Dieci abitanti di San Pietroburgo ci raccontano la loro vita in auto-isolamento domestico

Ruslan Shamukov
Come ha influito la nuova realtà sull’esistenza delle persone? Quali sono le preoccupazioni di chi lavorava nel campo turistico? E di chi si occupa di volontariato, di psicologia o di comunicazione?

Il 30 marzo è stato introdotto il regime di autoisolamento a San Pietroburgo e il giorno dopo nella circostante Regione di Leningrado. Ma già da una decina di giorni erano chiusi musei, teatri, sale espositive, cinema, zoo, palestre, piscine e food court nei centri commerciali. Anche i parchi e le piazze della città ora sono recintati e in campagna sono persino vietate le passeggiate nei boschi. Probabilmente, per la prima volta dall’assedio di Leningrado, le strade della capitale culturale sono così vuote. Abbiamo parlato a distanza con dei pietroburghesi per scoprire come affrontano l’auto-isolamento e cosa pensano dell’emergenza coronavirus.

Andrej Batalov, 16 anni, studente

Ho lo stesso umore che di solito mi capita di avere durante le vacanze. Solo con meno forza e motivazioni. Tutta la settimana da quando sono rientrato dall’Inghilterra [era lì per un viaggio di studio, ndr] sono rimasto a casa. A volte uscivo per allenarmi un po’ con gli attrezzi sportivi che ci sono in cortile, e non facevo nulla di produttivo: guardavo film, giocavo ai videogiochi, chiacchieravo con gli amici in rete.

Presto dovrebbe iniziare lo studio a distanza, quindi ora ho iniziato a prepararmi per le lezioni. In generale, è terribile stare a casa in auto-isolamento, è difficile forzare se stessi a fare qualsiasi cosa; ti stanchi molto rapidamente di non far niente, e hai sempre più voglia di incontrarti con gli amici dal vivo e non in virtuale.

Evgenija Zarukina, 24 anni, amministratore delegato di El Copitas Bar (n. 27 nella classifica dei 50 migliori bar del mondo 2019) 

Non drammatizzerò e non sottolineerò una volta di più la complessità della situazione. Sì, molto probabilmente, l’industria turistica e i locali subiranno perdite ingenti e non tutti saranno in grado di riaprire le porte del proprio business. La cosa principale a cui puntiamo adesso è mantenere la squadra; non abbiamo licenziato nessuno. Ogni membro del team ha uno stipendio che è decisamente sufficiente per pagare l’affitto e per le spese personali minime.

Il nostro lavoro ora va in cinque direzioni: 1) consegna a domicilio di cibo messicano; 2) trasmissioni online in diretta, in cui parliamo di come preparare i nostri drink classici a casa; 3) “hot cocktail line”: ci scrivono messaggi personali su Instagram con l’elenco degli ingredienti che hanno a disposizione e noi li aiutiamo a preparare delle bevande; 4) ci teniamo in contatto in chat con gli ospiti abituali e gli amici del bar; 5) conduciamo webinar e realizziamo corsi di apprendimento a distanza per baristi o persone interessate al settore della ristorazione.

Svetlana Vanjulina, 31 anni, disoccupata

Lavoravo nel campo del turismo, ma dalla settimana scorsa sono disoccupata. Purtroppo, nessuno può più andare in Costa Rica o in Messico. Le frontiere sono chiuse, i consolati pure, e i miei superpoteri per la richiesta di visti per gli Stati Uniti non servono più a nulla. In un mese, sono passata da essere una specialista della prenotazione a essere una specialista di cancellazione e rimborso. E poi è tutto finito.

Un’onda è passata e ha portato via tutto. Ora bisognerà inventarsi qualcosa di nuovo. Cosa esattamente? Non lo so. Che fare dopo? Sto cercando una risposta a questa domanda. Nel frattempo, auguro a tutti coloro che come me si sono ritrovati per strada per queste stesse circostanze, di vedere la cosa come un enorme stimolo e di tirar fuori il loro potenziale di reazione e di crescita.

Andrà tutto bene (forse).

Eldar Kabirov, 36 anni, comproprietario della pizzeria “22 cm” e della steak house “Red. Steak & Wine”

Certo, sono ancora giovane, ma lavoro nei ristoranti dal 2000, e una cosa come quella che sta accadendo ora non l’ho vista mai. Siamo andati tutti in “vacanza” TUTTI; non solo i nostri ristoranti, ma l’intero settore.

Se torneremo dopo il 30 aprile, non lo so e non ne sono sicuro, ma ritorneremo sicuramente. Faremo in modo che i nostri ragazzi lavorino di nuovo, che fornelli e padelle siano in attività, per rendervi felici con sorrisi, servizio e cibo. Inviterò tutti a farsi un bicchiere, quando sarà tutto finito: berremo, sorrideremo e continueremo a vivere nel mondo che conoscevamo.

Dmitrij Ganopolskij, 37 anni, guida e fotografo

Ogni giorno, le mie idee su ciò che sta accadendo variano drammaticamente: i presentimenti apocalittici lasciano alternativamente il posto ai piani per conquistare il mondo. Se guardi le cose in modo obiettivo, ciò che sta accadendo ora non è altro che un disastro. Solo i più ricchi e intraprendenti rimarranno nel settore del turismo, perché non ci sarà lavoro per molto tempo. Ma al momento è impossibile prevedere qualsiasi cosa, indipendentemente da ciò che ci viene in mente, la situazione si svilupperà in modo imprevedibile.

