaretta sovietica una visita negli Stati Uniti come seguito della missione di Samantha.
L’Unione Sovietica acconsentì e organizzò prontamente “audizioni”, cui parteciparono circa 6.000 bambine. La prescelta fu Katja Lycheva. Ora si sa con certezza che nella sua famiglia non c’era nessun membro del Partito Comunista. I suoi genitori erano accademici e lei studiava in una speciale scuola di inglese a Mosca. Inoltre, aveva avuto già un po’ di esperienza nella recitazione, essendo apparsa in tre film. Anche l’aspetto della ragazza era importante. Con i suoi riccioli chiari e gli occhi azzurri, Katja avrebbe sicuramente fatto una bella impressione sul pubblico americano.
Durante il viaggio di Katja negli Stati Uniti, i suoi appunti sul diario furono pubblicati a puntate dai media sovietici e successivamente pubblicati nel volume “Katja Lycheva racconta”. In esso, descrive così l’incontro con il presidente degli Stati Uniti:
“Dopo cinque minuti, apparve il signor Reagan, allungò la mano e disse che era molto contento di vedermi alla Casa Bianca. Gli ho dato un giocattolo e gli ho spiegato che era stato realizzato da bambini sovietici che, come tutto il nostro popolo, vogliono la pace. Reagan ha risposto che sebbene non fosse più un bambino, anche lui sognava la pace e mi ha promesso che avrebbe fatto di tutto per assicurarsi che non rimanessero armi nucleari sulla Terra. Augurò a me e a mia madre un buon soggiorno in America e disse che ci invidiava perché eravamo stati al circo il giorno prima, mentre lui non aveva il tempo di andarci.”
Quando Katja andò da McDonald’s per la prima volta, la copertura della stampa raggiunse il picco. La vista di una ragazza sovietica che mangiava un Big Mac con patatine fritte in America provocò non meno sensazione del suo incontro con Reagan.
“Quel giorno abbiamo pranzato da McDonald’s. Avevo già sentito dire che era una catena ben nota di piccoli ristoranti. All’ingresso, siamo stati accolti da un clown sorridente con un’enorme parrucca rossa. Ho subito pensato di essere tornata al circo… Ma tutto era davvero buono. Ci hanno portato un appetitoso panino chiamato Big Mac e delle croccanti patatine fritte. Volevo mangiare il panino, ma ogni volta che me lo portavo alla bocca, c’era un tale lampo di flash che era impossibile farlo.”
Dal viaggio di Katja all’apertura del primo McDonald’s in Unione Sovietica mancavano ancora quattro anni. Nei primi mesi della sua esistenza, il McDonald’s di piazza Pushkin fu una specie di luogo di pellegrinaggio, con infinite code di persone che serpeggiavano per le strade.
Le impressioni di Katja della sua avventura americana non furono tutte positive. Soprattutto, rimase scioccata dal film Rocky IV, in cui il personaggio principale di Sylvester Stallone affronta Ivan Drago (“Io ti spiezzo in due”, interpretato da Dolph Lundgren). Scrisse nei suoi appunti: “Quando [Drago] ha ucciso [Apollo Creed], sono corsa in camera da letto, mi sono buttata sul letto e sono scoppiata in lacrime. Sono rimasta ferita dal modo in cui il nostro Paese è stato così falsamente e crudelmente ritratto…”
“Il giorno dopo, in un’intervista televisiva, dissi: ‘Non c’è una sola parola vera in [Rocky IV]. Perfino i volti del popolo sovietico non sono reali. Mi vergogno degli adulti che hanno realizzato un tale film’”.
Le sue osservazioni suscitarono scalpore nei media statunitensi: “Ciò che è discutibile di questo film non è il conflitto tra i personaggi ma la pressione costante e spudorata sul pubblico affinché disprezzi, compatisca e sminuisca il popolo russo e il suo governo”, scrisse Carol Basset sul “Chicago Tribune”, dando ragione a Katja.
Nei giorni e nelle settimane dopo il suo viaggio, Katja era al centro delle notizie in Urss: tutti volevano sapere com’era l’America, cosa mangiavano le persone, come si vestivano, cosa leggevano. Lei partecipava a eventi pubblici, riceveva sacchi di corrispondenza e raccontava storie e aneddoti. Di conseguenza, aveva poco tempo per la vita normale e il contatto con i suoi amici.
Alla fine, Katja e la sua famiglia decisero di averne abbastanza dei riflettori dei media. Poco dopo, il nome di Katja Lycheva scomparve dalle notizie sovietiche. Lei e sua madre si trasferirono in Francia, dove ha studiato alla Sorbona, si è laureata in Economia e poi in Giurisprudenza e ha lavorato lì per alcuni anni, prima di tornare in Russia nel 2000 e occupare diversi ruoli importanti sia negli organigrammi ministeriali che in quelli di aziende private. Oggi Ekaterina, che ha 45 anni, rifiuta di parlare con i giornalisti per principio, ritenendo che l’attenzione che ha ricevuto da bambina sia stata più che sufficiente per tutta una vita.
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