Il picco dei contagi da Covid-19 non è ancora arrivato in Russia, e il presidente Vladimir Putin, dopo una riunione a distanza con i rappresentanti delle 85 entità che compongono la Federazione, è tornato a parlare alla nazione e ha annunciato un prolungamento del lockdown fino all’11 maggio.
E anche dal 12 maggio le restrizioni non potranno essere tolte tutte insieme e in tutte le regioni. Si procederà gradualmente, con una Fase 2 che seguirà un piano che gli esperti del Rospotrebnadzor, il Servizio federale russo per la difesa dei diritti e della salute dei consumatori, insieme alla task force per la lotta al coronavirus, sta elaborando, e che sarà sul tavolo del presidente dal 5 maggio.
Le riaperture saranno diverse da regione a regione: quelle meno colpite potranno allentare prima le misure di contenimento sociale, quelle con gli ospedali più sotto stress dovranno pazientare più a lungo. Al 28 aprile, sui 93.558 casi di infezione da coronavirus nel Paese (che conta già 867 vittime) 58.657 sono concentrati a Mosca e nella Regione di Mosca, il 63 per cento del totale. (Qui tutti i dati sempre aggiornati).
Il presidente Putin nella conferenza con i governatori ha sottolineato come la produzione di ventilatori polmonari sia salita dai 60-70 al mese di gennaio a oltre 800 ad aprile, e ha invitato leader regionali a non abbassare la guardia perché “le soluzioni di ieri potrebbero non essere adatte ai problemi di domani”. Ha inoltre ammesso che c’è ancora un deficit di equipaggiamenti medici, nonostante anche i tamponi siano saliti dai circa 2.500 al giorno di inizio epidemia ai 150 mila attuali (in totale sono state testate 3,13 milioni di persone).
Nel discorso alla nazione, nel ribadire che non si terrà la Parata del Giorno della Vittoria, il 9 maggio, ha promesso che ci saranno però esibizioni aeronautiche nei cieli di Russia e fuochi d’artificio in tutte le città.
Gran parte del discorso è stata poi incentrata sulla difficile scelta tra le ragioni della salute pubblica e quelle dell’economia e sul tema delle limitazioni alle libertà individuali, dovute alle misure di contenimento dell’epidemia.
“Ricordo”, ha detto, “la famosa formula secondo la quale la libertà di ognuno finisce dove inizia quella altrui. Nella lotta contro l’infezione questa formula è particolarmente valida. Se qualcuno preferisce un altro comportamento e pone la sua libertà individuale e illimitata più in alto degli interessi e della libertà delle altre persone, oggi questo qualcuno mette a rischio la vita degli altri”.
“Davanti a noi c’è una scelta etica, morale. Nel mondo intero e anche da noi in Russia viene espresso il pensiero, che in primo luogo si debba pensare all’economia e al benessere materiale. Ed è sicuramente molto importante. Ma cosa si propone allora? Si propone, in buona sostanza, di tirare dritto su tutto e su tutti, senza guardare in faccia a niente e nessuno, senza calcolare i rischi collegati all’epidemia, e il più velocemente possibile riaprire tutto. E se qualcuno dovesse ammalarsi che si ammali, che resti invalido o che muoia, vuol dire che era il suo destino. In una parola si propone la legge del più forte, del tutto contro tutti”.
“Dalla storia e dalla letteratura mondiale sappiamo che nella preistoria gli anziani e i bambini malati, o le persone deboli venivano abbandonati al loro destino per la sopravvivenza della tribù. Probabilmente allora non c’era altra scelta. Ma noi viviamo nel XXI secolo. E lo dico senza mezzi termini: quelli che ora propongono di sacrificare le vite, di lasciare le persone al loro destino, in buona sostanza ci chiedono di tornare all’inciviltà e alla barbarie”.
“Dicono che nell’Antica Sparta i bambini malati e storpi venissero gettati dal Monte Taigeto. In verità, oggi gli storici e gli archeologi pensano che sia solo una leggenda, un mito. Ma comunque sappiamo che la civiltà di Sparta era in effetti fondata su un’estrema durezza. Eppure questo non l’ha aiutata. Alla fin dei conti, questo Stato non esiste più. E come si dice, la storia insegna.”
“Ricordiamo insieme anche un altro breve, è solo poche pagine, ma penetrante, commovente fino alle lacrime, racconto di Jack London, ‘La legge della vita’. Vi si racconta di una tribù che abbandonava i suoi anziani, quando diventavano di peso. I figli davano loro un po’ di cibo e poi se ne andavano, lasciandoli alla mercé delle belve feroci, a morire. E un vecchietto, lasciato da solo vicino al fuoco, fino all’ultimo crede e spera che i figli tornino a prenderlo. Potete anche solo per un secondo immaginare di poter agire così con i nostri genitori, con le nostre nonne e i nostri nonni, come in questo racconto? Io non lo crederò mai. Questo non è nel nostro dna.”
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