Una carrozzina con un bimbo al suo interno precipita lungo una gradinata, mentre la folla presa dal panico corre disperatamente per sfuggire al fuoco dei soldati. La scena del celebre film “La corazzata Potemkin” è una delle più famose del cinema mondiale. E nella sua pellicola Ejzenstejn riuscì a rappresentare al meglio la storia dei membri dell'equipaggio della nave da battaglia russa che dà il titolo all'opera.
La flotta imperiale
Dopo l’insurrezione la Potemkin, in quel momento la corazzata da battaglia più potente e moderna dell’esercito russo, rimase nel porto di Odessa, nel Mar Nero. L’ammutinamento a bordo della Potemkin causò disordini in tutta la città e i soldati del governo uccisero decine di persone, nel tentativo di placare i tumulti. Secondo alcuni storici però la celebre scena della scalinata rappresentata nel film non si sarebbe mai verificata.
In risposta alle dure misure del governo, la Potemkin sparò varie volte, senza però causare morti. Diversamente da ciò che temevano i residenti di Odessa, la nave rivoluzionaria non causò un terribile bombardamento. Al contrario: la Potemkin uscì dal porto e navigò fino alla flotta principale della Flotta del Mar Nero, fedele allo zar, che si avvicinava a Odessa per cercare di avviare trattative con la nave ribelle. L’ammutinamento sconvolse le autorità, pronte a distruggere questa modernissima nave da guerra, entrata a far parte della flotta solo un paio di mesi prima.
Tuttavia, quando le navi “nemiche” si incontrarono, non scoppiò alcuna battaglia. La Potemkin e undici navi della flotta zarista non aprirono il fuoco, soprattutto perché agli ammiragli mancava la determinazione per lottare. Erano sicuri della lealtà dei propri marinai. Ed è per questo che lasciarono passare la Potemkin.
E qui finisce la storia raccontata nel film di Eizhenstejn. Ma nella vita reale, le peripezie della Potemkin durarono molto di più.
Accadde infatti che i timori degli ammiragli non erano affatto infondati e una di queste corazzate ammutinò la flotta e si unì ai ribelli della Potemkin. Entrambe le navi tornarono a Odessa, ma nella seconda corazzata prevalsero coloro che restarono fedeli allora zar. E la Potemkin tornò a essere sola.
Non potendo restare a Odessa, la nave ribelle partì alla volta del porto di Costanza, in Romania, dove si sperava di poter trovare cibo e rifornimenti. Ma i rumeni si rifiutarono di fornire aiuto alla nave, che si vide così costretta a partire alla volta del porto di Feodosia, in Crimea. Ma nemmeno lì si riuscì a ottenere i rifornimenti di cui l’equipaggio aveva bisogno e così la corazzata fu costretta a fare ritorno a Costanza.
Nel frattempo la Flotta del Mar nero mandò una nave che avrebbe dovuto silurare la Potemkin. Ma non riuscì a individuare la nave che si stava spostando nei pressi di Costanza. Le forze principali della flotta si concentrarono quindi nella base di Sebastopoli, dove la situazione era altrettando tesa visto che ci si aspettavano nuovi ammutinamenti da un momento all’altro. Il fatto che la flotta imperiale non fosse in grado di raggiungere la Potemkin era considerato qualcosa di veramente umiliante per il Paese. “Speriamo, per amor di Dio, che questa complicata e vergognosa faccenda finisca”, scrisse lo zar Nicola II in un suo diario, parlando della storia della Potemkin.
L’indignazione dello zar si fece ancor più grave quando la Romania si rifiutò di acciuffare ed estradare l’equipaggio della Potemkin quando la nave raggiunse le coste di questo Paese. Fu lì che i marinai abbandonarono la nave, riuscendo a ottenere uno status simile a quello di asilo politico. La nave in compenso venne restituita alla Russia e ribattezzata “Panteleimon”, in onore a un santo ortodosso.
I marinai russi che vennero invece catturati dalle autorità dello zar finirono davanti ai giudici: alcuni di loro vennero uccisi, altri mandati in esilio in Siberia. La maggior parte dell’equipaggio però fece ritorno in patria solo dopo il rovesciamento dello zar, nel febbraio del 1917.
Per quanto riguarda il “Panteleimon”, questa nave da querra tornò successivamente in azione. Nel 1909 fece affondare accidentalmente un sottomarino russo. Mentre nel 1914, poco dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, il “Panteleimon” lottò contro la Marina Ottomana nella battaglia di Capo Sarych, di fronte alle coste della Crimea. Un anno più tardi invece attaccò i turchi.
La nave “Panteleimon”, ormai obsoleta, andò in pensione nel 1916, superata dalle ultime e più avanzate tecnologie belliche.
Per utilizzare i materiali di Russia Beyond è obbligatorio indicare il link al pezzo originale
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email