Il fantasma della politica dietro lo scandalo del doping

La commissione indipendente della Wada ha affermato che gli atleti russi avrebbero fatto uso massiccio di doping durante le Olimpiadi invernali di Sochi del 2014.

La commissione indipendente della Wada ha affermato che gli atleti russi avrebbero fatto uso massiccio di doping durante le Olimpiadi invernali di Sochi del 2014.

: AP
Il giornalista Vasilij Konov ritiene che l’attacco lanciato dalla Wada contro la Russia, accusata di “doping di Stato”, non si basi su prove certe e che dietro queste mosse ci siano motivazioni di carattere politico

Travis Tygart era al corrente di qualcosa. È evidente che il 16 luglio doveva essere molto più informato del Comitato olimpico internazionale, del Comitato olimpico russo, del Ministero dello Sport della Federazione Russa e di noi tutti messi insieme. Il 16 luglio Travis Tygart già sapeva ciò che tutti gli altri avrebbero scoperto solo lunedì, 18 luglio, alle 16, ora di Mosca.

Travis Tygart, direttore dell’Agenzia americana antidoping (Usada), ha stilato la lettera indirizzata al Comitato olimpico internazionale (Cio) in cui si chiede di escludere la Russia dai Giochi olimpici e paralimpici, dopo i risultati dell’inchiesta effettuata dalla commissione indipendente della Wada guidata da Richard McLaren. Questi risultati delle indagini della commissione indipendente, che non dovrebbe avere formalmente rapporti con la Usada, avrebbero dovuto rimanere segreti fino alle 18 (ora di Mosca) di lunedì 18 luglio.

C’è quindi un’evidente contraddizione: o Tygart fa parte della stessa commissione di McLaren (ma non è così), oppure si è verificata una fuga di notizie e questa fuga di notizie era già stata pianificata in precedenza. Comunque sia, un episodio del genere non sarebbe mai dovuto accadere.

Il ruolo politico dello sport

In realtà, non sono in pochi a ritenere che la Usada sia una delle organizzazioni più coinvolte in questa vicenda che mira a colpire lo sport russo. E la lettera da cui è trapelato il contenuto lo dimostra, a mio avviso, in modo inconfutabile. Appare evidente come dall’ambito sportivo la questione dell’esclusione degli atleti russi sia sfociata inevitabilmente in quello politico.

Benché si continui a ribadire che lo sport non ha niente a che fare con la politica, nella sostanza non è affatto così. Oltre tutto lo sport è sempre stato fin dalle origini una componente della politica. La riprova è che durante lo svolgimento dei Giochi olimpici nell’antichità le guerre erano sospese. Le Olimpiadi oggi sono diventate di fatto un pretesto per scatenare un conflitto sportivo il cui l’obiettivo prescelto è la Russia.

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Ormai da tempo abbiamo cominciato ad ammettere che esiste un problema di doping nel Paese, ma abbiamo appaltato il nostro sistema antidoping agli stranieri (dal novembre 2015 il controllo del programma antidoping in Russia dipende dall’agenzia britannica Ukada, ndr) e non siamo riusciti a impedire che Grigorij Rodchenkov, diventato informatore della Wada, e il suo collaboratore, Timofej Sobolevskij, emigrassero dalla Russia. Sono stati puniti degli atleti che erano stati scoperti a fare uso di doping, è stata rivoltata da capo a piedi la Federazione russa di atletica leggera (Araf), sono stati rimossi dai loro incarichi tutti i dirigenti che occorreva rimuovere, ma la pressione è aumentata: sono apparsi nuovi filmati, articoli e rivelazioni.

Prove che scricchiolano

Sorge legittima una domanda: se tutto in Russia va così male, come scrivono i colleghi stranieri, e come gli fanno eco le commissioni indipendenti, allora perché non si conducono delle vere inchieste? E perché non si esibiscono prove e documenti attendibili, anziché quella mole di pagine del rapporto che sembra la bozza di un brillante giallo firmato da Rodchenkov, paziente di una clinica psichiatrica moscovita, o le confessioni di Yulia Stepanova, che faceva uso di sostanze illegali, e che neppure ricorrendo al doping è riuscita a conseguire vittorie importanti nell’atletica leggera?

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E così sulla base delle dichiarazioni fornite da queste persone, e non di prove certe, senza che siano state effettuate delle indagini, né delle verifiche, vengono adottate di colpo una serie di decisioni. E senza interpellare la parte russa, né tener conto delle nostre valutazioni.

Tutta questa situazione puzza. I passi intrapresi appaiono premeditati in modo abbastanza chiaro ed escogitati, a mio avviso, a uso e consumo del pubblico e non per i professionisti dello sport.

Il Cio ha ancora qualche giorno di tempo per riflettere. La decisione che prenderà dev’essere davvero fondata e in grado di fermare la guerra, nella filosofia dei Giochi olimpici. In caso contrario, le conseguenze potrebbero essere imprevedibili.

Vasilij Konov, direttore del portale sportivo R-Sport

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