I negozi Berjozka: come i sovietici compravano le merci introvabili con valuta straniera

Storia
TOMMY O'CALLAGHAN
Nell’Unione Sovietica non era necessario essere un membro della nomenklatura per comprare beni di produzione occidentale e oggetti di lusso. Bastava avere un po’ di spirito di iniziativa ed essere in grado di procurarsi della moneta estera

Ufficialmente in Unione Sovietica l’unico posto dove si poteva spendere valuta straniera era nei supermercati di alto livello, quelli della catena Berjozka (“Betullina”). All’inizio, solo i più privilegiati tra i russi potevano fare acquisti in questi posti: politici, diplomatici, ufficiali e atleti. Ma con la diminuzione della disponibilità dei beni di consumo di base, furono sempre di più anche i cittadini comuni che trovarono modi ingegnosi per fare la spesa da Berjozka.

Turisti e souvenir
I negozi Berjozka erano stati pensati principalmente per i turisti, soprattutto quelli che venivano dall’Occidente. Erano invitati a spendere quanto più potevano nella valuta forte del loro Paese. Per questo i negozi vendevano tantissimi souvenir di ogni genere. Gini Graham Scott, nei suoi diari di viaggio in Urss, descrisse il negozio Berjozka di via Gorkij (l’attuale Tverskaja) come un “paradiso per turisti”, pieno di libri d’arte, gioielli, vodka e splendide matrioshke.

Tuttavia, per i pochi cittadini sovietici che possedevano valuta straniera (dal 1965 in poi fu permesso di convertire i loro soldi in assegni Berjozka con equivalenti in rubli), la possibilità di fare un salto in quei negozi aveva un significato più pratico. Per esempio, avevano tantissima carne, a differenza della gran parte dei supermercati sovietici, dove la priorità erano prodotti di base come le patate, il grani saraceno, la vodka e i biscotti (qui si possono vedere tutti i prezzi). 

Il salame era uno degli articoli più cari della lista: costava ben tre rubli (circa 4,50 dollari allora), ma le carni di maiale e di manzo erano senza dubbio più alla portata di tutti – ancora di più, poi se ci si accontentava di carni in scatola, che di solito venivano a costare meno di un rublo.

Se per molti russi una visita a un punto vendita Berjozka voleva dire procurarsi beni scarsi da mangiare come la carne, coloro che erano interessati al “cibo dell’anima” trovavano comunque utili questi negozi per valute forti. Secondo un articolo del 1977 uscito sul New York Times, i negozi Berjozka erano un ottimo posto per comprare libri condannati dal governo russo, comprese le opere di Boris Pasternak e di Josip Mandelstam.

Beni di lusso e prodotti migliori
Dal momento che la produzione di beni di consumo conobbe una crescita sotto il governo di Brezhnev, nei supermercati Berjozka cominciarono ad apparire alcuni articoli che non erano destinati ai turisti. Le automobili, per esempio, erano tra gli acquisti più popolari. Ma c’erano solo quelle prodotte in Unione Sovietica. Chi comprava lì provava, inoltre, il piacere di non dover aspettare in coda o ricorrere al sistema di corruzione (in russo “blat”). Ai supermercati Berjozka, semplicemente, si doveva pagare in contanti per comprare la merce, proprio come in un Paese capitalista.

Nel 1970, circa il sette percento di tutte le automobili vendute in Urss furono comprate con valuta straniera nei negozi Berjozka. Quelle più popolari erano le Lada Sedan, che costavano circa settemila dollari (metà del prezzo di Stato). Altre opzioni più lussuose, come la GAZ Volga, potevano arrivare a costare tra i 15 mila e i 25 mila dollari.

Oltre alle automobili, i negozi Berjozka, che pullulavano nelle principali città dell’Unione Sovietica, erano riempiti di vestiti, mobili e, dagli anni Ottanta in poi, strumenti tecnologici. Lo Stato sovietico, che non poteva produrre da solo questi beni, era all’apparenza contento di permettere ai suoi cittadini di comprare questi prodotti di importazione, spesso a prezzi rialzati e tassatissimi. Come poté testimoniare nel 1987 il giornalista Philip Taubman, i cittadini sovietici dovevano pagare almeno 2.100 rubli per un set televisivo Toshiba (più di tremila dollari dell’epoca, molto di più di quanto avrebbe pagato un cittadino americano).
Finanza creativa
Ma come facevano i cittadini sovietici a entrare in possesso di quella valuta straniera, così proibita nel loro Paese? La categoria più ovvia di frequentatori dei negozi Berjozka erano le élite, i cui impieghi prestigiosi nel Partito Comunista davano loro il diritto di viaggiare all’estero e, qualche volta, anche di guadagnare dei soldi fuori. Tra questi figuravano funzionari di ogni tipo, come diplomatici e ufficiali militari, ma anche alcune celebrità sovietiche come atleti, musicisti e attaché culturali, tutti scelti con cura per rappresentare l’Urss all’estero. Uno di questi fu il leggendario cantante Vladimir Vysotskij (non conoscete le sue canzoni? Correte subito ad ascoltarle), () che si recò molte volte in Francia, dove incontrò quella che divenne sua moglie, la francese di origini russe Marina Vlady. Nella sua canzone “Sono il più sobrio di tutti” racconta nei dettagli la sua visita al negozio Berjozka per comprare regali per la famiglia dopo essere tornato a casa da un viaggio all’estero.

Come rivelò nel suo studio la storica Anna Ivanova, fare acquisti ai Berjozka era nelle possibilità di chiunque, ma ci si doveva impegnare. Per esempio, se viaggiare in Occidente era praticamente proibito, quasi ogni specialista poteva fare domanda per lavorare all’estero in una qualsiasi delle nazioni del Terzo Mondo alleate con l’Urss, dove sarebbe stato pagato in valuta straniera. Ivanova cita il sociologo Georgij Delugian, che lavorò come interprete in Mozambico per un anno e poi poté comprare alla sua famiglia, con quanto aveva guadagnato, una GAZ Volga.
I cittadini sovietici con parenti all’estero, poi, beneficiavano delle rimesse. Appena cominciarono a emigrare intorno agli anni Settanta, lo Stato sovietico si dimostrò meno rigido sulla valuta occidentale inviata a casa, almeno finché veniva convertita in buoni Berjozka.

Un altro modo per acquistare valuta straniera era di rivolgersi direttamente agli stranieri. Come ricorda Philip Taubman, il suo pagamento in rubli fu rifiutato da un cameriere in un ristorante sovietico che gli disse “Noi accettiamo solo soldi veri”. La prospettiva di sedurre uno straniero, poi, era molto attraente per una donna russa, anche con il pensiero di una visita a un negozio Berjozka.
In generale, però, l’unica possibilità di accedere a monete straniere e ai buoni Berjozka era attraverso il mercato nero, dove i contrabbandieri si prendevano, molto spesso, una commissione tre o quattro volte più alta del tasso di cambio ufficiale.
Nel 1988, i negozi Berjozka cominciarono a chiudere. Il leader sovietico Mikhail Gorbachev portò avanti così la sua “battaglia contro il privilegio”. All’inizio degli anni Novanta, quando la valuta straniera fu dichiarata legale, i negozi divennero del tutto obsoleti e chiusero le loro saracinesche per sempre.

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