The Invitation of the Varangians: Rurik and his brothers arrive in Staraya Ladoga.
public domainL'invito dei variaghi. Fonte: dominio pubblico
Queste parole sono tratte dal “Racconto dei tempi passati”, cronaca antico-russa dei primi anni del XII secolo. Narra la cronaca che nel territorio della futura Rus vivevano delle tribù che versavano tributi ai variagi (vichinghi). In seguito i variaghi vennero scacciati e si tentò di dar vita a una forma di governo autonoma, ma le diverse tribù entrarono ben presto in conflitto tra loro e per porre fine alle contese, si decise di cercare un principe super partes e inviare dai variaghi un ambasciatore con l’incarico di riferire le seguenti parole:
“La nostra terra è grande e fertile, ma in essa non regna l’ordine. Venite a governarci e a comandarci”.
Ad accogliere l’invito fu Rjurik che divenne il fondatore della prima dinastia di principi che governarono la Rus, quella rjurikide.
Verso la seconda metà del XIX secolo si cominciò con intenti ironici a citare spesso la frase in discorsi in cui si faceva riferimeno al fatto che la Russia, nonostante le sue dimensioni e le ricchezze naturali, non sarebbe mai riuscita a seguire un corso di vita normale.
Fonte: Kinopoisk.ru
Oggi questo modo di dire viene di solito usato per asserire che nei russi si mescola il sangue di vari popoli. L’aforisma, attribuito a diversi scrittori, giunse in Russia nel XIX secolo dalla Francia. Dostoevskij scrisse al riguardo: “Gli europei non si sono degnati di considerarci dei loro in nessun modo, né a nessun prezzo”.
“Grattez, lе russе еt vouz vеrrеz lе tartаrе” è una frase che si continua ancor oggi a ripetere e così siamo finiti nel repertorio dei loro modi di dire popolari”.
Non è noto chi sia stato il primo francese a coniare tale espressione. Il marchese de Custine nel suo libro “Lettere dalla Russia. La Russia nel 1839” scrive alcune righe che sembrano rimandare a questo modo di dire: “Le usanze dei russi sono crudeli; nonostante tutte le loro pretese questi semiselvaggi sono destinati a rimanere ancora a lungo in una tale condizione. Non è trascorso neppure un secolo da quando erano degli autentici tatari: […] e sotto la loro parvenza elegante questi parvenu della civiltà celano ancora la pelle d’orso: si sono limitati a rivoltarla, ma basta grattarla un po’ e il pelo rispunta e si drizza”.
Ritratto di Fedor Tjutchev. Fonte: Tretyakov Gallery
Recita la prima quartina della lirica filosofica composta da Fedor Tjutchev nel 1866:
La Russia non si può capire con la mente,
né la si misura col metro comune:
la Russia è fatta a modo proprio,
in essa si può soltanto credere.
Il primo verso della lirica di Tjutchev è ormai universalmente assurto a descrizione del carattere irrazionale della civiltà russa. Col tempo la frase “La Russia non si può capire con la mente” è entrata nell’uso comune per spiegare tutte le azioni inaspettate compiute dalla Russia e dai russi a prescindere dalle valutazioni su di esse. Nel 1939 Churchill, parlando alla radio, dichiarò: “Non voglio arrischiarmi a fare delle previsioni su come agirà la Russia. È un mistero avvolto in un enigma, un assoluto rompicapo”.
Alessandro III. Fonte: Museo storico-militare
Questa sentenza arguta viene attribuita ad Alessandro III. Sembra che lo zar amasse ripetere ai suoi ministri: “Su tutta la terra abbiamo solo due veri alleati: il nostro esercito e la flotta. Tutti gli altri alla prima occasione ci si rivolteranno contro”.
Tale frase rispecchia a grandi linee la filosofia dello zar che guardava all’Europa con diffidenza.
Aleksandr Nevskij. Fonte: Kinopoisk.ru
Nel 1938 uscì la pellicola di Sergej Ejzenshtejn, “Aleksandr Nevskij”, ispirata alle gesta militari dell’antico principe. Nelle ultime scene del film Nevskij, rivolgendosi ai cavalieri dell’Ordine Teutonico, che ha liberato dalla prigionia, dice: “Andate e riferite a tutti nelle terre straniere che la Russia è viva. Che nessuno abbia timore di venire a visitarci, ma chi da noi si servirà della spada, di spada perirà. Questa è sempre stata e sempre sarà la nostra Terra russa”.
In realtà Nevskij, a quanto sembra, non pronunciò mai tale frase. Inizialmente il film avrebbe dovuto concludersi con la morte del principe. Ma dopo aver dato un’occhiata alla sceneggiatura, Stalin intimò che venisse concluso con questa scena, commentando: “Un così bravo principe non può morire!”.
Subito dopo l’uscita del film in alcune pubblicazioni vennero fatti dei paralleli tra il discorso finale di Aleksandr Nevskij e le parole pronuciate da Stalin durante il suo intervento al XVII Congresso del partito nel 1934: “Chiunque voglia la pace e si prefigga di intrattenere rapporti economici con noi, avrà sempre tutto il nostro appoggio. Ma chi proverà ad attaccare il nostro paese incontrerà una ferrea resistenza…”.
Il monument a Panfilov. Fonte: Vladimir Sergeev/RIA Novosti
Si dice che a pronunciare queste parole fosse l’istruttore politico Vasilij Klochkov, che nel novembre 1941 coordinava la divisione Panfilov. L’episodio sarebbe avvenuto durante una cruenta battaglia in cui perirono tutti i suoi 28 soldati, dopo essere riusciti a distruggere 14 carri armati nemici. Grazie a un articolo comparso sul quotidiano “Krasnaja zvezda” l’impresa dei membri della Panfilov suscitò un grande clamore.
Nel 1942 il poeta Nikolaj Tikhonov scrisse la lirica “In memoria dei 28 combattenti”, dove, tra l’altro, venivano trasfigurate in forma poetica le parole dell’istruttore politico:
Grande è la Russia,
ma non vi è luogo dove ritirarsi!
Mosca è lì, alle spalle!..
In seguito si seppe che a inventare la frase era stato un redattore del giornale, ma ormai era già entrata nell’uso popolare.
Trojka sulla Piazza Rossa, Aleksandr Sokolov, 1960. Fonte: Sergej Pyatakov/RIA Novosti
Da un pezzo si discute su chi abbia coniato questa celeberrima massima, ma perlopiù essa viene attribuita allo scrittore Nikolaj Gogol.
Questo aforisma fu citato per la prima volta all’epoca della perestrojka dal comico Mikhail Zadornov in un suo monologo: “Nikolaj Vasilevich Gogol scrisse: ‘La Russia ha due problemi: le strade e gli imbecilli’. E questa invidiabile continuità con la tradizione la serbiamo tuttora”. Forse l’allusione a Gogol era servita a Zadornov per aggirare la censura”.
Il testo è pubblicato in forma ridotta, l’originale, redatto da Stanislav Kuvaldin, è apparso per la prima volta in russo su Arzamas
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