Forse dovremmo pensare tutti a fare cose online, o forse dopo un paio di settimane seduti a casa e “attaccati” a monitor di dimensioni diverse, la gente sarà stufa di questo internet. Suggerirei di studiare, visto che ora c’è tempo, e di tenere un diario. Sicuramente rimarrà, e sarà utile in futuro.

Grigorij Sverdlin, 41 anni, direttore dell’associazione benefica Nochlezhka, che aiuta i senzatetto

Già dal 17 marzo, per non mettere in pericolo le persone che a noi si rivolgono, abbiamo interrotto il lavoro del servizio legale di consulenza e della “Lavanderia culturale”, dove di solito arrivano 30-60 persone al giorno. Altri progetti: tre rifugi di riabilitazione, due stazioni  per stare al caldo e un autobus notturno continuano a funzionare. Circa 300 persone ricevono assistenza ogni giorno. Abbiamo introdotto ulteriori misure di sicurezza e in tutti i progetti attivi distribuiamo mascherine e antisettici.

Abbiamo creato un volantino sul coronavirus. Questo è importante perché molti senzatetto non hanno realmente accesso alle informazioni.

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Dmitrij Groznyj, 49 anni, giornalista e direttore di MarketMedia

La formula “non voglio andare nel panico, ma agire” è diventata lo slogan della nostra campagna di beneficenza #поддерживрача (“#supporta un medico”). Siamo alla ricerca di ospedali che abbiano bisogno di aiuto e di aziende in grado di fornirglielo. Perché noi, i media aziendali, che non avevamo mai fatto nulla del genere, ci siamo impegnati stavolta? Conosciamo molti imprenditori che si occupano di commercio, produzione e ristorazione, e loro conoscono noi!

Se nelle prime consegne c’erano prodotti da forno, biscotti, torte, caramelle, dolci, frappé, l’elenco si è presto ampliato in modo significativo: si tratta di abbigliamento specializzato per il personale medico, occhiali di sicurezza e quelle stesse mascherine che non si trovano da nessuna parte; e acqua, e power bank. Subito diverse compagnie hanno iniziato a offrire pranzi caldi gratuiti ai medici, perché ora non hanno un posto dove mangiare; tutto è chiuso. Il numero di partecipanti all’azione di supporto ha già superato la ventina. Odio le parole altisonanti e retoriche, ma sono davvero felice che ci siano così tante persone buone in giro.

Vitalij Osipchuk, 52 anni, psicoterapeuta

Naturalmente, io e i miei colleghi abbiamo notato un aumento dell’ansia. In primo luogo, le persone stanno ora cercando di osservare il regime di autoisolamento, e hanno iniziato a venire molto meno frequentemente in cura: questo è diventato evidente nell’ultima settimana e mezzo. La gente passa alle sedute online e ieri, ad esempio, due di questi incontri sono stati dedicati solo alla situazione.

Il mio compito è aiutare le persone a iniziare a riconoscere le loro preoccupazioni e a parlarne. Solo perché una persona parla esplicitamente di qualcosa, diventa psicologicamente più facile sopportarla, riduce la pressione e la tensione interne. E dopo ciò è già possibile passare ad alcune idee più razionali, a pensieri concreti su come vivere in questa condizione.

Silvia Ruth Fernandez Caria, 58 anni, expat italo-argentina

Viviamo non lontano dall’Accademia Stieglitz e dalla Università Teatrale di via Mokhovaja. Le strade che prima brulicavano di persone ora sono deserte. La mia famiglia di tre componenti è in auto-isolamento e io esco ogni due o tre giorni per comprare qualcosa di essenziale al negozio di alimentari.

A casa cucino, scrivo, dipingo a olio, riordino gli armadi, faccio le faccende, pitturo su porcellana, studio, organizzo archivi, seguo Facebook e WhatsApp, chatto con i miei amici e i membri della mia famiglia, sparsi in tutto il mondo. Insomma, non c’è tempo per la noia. Confesso che mi godo abbastanza questa situazione, perché ho una lunga lista di cose e progetti da fare da sola.

Tamara Miroshnichenko, 62 anni, dipendente del Museo della scuola nella Regione di Leningrado

Il nostro museo di storia locale non è fatto solo di teche che conservano il passato, ma di un lavoro costante con gli scolari. Per esempio, abbiamo preso il diario di un veterano che ha combattuto la Grande Guerra Patriottica nella divisione di artiglieria Gatchina (è il nostro distretto) e distribuito copie dei suoi fogli agli studenti delle scuole superiori in modo che lo ristampassero. Vogliamo creare un diario elettronico per il 75° anniversario della Vittoria. Come risultato di questo lavoro, abbiamo persino trovato dei parenti di un amico tagiko che aveva combattuto con lui al fronte.

Questa quarantena, ovviamente, ci ha un po’ complicato la vita. Ma stiamo lavorando sul materiale, da casa, via Internet. Controlliamo, cerchiamo, coordiniamo, assegniamo a distanza ai ragazzi dei compiti da svolgere.


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