“Sono sempre stato attratto dalla Russia e dalla sua storia. Quando ero giovane, i miei genitori fecero un viaggio a bordo della Transiberiana e mi fecero capire la grandezza, sono solo geografica, di questo paese”, racconta il fotografo francese Didier Bizet, autore di un nuovo libro intitolato “Itinéraire d'une mélancolie” (Itinerario di una malinconia, pubblicato in Francia da Éditions de Juillet).
Ma è solo nel 2010 che Bizet, laureato in Belle Arti, realizza il suo primo viaggio nella Terra degli Zar, spinto dalla lettura del Dottor Zhivago di Pasternak: un viaggio lungo la Transmongolica - la tratta ferroviaria che collega la città di Ulan-Ude con la Cina, attraversando la Mongolia - che segnerà profondamente la sua percezione di questo paese, e lo porterà a recarsi ogni anno in Russia per esplorare l’immensità del territorio e le sue bellezze.
Toccare con mano l’anima russa
Attraverso le sue peregrinazioni, Didier è riuscito a percepire l'essenza dell'anima russa e quel sentimento insondabile di “angoscia” e “nostalgia”, tipico di questa terra, che i russi chiamano con la parola quasi intraducibile di “toskà”. La “toskà”, come abbiamo scritto qui, è un concetto sfuggente, che può essere tradotto in vari modi; si tratta di una malinconia apatica, uno struggimento interiore per un posto lontano o un tempo passato. E questa “toskà” la si può percepire chiaramente nello sguardo dei passeggeri sui treni: uno sguardo che si perde negli infiniti boschi di betulla, alternati qua e là da piccole casette di legno.
“Non è né disperazione, né tristezza, ma un sentimento molto caratteristico che percepisco durante ogni viaggio - dice Bizet -. La malinconia è una caratteristica che noto anche su molti visi slavi; è un rimedio alla noia e un’amica della nostalgia. C'è in ogni russo un elemento chiamato ‘malinconia’: cresce negli anni, è un baluardo contro la tristezza, un istinto. È la vita, la vita russa”.
Secondo lui, nonostante l'effervescenza e la modernità delle città russe, l'identità più autentica di questo paese la si può trovare nella sua campagna: un’autenticità che, secondo lui, bisognerebbe preservare.
“Lo Stato russo ha oggi il dovere di salvaguardare la ricchezza spirituale, culturale e sociale delle sue regioni lontane, prima che l'identità di queste regioni si perda nella ricerca del profitto tipica delle grandi città. Recuperare la campagna e riappropriarsi della natura è essenziale per salvaguardare un futuro di pace per tutti”, sostiene il fotografo.
Quel fragile confine tra passato e futuro
“Tuttavia, anche lo sviluppo della provincia non è privo di minacce - avverte -. Quello che l'autrice Géraldine Dunbar ha scritto nella [prefazione al] mio primo libro sulla Russia, ‘Empreinte transsibérienne’ (Impronta transiberiana), è assolutamente vero: quando la Ferrovia Transiberiana sarà sostituita da un treno ad alta velocità, la Russia avrà guadagnato in modernità, ma avrà perso un suo elemento essenziale: la sua vastità e la sua romantica lentezza”.
La più grande delle nazioni sembra quindi destinata a svolgere in eterno il ruolo dell’equilibrista, oscillando tra la conservazione di un fragile patrimonio umano e lo sviluppo economico. Inoltre Didier, seguendo le orme dell'illustre fotografo Sergej Prokudin-Gorskij, che immortalò a colori la Russia imperiale prima che sprofondasse nell'era sovietica, sembra intenzionato a sua volta a catturare il barlume di una Russia in fase di transizione.
“Ancora oggi, in alcune regioni, intravediamo i tratti di un ‘sovietismo’ che si rifiuta di scomparire - dice -. La storia di questo paese è così affascinante! Sarà che il tentativo da parte di questo territorio di conservarsi nel passato non è altro che una via di fuga verso la salvezza?”.
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