Un’accoglienza non troppo ospitale
Mosca riservò ai francesi un’accoglienza completamente diversa da quella di varie altre città d’Europa che si erano inchinate al genio militare di Napoleone. Qui non ci furono folle di cittadini festanti ad aspettarlo o a guardare con curiosità le colonne della Grande Armata in marcia, e neppure rappresentanti del potere locale che si affrettavano a farsi buono il generale consegnandogli le chiavi della città.
Al posto di tutto questo, l’imperatore si trovò davanti una città deserta (erano rimasti solo circa 6 mila dei 275 mila abitanti della Mosca di quei tempi) e ostile, che in breve tempo fu quasi completamente incendiata. Guardando le fiamme che si alzavano ovunque Napoleone disse: “Che spettacolo orribile! Le danno fuoco da soli… Che risolutezza! Che gente! Questi sono dei barbari!”.
L’occupazione francese di Mosca durò meno di due mesi. La situazione per Napoleone diventava sempre peggiore. La Grande Armée si trasformava sotto i suoi occhi in una banda demoralizzata di predoni e ladruncoli, si avvicinava il terribile inverno e i russi non solo non mandavano dei negoziatori a discutere la resa, ma avevano già rafforzato il proprio esercito, tanto da inferire una dura sconfitta a Gioacchino Murat a sudovest di Mosca.
Nonostante alcuni dei suoi generali cercassero di convincerlo di svernare in città, Napoleone prese la decisione di lasciare Mosca e di ritirarsi verso ovest.
Desiderio di vendetta
Ma Napoleone non poteva limitarsi a lasciare così la città odiata. Sentiva l’obbligo di vendicarsi per “l’accoglienza” che gli era stata riservata. Inoltre, voleva lasciare un messaggio all’imperatore Alessandro I, che si era rifiutato di sedersi al tavolo delle trattative.
Alla fine, fu presa la decisione di cancellare dalla faccia della terra il cuore stesso della storia russa: il Cremlino. “Ho lasciato Mosca, dopo aver dato l’ordine di far saltare in aria il Cremlino”, scrisse Napoleone alla sua consorte.
La Grande Armata lasciò Mosca. In città restarono solo i feriti e un distaccamento di 8 mila uomini al comando del maresciallo Édouard Adolphe Casimir Joseph Mortier, il Duca di Treviso, al quale l’imperatore aveva dato l’ordine di minare il Cremlino, di dar fuoco al Palazzo e a tutti gli edifici pubblici.
I francesi rastrellarono dei moscoviti, portandoli al Cremlino e costringendoli nel giro di tre giorni a scavare delle buche e a piazzare l’esplosivo. Uno di questi lavoratori forzati ricordò in seguito: “Le nostre braccia non ne volevano sapere di alzarsi. Che tutto vada in rovina, ma non grazie al nostro lavoro! Ma non avevamo scelta, anche se non volevamo, eravamo costretti a scavare. Quei maledetti ci stavano addosso, e come vedevano che scavavamo poco o male ci frustavano. Io ho tutta la schiena segnata dai colpi”.
I moscoviti che per niente al mondo volevano prendere parte alla distruzione della loro città fuggirono da Mosca e riferirono l’atto barbaro che si stava preparando alla divisione di soldati russi del generale Ferdinand von Wintzingerode, che era acquartierata nei pressi di un villaggio della Regione di Mosca.
Wintzingerode andò su tutte le furie e gridò: “No, Bonaparte non farà saltare in aria Mosca! Gli farò sapere che se anche una sola chiesa andrà in macerie, tutti i francesi caduti nostri prigionieri verranno impiccati!”. Ma mentre andava da Mortier per portare il minaccioso messaggio e intavolare una trattativa, fu preso in ostaggio e solo per miracolo riuscì a sfuggire alla fucilazione.
La pioggia salvifica
Non appena gli ultimi soldati lasciarono la città, iniziarono gli scoppi delle cariche esplosive piazzate. “Ovunque si udivano grida spaventose, lamenti di persone rimaste schiacciate sotto le macerie. Si sentivano richieste di soccorso, ma non c’era nessuno che potesse prestare aiuto. Il Cremlino era illuminato dalle fiamme di un terribile incendio. Uno scoppio seguiva l’altro, e la terra non la smetteva di tremare. Sembrava la fine del mondo”, raccontarono alcuni testimoni”.
Come risultato delle esplosioni fu completamente distrutta la Torre Vodovzvodnaja e risultarono danneggiate la Nikolskaja, la Prima torre senza nome (“Pervaja Bezymjannaja”) e la Petrovskaja, parte delle mura e dell’arsenale. Per miracolo restò in piedi l’edificio più alto della città: il campanile di Ivan il Grande (81 metri). Rimase intatto a differenza di tutti gli edifici circostanti.
Le conseguenze potevano essere di gran lunga peggiori, ma evidentemente le forze della natura erano contrarie al barbarico ordine di Napoleone, che persino diversi ufficiali avevano definito, alle sue spalle, ingiusto. Dei fortissimi e interminabili acquazzoni autunnali spensero gran parte delle micce, e molte cariche rimasero inesplose.
Ma a spegnere le micce corsero a rompicollo anche molti moscoviti e persino l’avanguardia a cavallo dell’esercito russo sotto il comando di Alexander von Benckendorff, appena entrata in città.
Il piano di Napoleone fallì completamente. Quella che un tempo era stata la Grande Armata, e che ora era sempre più decimata e indebolita dalle morti nel corso della disastrosa ritirata, non era ancora riuscita a lasciare il territorio della Russia, che già i moscoviti avevano iniziato i lavori di restauro del Cremlino, per cancellare ogni traccia del passaggio del nemico.
Come i sovietici riuscirono a “nascondere”il Cremlino durante la Seconda guerra mondiale